E suonò l’ora della nuova rivoluzione cristiana


E papa Benedetto suonò di persona la ritirata e con quel po’ di fiato che gli restava disse al mondo intero che lui la sua battaglia l’aveva perduta. Facendo intendere che la Chiesa era sull’orlo della disfatta se non fosse venuto qualcuno capace di arrivare dove non aveva potuto lui; che ci voleva un cambio della guardia al vertice della Chiesa, perché lui, le sue forze, le aveva spese tutte. E senza risultati apprezzabili. Per lasciare un segno, non gli restava che abdicare. Troppo deboli le mani e le braccia, troppo fiacche le gambe, troppo vecchio il cuore, troppo stanca la mente per pensare in grande. Per sognare eroico. Se voleva dare una scossa e lasciare un segno gli rimaneva una sola cosa da fare. Scendere di sella e lascerò vacante il trono. Costretti a riflettere, i cardinali avrebbero forse inventato qualcosa. Un successore. Inventarlo? Proprio, non sceglierlo. Non c’era niente di buono in vista fra cui scegliere. Nei giardini vaticani fioriscono le rose, non i successori di Pietro. Bisognava cercare lontano. Molto lontano. Meglio se alla fine del mondo. E prenderlo di peso e trasferirlo al centro stesso del vecchio mondo, per tentare un trapianto. Meglio un innesto. Con la speranza che funzioni. Quanto a lui, Benedetto, poteva solo farsi da parte. Sognare un successore che potesse riuscire dove lui aveva fallito. Sperando che Dio lo voglia! E che Lo lascino fare. Perché gli uomini di Dio, vicini a Lui come sono, qualche volta riescono anche a legargli le mani.
Così la Chiesa ebbe un nuovo papa. E che papa! L’uomo che avrebbe rotto gli schemi, abolito l’etichetta, soppresso i privilegi; che dichiara scomunicati i mafiosi e ai corrotti dice che la loro corruzione “spuzza”; che non vuole macchine blindate perché lui la gente vuol guardarla negli occhi, toccarla, baciare i bambini e i portatori di handicap; quanto ai politici non li coccola, li bacchetta; e ai giovani ciellini dice chiaro che lui, da loro, si aspetta di più e di meglio. Per sé stesso presagisce (ma non sa dire perché) un papato breve. Dice di non avere le dimissioni in programma, ma nemmeno le esclude; non si augura il martirio, ma non teme la morte violenta e nessuna minaccia gli toglierà mai la libertà di muoversi in allegria fra la gente. Quanto al ruolo del papa nella Chiesa e sul suo modo di concepire la Chiesa, ha già detto tutto (o quasi) nella sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium che di fatto ha abrogato (pur senza dirci su una parola) il Dictatus papae di Gregorio VII, riconosciuta magna charta dell’assolutismo papale.
Ma la sfida decisiva, che va già preparando da tempo, per ora si limita agli accenni: è quella della nuova rivoluzione cristiana, di cui egli conosce bene le difficoltà. Sa, per esempio, di non poter contare che su una assai ridotta fetta di quell’immensa torta di 1.300 milioni di cattolici anagrafici, la grande maggioranza dei quali cattolici lo sono giusto di nome. Questa discrepanza si fa risalire perlopiù a un diffuso deficit di conoscenza catechistica che affliggerebbe il popolo cristiano. A questo deficit si è cercato di far fronte rinnovando i catechismi, soprattutto quello degli adulti. Ora quel Catechismo è disponibile a tutti, ma a servirsene sono i pochi Vito Mancuso in circolazione, che più che altro se ne servono per i loro studi e per poter arricchire i loro testi di qualche dotta citazione dai testi ufficiali. Ma l’urgenza sta altrove.
L’urgenza vera sono i tanti che la fede non l’hanno ancora incontrata, che non l’hanno mai avuta e soprattutto quelli che la fede la stanno perdendo o l’hanno già perduta per strada, per la percezione netta della sua inutilità, per la sua incapacità di parlare loro, di capire le loro difficoltà e di dare adeguate risposte ai loro dubbi, alle loro obiezioni, ai loro desideri. Sono quelli che le conferme alla fede non la cercano nelle parole, né scritte né dette per mestiere, ma solo in chi sa tradurre in vita le parole che predica.
