Aspettando la risposta di papa Francesco


Non intendo sostituirmi a papa Francesco nel rispondere alle tre domande sulla fede che Eugenio Scalfari ha rivolto mercoledì scorso (7 agosto) a Papa Francesco. La stessa lettera è un fatto, giornalisticamente e culturalmente parlando, di grande rilievo. Tale è la simpatia e il rispetto che il grande giornalista dimostra e professa per il papa, che non potrebbe in alcun modo passare inosservata. E checché ne pensi Scalfari, sono pronto a scommettere che Francesco risponderà. Come non so; come pure non so attraverso quale canale lo farà. Un’udienza privata? È possibile; non c’è dubbio che Scalfari ce ne farebbe conoscere i contenuti. Comunque ne sono certo: un seguito ci sarà. Papa Francesco usa volentieri sia la penna sia il telefono.
Ma intanto che verrà quel giorno o quell’articolo, mi proverò ad azzardare io le tre risposte. Non mi si dia del presuntuoso: non intendo sostituirmi al papa. Mi piace invece sottopormi a un esame e vedere quanto saprò indovinare del pensiero e delle parole di Francesco. Quando Scalfari ce ne darà conto, io mi darò il voto. E sarò severo, garantito.
L’articolo di Scalfari è sorprendente: egli vi mette a nudo la sua profonda e del tutto inedita simpatia per un papa il cui nome, Francesco, è già tutto un programma e una scelta di campo. Il mio articolo seguirà il suo passo passo.
Papa Francesco, scrive Scalfari, continua a dare scandalo ogni giorno (le parole in corsivo sono tutte di Scalfari, alla lettera). Per come veste, per dove abita, per quello che dice, per quello che decide. E di questo scandalo il vecchio illuminista (così si definisce), si rallegra moltissimo, sottolineando come, al contrario, il dialogo con la gente è continuo, collettivo e individuale, ascolta, domanda, risponde. Fa anche notare la spontaneità del suo fare: butta via il testo che tiene fra le mani e improvvisa senza sforzo, dove si trova si trova.
È buono come papa Giovanni, (questa è una vera dichiarazione d’amore sulla penna d’un vecchio laico che non ha mai fatto sconti alla Chiesa), affascina la gente come Wojtyla (per il quale invece Scalfari e il suo giornale non avevano mai dimostrato eccessive simpatie); trova straordinario che un gesuita abbia scelto di chiamarsi Francesco, il meno gesuita fra i santi cattolici; candido come una colomba, ma furbo come una volpe. Egli non può fare a meno di sottolineare che, per la prima volta dopo tanti anni, il mondo torni a guardare con interesse e cordiale curiosità alla Chiesa. Tutti ne scrivono,tutti lo guardano ammirati, e tutti… credenti e non credenti, aspettano di vedere cosa farà il giorno dopo.
Al vescovo di Buenos Aires Scalfari riconosce che la sua azione non era mai ispirata da interesse di parte, ma sempre dall’ansia di poter servire il suo popolo. Quanto alle scelte teologiche, vede con favore che Francesco, più che alla speculazione teologica è interessato alle sorgenti della sua spiritualità: Agostino, Ignazio e Francesco. Apprezza che la sua Chiesa ha da essere costruita a somiglianza di un Dio misericordioso, che non giudica ma perdona, che cerca la pecorella smarrita, che accoglie il figliol prodigo.
Certo, Scalfari sa bene che la Chiesa non è solo carisma, ma anche istituzione, e in quanto tale deve avere le sue leggi e le sue regole, ma vede con favore che Francesco vuole una Chiesa dedita al servizio, non al potere. Al servizio e alla pastoralità tutto deve tendere nella Chiesa e nel suo Vaticano. Se nel corso di questi duemila anni la Chiesa ha parlato, ha deciso, ha agito soprattutto come istituzione, ora è il momento di cambiare. Nessun papa prima di lui ha inalberato il vessillo della povertà; prima di lui tutti hanno gestito il potere, lo hanno difeso, rafforzato, amato. Fra la dimensione verticale e quella orizzontale, pare a Scalfari che la Chiesa abbia storicamente privilegiato, se non sempre, almeno molto spesso quella verticale: prima curiamoci dei diritti di Dio poi di quelli degli uomini.
Una lodevole eccezione a questa deriva verticale Scalfari l’aveva trovata nel card. Martini, il quale avrebbe voluto vedere la Chiesa al fianco del papa in una struttura collegiale che facesse leva su concili, sinodi e conferenze episcopali per il governo ordinario della Chiesa. La stessa attitudine Scalfari la trova ora in papa Bergoglio, l’uomo che già nel 2005 era andato vicinissimo all’elezione a vescovo di Roma.
Sono sicuro che a Scalfari piacerebbe tanto continuare con Francesco, primo papa gesuita, il fitto dialogo che solo la morte aveva potuto interrompere fra il laico illuminista e il gesuita che aveva “inventato” a Milano la cattedra dei non credenti (1987-2002). Ma tra Martini e Scalfari quell’esperienza s’era prolungata negli anni, fino a pochi mesi prima della morte del porporato. Di quegli incontri periodici il grande giornalista aveva sempre dato ampio resoconto sulle colonne del quotidiano da lui fondato.
