LGBT, ovvero Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender.
Una sigla, quattro aggettivi sostantivati: ci sono tutti gli ingredienti per una bomba devastante. Oggi intanto tutta la città ne parla. Tutta la città mediatica, intendo. Quella che scrive e legge i giornali. Quella che fa e vede radio e televisione. Quella dei programmi di intrattenimento dediti al cicaleccio. Quella del blablabla che tutti giorni è la stessa, in tutti i programmi e canali è la stessa, che i personaggi sono sempre gli stessi: ieri sera lì, stasera qui, domani sera là, per poi ricominciare tutte le sere uguali: stesse parolacce, stesse contumelie, stesse risatacce, stessi cachet senza i quali il circo toglierebbe le tende e tutti staremmo finalmente in pace, che io non ne seguo più neppure uno che è uno.
Dunque: venerdì 15 maggio sui giornali campeggiava la notizia che nel Parlamento inglese, la presenza di LGBT è ormai pari al 5% del totale dei membri che ne fanno parte: percentuale più o meno identica di quella che si ritrova nell’intera popolazione del Regno Unito, sotto la corona dell’intramontabile Elisabetta II, regina perfetta d’un popolo che tanto perfetto non è. Ma si sa, non si può avere tutto.
Il 5% è una percentuale decisamente importante. Non lo dico né con fastidio, né con astio. È un fatto, semplicemente. Un fatto di cui tutti, Chiesa cattolica compresa, dovrebbero tener conto. Come han già fatto le chiese sorelle riformate. Una vera rivoluzione copernicana. In senso letterale: di autentico rovesciamento delle parti fra la periferia e il centro.
Perché in questo è consistita la rivoluzione di Copernico: nell’aver invertito i ruoli fra la terra e il sole: non più il sole che gira intorno alla terra, ma la terra che gira intorno al sole. Il sole al centro, la terra alla periferia del sistema solare. Da allora non fu più la Bibbia a dirci come va il cielo, ma fu l’uomo che, dall’alto d’un telescopio, ridisegna, e riscrive di giorno in giorno, la figura e il senso dell’universo.
Lo stesso avviene ora con il sesso, con la famigerata legge naturale dei teologi e dei filosofi che incomincia a barcollare. Oggi non sarebbe più la natura a fissare i confini invalicabili del lecito e del non lecito, ma l’uomo, che nel suo divenire storico ridisegna continuamente quei confini. Così ciò che ieri era lecito, oggi può non esserlo più (la schiavitù, i giochi circensi dei Romani, il delitto d’onore…) e ciò che ieri era proibito ora diventa lecito (il sesso integrale sugli schermi, la libera morte assistita, l’aborto, il divorzio…).
A ridisegnare continuamente quei confini, è ormai solo il divenire storico e in quel divenire ci sono dentro tutti: il peccatore convertito sant’Agostino d’Ippona e il pervertito marchese de Sade, il martire Bonhoeffer e il nichilista Nietzsche, l’eroina Giovanna d’Arco e la spia prostituta Mata Hari, il mistico San Bernardo e il carnalissimo filosofo Abelardo.
Un discorso questo che la Chiesa ha da sempre applicato nella sua storia, ma che non ha mai avuto il coraggio di teorizzare, né di formulare in principio o legge o criterio interpretativo. Lo ha sempre usato senza mai riconoscerlo: difficile dire se per mancanza più di lucidità che di coraggio. Quando ha dovuto cambiare, lo ha sempre fatto, ma sempre dicendo che niente cambiava, che era solo un altro modo di dire e di fare ciò che aveva sempre detto e fatto, solo in modo diverso. Applicazioni nuove di vecchi principi. Del resto come cambiare una legge che Dio stesso ci ha dato? E neppure, si noti, la legge del Sinai, ma quella scritta nel cuore e nella carne di ogni uomo. Legge naturale l’ha detta la Chiesa, dichiarandola immutabile.
Qualche esempio? C’è solo l’imbarazzo della scelta.
L’amore, quando è vero, è eterno: dunque non si darà divorzio.
La vita è concepita per nascere e durare: guai parlare di aborto. L’uomo è fatto per la donna e la donna per l’uomo. Non si dà una terza via.
Dio ti ha fatto maschio? E maschio rimarrai. Femmina? E femmina sarai. Per sempre.