E sono stati proprio loro i primi che hanno riconosciuto nel papa arrivato dalla fine del mondo la via che forse riuscirà a riconciliarli con un Chiesa da cui s’erano sentiti traditi nelle loro speranze di giustizia verità e autenticità.
Ciò che li ha sedotti tutti è la sua umanità autentica e profonda, la sua genuina semplicità, la sua franchezza, la sua parola piana e il suo parlare sottovoce; ma che sa alzarla, e quanto!, quando serve, sì che tutti la possano udire, vicini o lontani che siano, e nessuno possa accusarlo di reticenza per paura o per rispetto umano.
Cosa aspettarsi da un uomo come lui? Io posso dire solo ciò che m’aspetto io, ciò che io spero da lui.
Io spero che egli continui a far suonare le sue campane di pace contro chi fa crepitare i suoi mitra; che egli continui a predicare pace in nome di Cristo e non le trombe delle crociate della riconquista di nessun santo sepolcro, perché le riconquiste, esattamente come le conquiste, servono solo a riempire i cimiteri e a farne costruire di nuovi.
Mi aspetto che l’unica crociata che egli vorrà predicare sia quella che sta già predicando contro il malaffare incancrenito della pubblica amministrazione e della politica, contro le mafie di qualunque colore e di qualunque nome, contro la vanità, i privilegi e gli scandali della e nella Chiesa, contro il culto dell’Oro, non importa se in forma di vitello o di lingotto, contro l’economia über alles che uccide ed affama e lo scodinzolamento in favore di chi può farti ricco e/o potente, in che modo non importa, tanto pecunia non olet
A questo proposito devo però dire – e lo dico a malincuore e col massimo rispetto – che c’è una cosa che mi sfugge in papa Francesco, ed è questa: non mi spiego come un papa, tanto sobrio nel vestire, che ha lasciato cadere tutti gli accessori preziosi dal suo vestiario pontificale, si lasci poi circondare da ormai più di duecento cardinali vestiti di porpora, colore che, che per la sua bellezza e per il suo costo, è stato fin dall’antichità esclusiva di imperatori, di re e di nababbi viziosi (non per nulla Gesù ha vestito di porpora e bisso l’odiosa figura del ricco epulone, Lc 16, 19). Si risponde: il rosso porpora è il colore del sangue che i cardinali devono essere pronti a versare per Cristo. Suvvia! Gesù il suo sangue l’ha versato: non se ne è mica rivestito! O sono io che non capisco?
Perché poi uno dei grandi meriti di questo papa è proprio il suo impegno contro il lusso e la ricchezza nella Chiesa. Per esempio: quanto hanno giovato alla popolarità di Francesco quelle scarpe nere, grosse e sgraziate, che nessuno (o quasi) dei nostri vescovi accetterebbe mai di portare? Che ci fanno quelle porpore attorno a quelle scarpe?
Perché non c’è ombra di dubbio: questa guerra alla ricchezza spudorata e senza cuore è l’unica guerra nella quale tutti vorrebbero vedere impegnata la loro Chiesa.
Una guerra che, per vincerla, le basterà combatterla. Nessuno infatti pretenderà che le riesca di debellare la ricchezza: basterà che Lei ci aiuti a liberare il nostro cuore dal fascino perverso della ricchezza mostrandocene tutta l’iniquità: «finché ci sarà un solo povero sulla terrà, nessuno avrà mai il diritto a essere ricco, a voler essere giusti» scrivevo molti anni fa. Oggi la penso ancora così. E mi auguro che così la pensi anche la Chiesa. È questa la vera battaglia da combattere. Ne prenda Lei il comando: Le verremo tutti dietro. Saremo legioni. Allora, forse, vedremo ancora riempirsi le chiese, come avvenne negli anni del Concilio, negli anni delle grandi speranze. E chissà che non si vedrà rifiorire anche la fede nel popolo, conquistato dalla Sua umanità? Le parole di Gesù valgono ancora: «Se non credete alle mie parole, credete almeno alle mie opere» (Gv 10,38). Perché la testimonianza è la vera nuova frontiera della catechesi. Di parole siamo fin troppo sazi. Tutti.

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