Che sia proprio da questo magari non confessato desiderio di riallacciare un dialogo con il grande Interlocutore credente, che nascono le tre rispettose domande al gesuita Bergoglio, oggi papa di Santa Romana Chiesa? Sono quelle le tre domande alle quali io proverò a offrire quelle che io immagino potrebbero essere le risposte di Francesco. Il mio dunque sarà soprattutto un gioco: indovinare le risposte del papa nella cui fede io mi riconosco.
Prima di porre le sue tre brevi domande, Scalfari fa una premessa: egli non crede che il papa gli risponderà. Io invece sono pronto a scommettere che in una forma o nell’altra Francesco gli farà conoscere la sua risposta. Se non lo facesse, ne sarei grandemente deluso.
Scalfari incomincia presentandosi: egli non parlerà da giornalista, ma da non credente che è da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth figlio di Maria e di Giuseppe, ebreo della stirpe di David. Un non credente di cultura illuminista e che non cerca Dio e che pensa che Dio sia un’invenzione consolatoria e affascinante della mente degli uomini. Ed ora le tre domande.
Prima domanda: se una persona non ha fede né la cerca, ma commette quello che per la Chiesa è un peccato, sarà perdonato dal Dio cristiano? La risposta è facile: certo! Basterà che quest’uomo, riconosca d’aver fatto del male e, indipendentemente dalla sua fede in Dio, si penta d’aver introdotto disordine, male, ingiustizia e dolore nel mondo e nella vita degli uomini; basterà che ne provi dolore e per quanto potrà, cerchi di riparare al male fatto; a queste condizioni egli può essere certo che sarà perdonato da quel Dio che pure non conosce.
Seconda domanda: il credente crede nella verità rivelata, il non credente pensa che non esista alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma una serie di verità relative e soggettive. Questo modo di pensare per la Chiesa è un errore o un peccato?
Questa la mia risposta: è un errore. Potrebbe rappresentare un peccato solo alla condizione che quella convinzione derivi dalla volontà di tacitare la propria coscienza perché non ci intralci con i suoi scrupoli nei nostri intrallazzi e maneggi di potere, di ricchezza o di sfrenata libidine. Questo può valere per tutti: ricchi e poveri, potenti e miserabili, politici e preti.
Terza domanda: Papa Francesco ha detto che anche la nostra specie perirà come tutte le cose che hanno un inizio e una fine. Anch’io penso allo stesso modo, ma penso anche che con la scomparsa della nostra specie scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio e che quindi, quando la nostra specie scomparirà, allora scomparirà anche Dio perché nessuno sarà più in grado di pensarlo. Il Papa ha certamente una sua risposta a questo tema e a me piacerebbe molto conoscerla.
Fra le tre domande questa è certamente la più impegnativa. Darò la mia risposta così: ciò non è vero solo per Dio, ma per tutte le cose. Una cosa non conosciuta da nessuno, neppure da sé stessa, non serve. Non ex-sistit: non è mai nata, perché non è mai uscita da sé stessa per entrare (intro-ire) in un altro. Ora una cosa non conosciuta da nessuno è, ma non e-siste. Per e-sistere dobbiamo essere conosciuti, valere, essere amati o odiati da qualcuno. Dobbiamo essere utili o nocivi per qualcuno. Un universo di enti tutti inanimati, forse potrebbe anche essere, ma sarebbe certamente inutile. Appunto: non e-sisterebbe. L’unica cosa che ci fa esistere è l’essere conosciuti, desiderati, attesi, amati, odiati, usati da qualcuno, perché è solo in quel momento che noi entriamo (intro-ire) in un altro: uscire da sé stessi per entrare in un altro, far entrare in noi qualcosa o qualcuno fuori di noi, ma di cui abbiamo desiderio o bisogno, questo è esistere. La pluralità è assolutamente necessaria non tanto per essere (una pietra è per il solo fatto di esserci) quanto per e-sistere mediante la conoscenza). E questo vale per tutto l’essere. Anche per Dio. Ecco perché Dio non potrebbe neppure essere se non fosse Trinità, se non gli fosse assicurato già in sé stesso questo scambio di alterità. A nulla serve l’inconoscibile, il non appetibile. Questo mi sentirei di rispondere su questo punto: Dio, non ha bisogno che io lo pensi perché lui possa esistere. In Lui Padre, Figlio e Spirito Santo c’è già tutto ciò che gli serve per essere. Che questa possa essere anche la risposta di Francesco, non potrei però scommettere.
L’articolo di Scalfari termina con una riflessione che contiene un sfida formidabile: «Credo che il Papa che predica la Chiesa povera, sia un miracolo che fa bene al mondo. Ma credo anche che non ci sarà un Francesco II. Una Chiesa povera, che bandisca il potere e smantelli gli strumenti di potere, diventerebbe irrilevante (qualcuno ricorda Ruini?). È accaduto con Lutero e oggi le sette luterane sono migliaia e continuano a moltiplicarsi… Non hanno impedito la laicizzazione e anzi ne hanno favorito l’espansione. La Chiesa cattolica, piena di di difetti e di peccati, ha resistito perché non ha rinunciato al potere.
Ai non credenti come me, Francesco piace molto, anzi moltissimo, come pure Francesco d’Assisi e Gesù di Nazareth. Ma non credo che Gesù sarebbe diventato Cristo senza un San Paolo». Problema formidabile, per il quale avrò bisogno d’un’altra pagina. Prossimamente.
Intanto mi unisco all’augurio di Scalfari: Lunga vita a Papa Francesco.

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