Eretico o profeta? Un dilemma ricorrente


Eretico o profeta? Un titolo fortunato che si è incontrato più volte nelle copertine di libri che parlano di uomini celebri che hanno fatto molto parlare di sé, per le loro idee non allineate.
Lo usarono recentemente Jacques Arnould per Pierre Teilhard de Chardin, scienziato, paleontologo e teologo di fama mondiale e il molto meno noto frate francescano P. Bernardino Greco, singolare figura di eremita dei Monti Martani, tra Porcaria e Carsulae. P. Bernardino titolò così, in tedesco, la sua tesi di laurea: Ketzer oder prophet, (eretico o profeta, appunto). Oggetto del suo studio era un prete italiano, Ernesto Bonaiuti († 1946), un grande studioso, sospeso dall’insegnamento da tutte le scuole sia della Chiesa sia dello Stato (in virtù del concordato Stato Chiesa del 1929). Uomo di rigorosa rettitudine morale, ebbe il solo torto di vivere troppo presto. Oggi molte delle sue proposizioni non scandalizzerebbero più.
Poi il mio pensiero scivola verso nomi a noi più vicini e più familiari: don Primo Mazzolari, don Lorenzo Milani, padre Ernesto Balducci, don Zeno Saltini, (don) Giovanni Franzoni, già abate benedettino del grande monastero romano di san Paolo fuori le mura. Si potrebbe continuare, ma ci fermiamo qui. Tutte voci a cui la Chiesa non ha potuto imporre il silenzio, perché le loro parole non venivano da loro, ma dallo Spirito di verità, a cui nessuna carne potrà mai imporre il silenzio.
Per spiegarmi meglio, chiederò aiuto a due sommi profeti d’Israele, Ezechiele e Geremia. Essi sapranno dire meglio di me ciò che voglio dire.

Ezechiele: «Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Figlio dell’uomo, parla ai figli del tuo popolo e di’ loro: Se mando la spada contro un paese e il popolo di quel paese prende uno di loro e lo pone quale sentinella e questi, vedendo sopraggiungere la spada sul paese… non suona il corno e il popolo non è avvertito e la spada giunge e porta via qualcuno, questi sarà portato via per la sua iniquità, ma della sua morte domanderò conto alla sentinella. O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: “Malvagio, tu morirai”, e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu avverti il malvagio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte dalla sua condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato» (Ez.33,1-9).

E ancora: questa volta è Geremia a parlare, la voce più tragica tra i profeti.

«Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro» (Ger 1,17).

Queste parole valgono solo per la Chiesa quando ammonisce il mondo, o vale anche per i figli della Chiesa quando la richiamano alla fedeltà alla sua missione e alla sua natura?
Più vicina a noi la voce di don Lorenzo Milani: una sentenza che lui pronunciò, anzi scrisse, in una “lettera ai giudici” come sua difesa scritta non potendo lui, già gravemente malato, recarsi a deporre in tribunale. Era il 18 ottobre 1965. Egli rivendicava il diritto di «avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto. A questo patto l’umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico». E poco importa che l’umanità ascolti o non ascolti: grandioso è già il fatto che qualcuno abbia potuto e saputo concepire e dar voce a un pensiero siffatto.
Sono lontani anni luce gli anni in cui a noi, in seminario, ci dicevano che il buon seminarista oggi e il buon prete domani, obbedisce sempre, perché chi obbedisce non sbaglia mai, perché semmai a sbagliare è il superiore e lui, il sottomesso ha solo meriti davanti a Dio. E noi ci sforzavamo di prendere per buone questi abomini. Un prete (un cristiano) come un soldato: obbedisce sempre. Don Milani nella sua lettera ai giudici giustifica così il suo pensiero: «A Norimberga e a Gerusalemme son stati condannati uomini che avevano obbedito. (Oggi) l’umanità intera consente che non dovevano obbedire, perché c’è una legge che gli uomini non hanno ancora ben scritta nei loro codici, ma che è scritta nei loro cuori».
Norimberga segnò la fine per tutti i vecchi codici penali militari. Don Milani ci disse che se queste cose le avevano capite i militari, quanto più dovevano capirle i discepoli di Gesù.
E fu affermato per tutti noi il dovere d’essere ognuno profeta per la sua parte: nella scuola, nella fabbrica, in parlamento, nel tuo letto matrimoniale, all’asilo infantile, nella clinica dove lavori come medico o come infermiere, nella finanza. Tu, prete, lo sarai davanti al tuo vescovo, davanti ai tuoi confratelli, in parrocchia davanti al tuo popolo, negli ospedali dove sei cappellano. Non potrai più nasconderti dietro il troppo sottile dito della tua mano. Tu non potrai più rispondere come Caino sono forse il custode di mio fratello? Finché sei nel mondo tu ne sarai responsabile per la tua parte.
Chi è passato per la scuola ascetica e spirituale dei seminari e dei noviziati, dei monasteri e dei conventi, può capire l’enorme passo avanti compiuto quel giorno dalla coscienza cattolica; quanto alla società laica su questo punto ci ha preceduto molte volte, anzi, si può ben dire che spesso proprio i progressi della coscienza civile ci sono stati di stimolo per superare anche noi quell’ingorgo dal quale non riuscivamo a uscire in alcun modo. Una storia che si è ripetuta decine, centinaia di volte, da quando la Chiesa ha smesso di farsi motore trainante della storia, per accettare il ben più comodo, ma quanto più frustrante ruolo di rimorchio da trainare.
Eppure ci era stato detto che “bisogna obbedire prima a Dio che agli uomini”(Est 8,12; At 5,29), che il cristiano ha per vocazione la libertà che ci viene da quella verità che ci è stata rivelata, quella che sola potrà farci liberi (Gv 8,32).
O è la paura che ci frena? Paura del mondo e paura della gerarchia ecclesiastica, perché chi potrà mai negare che i peccati dell’uno sono diventati, forse per imitazione o per contagio, anche i peccati della Chiesa quando si è fatta essa stessa Potere? Perché il Potere ha sempre paura, paura che qualcuno glielo strappi. Paura di tutto. Guardate i due Erode, due re fantaccio: il vecchio ha paura di un neonato, il giovane ha paura dell’amante e dei commensali. O forse è già sciavo di Salomè sulla quale ha già fatto un pensierino? Sì perché alla fine poche cose ti sporcano quanto il potere per il Potere. Ne sappiamo qualcosa anche noi, vero?