Luca, la tua ordinazione è in cielo

Un salto nel vuoto, lungo trenta metri, fino ai piedi della parete di tufo su cui sorge Orvieto. Una notte di vento e di pioggia battente a porre la parola FINE su un sogno infranto. Il sogno, tanto insolito oggi, di farsi prete, di celebrare Messa, di predicare Cristo.
Non aveva trent’anni don Luca Seidita, diacono della diocesi di Orvieto-Todi sebbene pugliese di nascita. Sarebbe dovuto diventare prete dopodomani, 7 dicembre, festa di sant’Ambrogio, giorno che vede, solo a Milano la grande festa al Teatro alla Scala e la strapopolare sagra degli “o bei o bei” e l’apertura ufficiale delle piste di sci in quasi tutt’Italia. Giorno desiderato e atteso, come pochi: giorno che doveva coronare tutta una stagione di vita e aprirne un’altra, vagheggiata e attesa da tutta una vita, per don Luca.
E invece il salto nel vuoto, nel vento, nella pioggia: il salto sul vuoto e sul niente. E così sia!
Forse un ripensamento dell’ultima ora? Forse la paura di affrontare un impegno, troppo alla leggera preso e vagheggiato e che all’improvviso si rivela troppo arduo, o lascia scoprire qualche segreto rimpianto? Forse qualcosa che somiglia al pianto della “novia”, della sposa infelice che nasconde sotto il velo un pianto che non è di gioia, ma di “rim-pianto” per un grande amore ormai compromesso e per sempre perduto, come nella celebre canzone d’una quarantina d’anni fa?
Niente affatto. Pianto di delusione e di dolore grande, d’amarezza e forse anche di rabbia, per un sogno svanito proprio al risveglio, all’alba del grande giorno. L’hai atteso, desiderato preparato con passione e tenacia, l’hai annunciato al colto e all’inclita, te ne senti orgoglioso e ti senti arrivato, realizzato, compiuto. Il 7 dicembre sarò prete per sempre! PER SEMPRE! PER SEMPRE!
Ha già diffuso la notizia, ha spedito gli inviti, ha preparato la festa, il pranzo, gli arredi, tutto! E invece no! NO! NO! Non se ne farà più niente, rimarrà tutto com’era, era tutto uno scherzo, o, appunto un sogno! E dopo la bellezza del sogno, come spesso accade, la delusione del risveglio: basta, rimane tutto come prima, tutto come sempre, gli esami non sono ancora finiti, gli esami che non finivano mai per il grande Edoardo, continuano anche oggi a non finire mai, e così sarà anche domani, sempre!
Mons. Scanavino, il vescovo di Orvieto-Todi, che l’aveva accolto nella sua diocesi quando don Luca ha lasciato Lecce per trasferirsi in Umbria, accompagnato, sembra, da qualche voce inquietante, stando a quanto si legge su La Stampa di Torino alla quale lascio tutta la responsabilità della notizia, era favorevole alla sua ordinazione presbiterale, ma non è bastato. Roma, che aveva avuto notizie relative a certe «amicizie non consone» (allo stato clericale evidentemente) che avevano accompagnato il giovane nella sua adolescenza e fino alle soglie dell’ordinazione, aveva bloccato l’ordinazione. Non era d’accordo il vescovo, il quale però aveva finito con il sottomettersi alla sentenza romana. Così don Luca sarebbe rimasto al palo.
Roma dunque dura e arcigna e senza cuore come sempre?
Certo, visti i tempi che corrono, non si fatica molto a essere comprensivi verso l’atteggiamento romano. Troppo fresche e troppo numerose e gravi le ferite riportate negli ultimi 30-50 anni di storia della Chiesa mondiale, perché si possa pretendere che la Chiesa rinunci alle sue cautele e alla sua prudenza. Troppo grande e grave il male provocato dalle inclinazioni sessuali dei suoi preti e troppo fragile la loro virtù per poter continuare ad andare avanti sperando tutto dalla grazia di Dio. Da questo punto di vista la prudenza della Chiesa non sarà mai troppa.
Ma c’è un “ma”. E questo “ma” riguarda proprio le cautele della Chiesa in questo campo minato delle inclinazioni sessuali dei suoi preti. Per dirla in breve e con brutale (e dunque totale) franchezza la Chiesa non riuscirà mai, qualunque precauzione adotti, a ovviare e prevenire ed evitare questi infortuni del suo clero, finché continuerà a scegliere i suoi preti fra i giovanissimi. Se è certo che non mancheranno mai giovanissime vocazioni che riusciranno a vivere eroicamente la loro castità, è altrettanto certo, che in queste condizioni, la Chiesa non potrà mai sentirsi al sicuro dalle cadute e ricadute dei suoi preti – infedeltà, tradimenti, defezioni, fughe, scandali… –.
È proprio da questa consapevolezza che nasce in me una proposta per la quale però immagino che potrà diventare realtà (e vorrei tanto sbagliarmi) non prima che passino ancora alcune generazioni di preti: quella di rendere operativa e normale nella Chiesa la coesistenza complementare di due diverse discipline canoniche relative alla condizione del prete: 1) quella di un celibato già lungamente vissuto e testimoniato dal singolo candidato, che intanto si sarà impegnato generosamente e regolarmente nelle opere dell’apostolato, della didattica, della carità, delle missioni ecc. In questi casi l’ordinazione, che preveda ancora l’obbligo del celibato, non dovrebbe quasi mai precedere (almeno come norma) la quarantina d’anni; 2) quella di un celibato liberamente e gioiosamente vissuto nell’apostolato, un celibato dal quale si può anche recedere senza traumi e senza sensi di colpa, quando ci si dovesse rendere conto che stanno per cadere “le mura di Gerico”, cioè quando ci si rende conto che quella condizione di vita rischia di diventare insostenibile. Allora si dovrebbe consentire a chi fino a quel momento ha esercitato celibato e apostolato, di poter fare una scelta, anche qui senza traumi e senza drammi: o sposarsi con tutta la benedizione della Chiesa e del Signore e continuare nella nuova condizione la propria attività pastorale pur con gli inevitabili aggiustamenti, o semplicemente optando per uno stato laicale ugualmente sereno e benedetto, perché il dono fatto di cinque, dieci, venti o più anni di vita apostolica e pastorale non potranno rimanere senza premio e ricompensa da parte di Dio e della sua Chiesa.
In una Chiesa così liberata dal tabù del celibato, e così arricchita dei tanti carismi connessi con lo stato coniugale, sarà molto più facile anche mantenersi casti e celibi per quelli che persisteranno in questa ardua scelta. Sapere che sotto di te è tesa una rete di sicurezza rende molto più arditi e più sicuri anche i volteggi più pericolosi. E si potrebbe anche prevedere un notevole aumento di ministri sacri, magari ad tempus, ma quanto preziosi!
Illusione? Sono sicuro di no? Sarei pronto a scommettere, pur sapendo che non ci sarei più al momento dell’incasso.
Termino facendo una promessa a don Luca, venuto a mancare alla Chiesa proprio alla vigilia della sua ordinazione: dovunque andrò, qualunque cosa farò, qualunque cosa dirò, qualunque cosa scriverò, lo farò lo dirò lo scriverò anche per te. Perché la morte non ti cancelli dalla Chiesa e tu, Amico Prete mancato, sulla terra possa vivere e operare con me nel mio ministero. Prega per me lassù, come io pregherò per te quaggiù. E non temere: la tua ordinazione sarà in cielo (dove la nostra teologia serve a ben poco).


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