E infine: o sei uomo o sei donna. Il sesso è una cosa seria, non un giocarello: ci è stato dato per riprodurci, non per giocarci. Non è mica il tennis, che puoi giocarlo di dritto e di rovescio.
Quanto alla Chiesa non esclude che il sesso possa essere fatto anche solo per piacere (anche se non fu sempre così), ma almeno che resti sempre aperta la porta alla generazione, senza trucchi di sorta. Perché se no sarebbe peccato. E grave anche! Di peccati di sesso è lastricato l’inferno. Così la Chiesa ha sempre creduto. E questo ha sempre predicato. Perché come la legge di natura, così la parola della Chiesa resta nei secoli.
Così fu fino a quel 29 luglio del 2013, quando, sull’aereo che lo riportava da Rio de Janeiro a Roma dopo le trionfali giornate del GMG, papa Francesco parlò, per la prima volta nella storia, in un altro modo dei gay: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?». Chissà quante persone si saranno resi conto allora che quel giorno era accaduto qualcosa di paragonabile solo a quando Gesù, sulla montagna, dichiarò beati i poveri e comandò ai discepoli di porgere la guancia destra a chi gli colpiva la sinistra? Un triplo salto mortale che se riesce ti procura una cascata di applausi, ma se fallisce ci puoi rimettere l’osso del collo.
Quel 29 luglio qualcosa di nuovo era veramente apparso sotto il cielo: la luce della misericordia di Dio che s’accendeva anche là dove mai quella luce era apparsa con tale abbagliante intensità. Quelle parole dicevano alla Chiesa che il tempo di cambiare era arrivato. Di cambiare regole antiche, certo, ma soprattutto di cambiare il cuore e, con il cuore, anche il giudizio sulle cose del mondo. Fin lì la Chiesa aveva potuto pensare che a lei sola era stata affidata la guida del popolo di Dio su strade che lei sola conosceva. Ora invece si sentiva dire che le strade potevano essere più d’una, tutte centripete certo, ma provenienti da diversi punti di partenza e che di questo bisognava tener conto. Francesco lo aveva capito e ora voleva che lo capissero tutti.
Troppo audace e spericolato il mio discorso? Forse poteva esserlo prima del 29 luglio 2013, ma da quel momento questo è l’unico discorso che si può ancora fare. Quello fu il giorno di un nuovo inizio, l’inizio del III Millennio: il fatidico 2.0 della Chiesa di papa Francesco, che dovrà mettere in soffitta, per sempre si spera, la Chiesa 1.0 di Gregorio VII, il papa del Dictatus papae che tanti mali ha procurato alla Chiesa con l’assolutismo papale, al di là di alcuni evidenti e immediati vantaggi. Conseguenze pesanti di cui la Chiesa ancora risente.
Tra le ultime eredità di quei secoli difficili, rimane quello d’una legge naturale per noi intoccabile, ma inesistente per il resto del mondo. Perché pensateci bene: cosa di più variato e di più mutevole dei tanti modelli di famiglia conosciuti dalla storia umana? Patriarcale e matriarcale, monogamico e poligamico, monoandrico e poliandrico, dissolubile e indissolubile, esclusiva gelosa sul coniuge e libertà di farsela con chi si vuole, harem come parco femmine con un battaglione d’eunuchi a far la guardia, moglie o schiave a disposizione dell’ospite. E tutto ciò visto sempre come molto “naturale”. E se si vuole restare nella Bibbia: i rapporti di Abramo con Sara, tanto ambigui per noi, erano pienamente conformi alla legge di allora.
Ma poi: che può interessare a noi d’una legge naturale, quando disponiamo di qualcosa di infinitamente più grande e più bello? La parola di Gesù, non vale forse più di qualunque legge? Non è essa un sublime “sovranatura”? E disponendo di quel tesoro perché dovremmo preoccuparci ancora del “naturale”? Perché non dire agli altri: «Trastullatevi pure coi vostri diritti. Noi abbiamo Gesù di Nazaret. Non torneremo mai alla vostra barbarie (etim. balbettio, cfr. Devoto). Noi dalla nostra abbiamo la PAROLA. Quella Eterna».
Chiesa: che sia davvero l’ora di cambiare?
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