Credere o sperare? Temere o disperare?


Un gentile Lettore (in questo caso il “gentile” non è una convenzione letteraria, ma un vero riconoscimento al buon garbo) mi ha fatto presente il suo disagio nel leggere il mio ultimo articolo “La fortuna di essere over”.
Egli inizia dichiarandosi in piena sintonia con i miei apprezzamenti e rilievi sulle virtù e i meriti della società italiana del secondo dopoguerra; molto meno d’accordo è con la seconda parte dell’articolo.
Egli vi ravvede un tocco di pessimismo mitigato solo nel finale con la consolazione della Fede. «Sembra che la seconda parte sia stata scritta da un’altra persona. Allora tutto bene e con il vento in poppa fino ai 70, poi senso di inutilità, angoscia ecc…. Non può essere, era una giornata di temporali quando scriveva. Le auguro di ritornare a ragionare come nella prima parte dell’articolo e di cercare di immaginare in tutte le situazioni anche quelle degli altri, il bicchiere mezzo pieno».
Trovo davvero simpatico quel ricorso a una giornata di burrasca a spiegare il mio cambiamento d’umore nella seconda parte dell’articolo. Non ricordo se sabato scorso piovesse o meno, ma posso assicurare il gentile Lettore che il meteo non c’entra per niente.
Non credo affatto, tanto per intenderci, che il male abbia avuto inizio nel 2007-2008, ma molto, molto prima. Forse venti-trent’anni prima, quando all’idea d’una vita da usare e da spendere bene (che ci era stata trasmessa dalla nostra educazione cristiana) si sovrappose prima e si sostituì poi quella d’una vita da “godere” e “da bere” il più possibile (qualcuno si ricorderà la “Milano da bere”). Quando cioè alla cultura e al culto “dei valori” (umani, etici, religiosi) si sostituirono la cultura e il culto del valore venale, del “quanto vale, quanto mi porta in denaro, in potere, in prestigio, in avanzamento sociale”.
Sarà una distorsione dovuta alla mia formazione e cultura cattolica, che secondo alcuni è intrinsecamente depressiva perché, esaltando la croce, la mortificazione, la povertà, l’umiltà, la sobrietà, l’astinenza dalla carne e dalle gioie della carne, non può che rappresentare una palla al piede per ogni slancio vitale verso il progresso, il meglio, il più della vita.
Sarà anche così. Ma io non mi sento affatto uno zoccolante o un piagnone o un flagellante del tredicesimo secolo. Io mi ritrovo invece, e da sempre, in un pensiero che oggi non va più di moda, anzi viene bollato come laidamente comunista, ma che a me pare derivare dritto dritto dal vangelo di Gesù Cristo – sai quel profeta ebreo di duemila anni fa, che si rifiutò di adorare chi gli prometteva il mondo intero se solo si fosse prostrato davanti a lui per adorarlo? Pensate: il poveretto rifiutò! Tutti sanno dove sia andato a finire quel povero donchisciotte e su quale trono sublime abbia concluso la sua carriera terrena.
Bene, io non mi vergogno di pensare che se il mondo va come va, è solo perché al mondo sono troppo pochi quelli che rispondono al Tentatore come gli rispose lui col suo «vade retro satana».
Non pare anche a Voi, gentili Lettori, che qualcosa del genere sia alla base del momento storico che stiamo vivendo? Io non capisco niente di economia e di alta finanza, ma mi pare di aver capito che all’origine delle turbolenze attuali ci siano certi comportamenti disinvolti, illeciti, immorali, criminali di Enti e di Governi irresponsabili, banche e gruppi finanziari senza scrupoli che hanno ad arte gonfiato crediti e debiti; giocato, tramato, barato in borsa per gonfiare bolle speculative e provocare crac che hanno finito col travolgere gli laboriosi risparmiatori, quelli che avevano contratto mutui per la casa o per dar vita a oneste piccole imprese, venendo poi a trovarsi sul lastrico perché hanno perduto il lavoro, perché sono cambiate le regole, perché truffati da consulenti senza scrupoli?
Ora si parla molto di “globalizzazione”, un altro insaziabile moloch che si nutre di carne umana: la carne degli operai di quelle imprese che migrano alla ricerca del minor costo, e chi rimane senza lavoro tanto peggio per lui. L’impresa deve far profitti, muoia chi muoia. È la globalizzazione, bellezza, e “chi non globalizza è…è…è…” (che cos’è lo dica ognuno di voi).
Così i giovani non trovano più lavoro, anche perché i lavori disponibili nessuno li vuole, e nessuno vuol darsi a lavori meno nobili di quelli fissi a salario garantito (tipo colletti bianchi). Se da qualche parte si fa la fila sono le tivù pubbliche e private: sono le giovanissime aspiranti veline, i maschi aspiranti modelli o attori (anche solo di soap o di reality); sono le mamme che spasimano per far vincere alle bambine concorsi di bellezza “di avvicinamento” ai titoli che contano. E poiché non tutti possono sfondare; e poiché si sa quanto il mondo dello “star system” sia crudele e spietato, per tutti quelli che non ce la faranno si aprono le sicure strade della delusione e della depressione.
Capite, gentili Lettori, perché non riesco a essere allegro di fronte al mondo che mi vedo crescere attorno, mentre invecchio? Perché non so che fine faranno quelle giovani mamme che oggi non hanno più tempo e voglia di guardare i vecchi genitori, perché un giorno saranno vecchi anche loro, e per loro la vecchiaia sarà molto più lunga della nostra, perché nel frattempo la vita media si sarà allungata, e le pensioni saranno sempre più povere e più tardive, e le straniere che ora ci fanno da badanti saranno sempre meno, perché nel frattempo staranno meglio anche loro e non avranno più voglia di lasciare i loro figli per venire a lavare i nostri vecchi (se ci saranno ancora vecchi e nel frattempo non passerà una qualche forma di eutanasia tendente a spicciar presto letti e sedie a rotelle per non creare problemi ai giovani rampanti di domani).
Qualcuno forse obietterà: non hai fiducia nell’UOMO! E perché dovrei averne? Io ho fiducia in questo o in quell’uomo, perché l’UOMO non esiste. Esistono invece gli uomini. E degli uomini che io conosco i veri giusti sono pochi, molti altri sono persone oneste con i loro bravi difetti; altri sono disonesti non privi di pregi; i più sono un po’ onesti e un po’ disonesti; altri sono più disonesti che onesti; altri poi sono dei veri mascalzoni, altri ancora dei veri criminali. Dovrò dunque sempre fidarmi? Spesso certo sarà necessario fidarmi, rischiando, ma guai se non terrò gli occhi aperti. E poiché so che nel mondo in cui vivo, ad aver la meglio sarà quasi sempre lo scaltro il disonesto il senza scrupoli “lo squalo”, la mia fiducia avrà sempre vita dura. Io però ho la fortuna di essere un over-settanta. E ho la fortuna, ancora più grande, di sperare in un Dio che mi ama.

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