Quali lumi? È evidente. Quelli che illuminano il genio (si fa per dire) e le matite dei disegnatori di Charlie Hebdo, epici eredi degli illuministi del secolo dei Lumi, il XVIII dal natale di Gesù Cristo: è quello il secolo zero della nuova era, quella inaugurata da Voltaire e Diderot, padri fondatori della nuova civiltà che in quei disegnatori sembra aver trovato i suoi profeti.
Un vero battesimo di sangue: 12 morti e 11 feriti il prezzo delle vignette satiriche sul profeta Maometto e sull’Islam, Non erano i primi, né saranno gli ultimi (vedi Copenaghen, 14 febbraio) . Cifre che fanno inorridire. E inorridito rimase il mondo: ne furono prova i quattro milioni di francesi e non solo che fra Parigi e il resto della Francia hanno manifestato contro la barbarie degli estremisti islamici al grido condiviso di “jesuischarlie”. Ci furono dentro tutti, e chi ne restò fuori, come Obama, se ne dichiarò pentito.
In quei giorni tutti sventolarono il vessillo dei lumi¸ la grande eredità culturale e morale di cui tutti si riconobbero figli e debitori. Contro ogni oscurantismo, contro il culto delle tenebre e dell’errore, di tutti i dogmi e di tutte le fedi che pretendono d’imporre invalicabili confini alla sovrana, assoluta, inalienabile libertà d’opinione, di parola, di critica e di satira fino all’irrisione e al dileggio di ogni fede: filosofica, culturale, politica o religiosa che sia. Il lutto si trasformò in un’apoteosi e in un affare per la rivista satirica: 3, 5, 7 milioni di copie alla ripresa delle pubblicazioni (l’ultima però s’è fermata a 2,5 milioni, che non sono pochi!). Se la strage fu un venerdì santo, la ripresa fu la sua pasqua di risurrezione.
Giusto un mese più tardi (8 febbraio u.s.) il quotidiano laRepubblica riportava un lungo articolo di Pankaj Mishra, autorevole pubblicista indiano, il cui titolo in italiano suonava Riaccendiamo i Lumi. Una dichiarazione di fede nei principi della civiltà dei Lumi, ma con l’occhio vigile (e acuto) di chi va a sbirciare anche fra le pieghe del panneggio, oltre lo scintillio delle apparenze, alla scoperta della vera sostanza di ciò che gli viene offerto.
In verità il pensiero di Mishra è chiaro: la filosofia o, forse meglio, la civiltà dei Lumi ha meriti che nessuno potrebbe misconoscerle, ma è anche innegabile che nel corso dei secoli, e specialmente in questi ultimi decenni, essa è andata accumulando in sé stessa evidenti contraddizioni che finiscono col nuocere alla purezza e all’efficacia delle sue origini. Molte di queste deviazioni sono riconoscibili anche nella filosofia ispiratrice dei redattori e dei disegnatori di Charlie Hebdo. Con parole mie io le riassumerò così;
1. non esiste altra verità al di fuori di quella che afferma che nessuna verità può essere mai considerata definitiva;
2. non esiste altra religione che quella che nega l’assolutezza di qualsiasi religione;
3. non esiste altra religione che non sia quella della libera ragione;
4. non esistono limiti alla libertà di pensiero, di espressione, di negazione, di satira, di offesa, di irrisione, di bestemmia.
Al proposito Pankaj Mishra riporta uno slogan molto citato in quei giorni: «Nessuno ha il diritto di non venire offeso». In questo modo anche papa Francesco e il suo “pugno” minacciato a chi offende sua madre, è liquidato.
È a questo punto che Pankaj Mishra dà a capire che a suo parere queste rivendicazioni sono un po’ esagerate; perché se questo era stato il sogno di «alcuni filosofi europei e americani» – un futuro nel quale uomini «armati di ragione e diritti avrebbero portato il progresso»– , di fatto poi «non tutto è andato come previsto». Sta di fatto che «la storia post-illuminista d’Europa ha reso inaccettabile gran parte della brutale mancanza di rispetto di Voltaire e Diderot per la religione», al punto che «un disperato Joseph Roth» si è visto costretto «a esclamare che preferiva la vecchia “paura di Dio” europea al «cosiddetto umanesimo moderno».
