Ahi chiesa! Quando finirai di farti male (da sola)?


Ci mancava solo la Suprema Corte di Cassazione a rinfocolare il contrasto fra società civile, laica e secolare, e le gerarchie ecclesiastiche su materia che in fatto di incendiabilità non ha niente da invidiare al petrolio.
La Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che «è ormai superata la differenza di sesso come presupposto naturalistico del matrimonio». Mica male come bomba incendiaria! Qualcosa che fa il paio con un’altra clamorosa sentenza della stessa Suprema Corte che pochi giorni prima aveva dichiarato che il reato di concorso esterno di tipo mafioso è ormai «un reato in cui nessuno crede più»: qualcosa che somiglia terribilmente a una visione craxiana dell’età di Mani Pulite: «Lo facevano tutti».
Cerco di tradurre per il volgo: se lo fanno tutti vuol dire che è “quasi” lecito. Oppure, un po’ più elegantemente: “vox populi vox legis” (la voce del popolo è la voce della legge). Ma è proprio vero che quando un comportamento è generalizzato, cessa di essere un reato, fin quasi ad acquisire carattere di legalità? Basterà allora dimostrare che “siamo in tanti” a delinquere, per affermare il diritto a veder riconosciute le buone ragioni del reo? Non sembrerebbe.
Se i criteri che hanno ispirato le due sentenze della Suprema Corte arrivino a dir questo non sta a me stabilirlo. Ma se la risposta fosse positiva, le conseguenze sarebbero davvero dirompenti, perché questo significherebbe che quanti più saranno i trasgressori, tanto meno punibile risulterà la trasgressione (cosa del resto già ampiamente sperimentata).
Pongo allora un problema elegante: chi detiene il vero potere di fare le leggi in una democrazia parlamentare? I rappresentanti del popolo liberamente eletti (i quali, nel fare le leggi, dovrebbero certo tener conto delle preferenze dei loro elettori), o il popolo stesso che, una volta raggiunto e ottenuto il consenso di massa, ha il diritto di imporlo ai propri eletti perché traducano in legge la volontà degli elettori? È ciò che avviene in ogni democrazia quando il popolo elettore, scontento dei suoi rappresentanti, tenta di riprendersi il potere diretto con le manifestazioni di massa, le contestazioni, le sommosse e le rivolte.
Questa però è solo la premessa. Perché ciò di cui voglio parlare oggi è il merito della seconda sentenza della Suprema Corte di Cassazione, quella che si riferisce alla vexata quaestio (oggi si direbbe tormentone) del matrimonio omosessuale, quel matrimonio cioè di cui la citata sentenza ha detto che “la differenza di sesso come presupposto naturalistico del matrimonio” è da considerare “ormai superata”.
Non è cosa da poco, oggettivamente. Anche perché così la Suprema Corte sembra dare autorità legislativa alla vox populi. Si noti bene: non intendo contestare la legittimità di questa “praesumptio” (che ormai siano in pochi a pensarla diversamente è gia stato dimostrato). Mi bastano le figuracce del divorzio e dell’aborto, per farmi passare ogni voglia di passare alla conta.
Capisco però anche lo sconcerto della Chiesa ufficiale. Non può riuscirle facile stare al passo con un pensiero e uno stile di vita che cambiano tanto rapidamente. Il pericolo sta nel fatto che mentre noi rimaniamo indietro a domandarci dove sta andando il mondo e magari ne condanniamo le scelte, il mondo ci volta sempre più le spalle e continua ad allontanarsi da noi. Sarà bene rifletterci un poco, se si vorrà porre un efficace rimedio.