Si leggano per esempio queste parole di Mishra: «Voltaire e la Rivoluzione francese hanno separato religione e ragione, politico e teocratico, laicità e fede». Ne è risultata «una secolarizzazione che oggi appare sempre più come disumanizzazione. Ecco perché si chiede all’Occidente un nuovo Illuminismo spirituale».
Il concetto ritorna più avanti: oggi «La secolarizzazione può apparire troppo simile alla despiritualizzazione, se non alla disumanizzazione: una ricetta per l’inautenticità»!
Qualche altro sprazzo di saggezza? Eccone alcuni: «Riconoscere che ci sono molti modi di passare alla modernità, è muoversi… verso una forma più accomodante di laicità e democrazia… sempre più necessaria in un Europa irrevocabilmente multietnica». Citando Hannah Arendt: «…tanto i non-musulmani che i musulmani sono chiamati a rinunciare non alla loro «tradizione e al loro passato nazionale» ma «all’autorità vincolante e alla validità universale che la tradizione e il passato hanno sempre preteso». Cita inoltre Jürgen Habermas che afferma che «la sostanza dell’umano» può essere salvata solo da quelle società «che sono in grado di introdurre nel dominio secolarizzato i contenuti essenziali delle loro tradizioni secolari».
Mi rendo conto che quella che propongo oggi ai miei lettori non è una piacevole lettura distensiva, ma è quanto di più urgente si possa proporre all’homo christianus del tempo nostro e del futuro. E si tenga anche conto che oggi è proprio la fede cristiana a rischiare di più. La laicità, infatti, se non è ancora arrivata a minacciare le grandi masse delle varie religioni non cristiane) sta ormai per giungere al cuore stesso del cristianesimo, che appare proprio come la religione più a rischio nel panorama mondiale.
Una ragione di più, questa, per ritenere provvidenziale l’apparizione di papa Francesco sulla scena cristiano-cattolica. Figura carismatica come poche altre, egli riesce a fare notizia qualunque cosa faccia (ricordate la sua “misericordina”? Ci furono sorrisi, ma tutti parvero chiudere un occhio). Cosa si può dedurre da tutto ciò che precede?
Uomini e donne di diversa fede e cultura, sembrano convenire su alcuni pochi punti: l’umanità perderebbe molto se dovesse smarrire il patrimonio d’umanità che le viene da millenni di fede, di civiltà e di diritto ispirati alle varie religioni. Millenni che hanno segnato, fra alti e bassi una notevole crescita nel processo di umanizzazione delle “umane belve” (Dal dì che nozze e tribunali ed are/ dier alle umane belve essere pietose/ di se stesse e d’altrui: così Ugo Foscolo ne I sepolcri), non possono andare perduti a motivo di una sopravvenuta barbarie che ha smarrito ogni regola e norma del vivere civile. È quello che i diversi testimoni citati da Mishra ci ricordano e che noi cristiani faremmo bene a tenere molto presente. Perché in un mondo ormai irreversibilmente multiculturale, non sarà più possibile per nessuno pretendere d’imporre i propri dogmi, sia teologici sia morali, a chi professa un’altra fede o a chi di fede non ne ha più nessuna. Già il filosofo Karl Jaspers insegnava che io posso imporre l’adesione a ciò che è provato per scienza, non a ciò che si crede o si spera che sia vero. Perciò la fede in Dio si può proporre, mai imporre, perché nessuno ne potrà mai “provare” scientificamente l’esistenza. Ciò vale anche per tutto ciò che da quella fede consegue, norme morali incluse. E ciò che vale per il teologo, non vale di meno per il filosofo. Si contino per favore le guerre e i morti dall’epoca dei Lumi a oggi: chi potrà convincermi che sono stati meno numerosi di quelli dell’età dei crociati? Ecco perché a me i Lumi non bastano. Anzi, per favore, spegneteli: Ho nostalgia di sole! E voi sapete bene Chi è.
Spegnete quei lumi! Voglio vedere il sole!
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