La scena sarebbe quasi patetica se non fosse drammatica perché la Chiesa continua a parlare al mondo dall’alto della sua sicurezza di parlare a nome e con l’autorità della Parola di Dio, come Lui eterna e immutabile. Proprio a causa di questi attributi della Parola di Dio mai potrà la Chiesa, viene ribadito, dire sì alle nozze, alla famiglia e all’adozione di figli da parte di coppie omosessuali. Non lo ha potuto nel passato, non lo può oggi e non lo potrà fare domani. E la ragione è una sola: l’omosessualità non rientrava nei piani e nei progetti di Dio, quando “maschio e femmina li creò” e quando disse loro “crescete e moltiplicatevi”, e ancora “sarete due in una carne sola”: precetto e promessa che solo nel figlio della donna e dell’uomo trovano realizzazione e inveramento fisico e simbolico insieme. Per questo la Chiesa non potrà mai recedere dal suo “non possumus”: non possiamo né non potremo mai.
Dovrei io condannare qui tale obbedienza al comando divino? Neppure io posso, né ora né mai. Costasse quello che può costare, se questa è la sua percezione profonda del mandato ricevuto, la Chiesa non potrà mai vedere nelle nozze gay un vero matrimonio cristiano. Eppure…
Eppure non escluderei che la Chiesa, con il suo atteggiamento, stia andando un po’ oltre il suo mandato e il suo dovere. Che la Chiesa non benedica, amen. Può starci. Che la Chiesa disapprovi in via di principio, anche.
Ma che la Chiesa condanni e che si adoperi a che quelle nozze vengano negate, più ancora proibite, anche per chi cristiano non è, questo non ne consegue. Principi universali, si dice, che devono valere per tutti.
E sia, Madre Chiesa: e sia! Ma nell’uomo pulsano sentimenti che vanno oltre i tuoi princìpi, perché sono impastati di carne e di sangue: sentimenti che obbediscono a stimoli che non sono gli stessi di quelli che nascono dalla fede che noi predichiamo. In un mondo di diversi sarà duro imporre l’uniformità della legge. Il rispetto per “l’altro” diventa una necessità.
Nega pure il “sacramento” a quelli che ignorano o escludono volutamente di uniformarsi a quel disegno d’amore per il quale il matrimonio è stato pensato e voluto da Dio e benedetto da Cristo, perché verrebbe a mancare in esso uno dei fini essenziali del “sacramento”. Ma poi pensa anche che non tutti al mondo sono cristiani. E forse non è “molto cristiano” negar loro un qualche sbocco legale al loro bisogno d’amore.
Tu fai bene, Madre Chiesa, a negar loro “il sacramento”, che è nato per l’amore e per dare figli all’amore; ma una benedizione all’amore non si dovrebbe negare a nessuno che solo la desideri. E che due figli di Dio e tuoi desiderino vivere insieme la loro vita, amandosi come sapranno e potranno, nella fedeltà e nel mutuo rispetto e sostegno, potresti anche prenderne atto serenamente, affidandoli tu stessa alla tenerezza di Dio, sospendendo ogni altro giudizio.
E poi, se la legge degli uomini non vieta loro l’amore, perché negar loro la difesa e la garanzia che solo la legge umana può dare? Come negar loro il diritto della mutua assistenza in ospedale, certo conservando il riserbo che del resto vien chiesto a tutti? E perché negar loro i diritti che la legge prevede per chi resta, se uno dei due viene a mancare?
Non ho più spazio per parlare dei figli in adozione alle coppie gay. E vorrei terminare con una domanda e un auspicio.
La domanda: molti genitori hanno sofferto molto, scoprendo la condizione del figlio o della figlia omosessuale, e alla fine si son dati pace e hanno finito con l’accettare la loro sorte. Siamo proprio sicuri che il Padre che è nei cieli non sappia essere altrettanto comprensivo?
Infine l’auspicio: davvero alla Chiesa sarà negato il diritto di usare comprensione e magnanimità? Sarà meno tenera dei genitori di carne, essa che è madre nello spirito? D’accordo di sacramento non si parli (manca almeno una delle condizioni essenziali). Ma almeno una benedizione io la darei. Ma io non sono la Chiesa. Ma mi duole il cuore quando vedo i miei fratelli uscir di chiesa per non tornarci più.

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