Eppur si muove n.2: e come se si muove!

La prima parte del titolo di questo articolo non è nuova. E non solo perché quelle parole sarebbero state dette da Galileo Galilei dopo aver firmato l’abiura alla sua tesi sul movimento della terra intorno al sole (una tesi in netto contrasto con l’interpretazione allora corrente delle parole della Bibbia [Gs 10], secondo cui Giosuè, il successore di Mosè alla guida del popolo ebraico, avrebbe ordinato al sole e alla luna di sospendere il loro movimento intorno alla terra, per consentire al giorno di durare fino alla completa vittoria degli Ebrei sugli Amorrei).
Non è nuova anche perché le stesse parole io le ho già usate quasi esattamente due anni fa (15.2.2013) per commentare le dimissioni di Benedetto XVI, da lui annunciate 4 giorni prima. Allora mi riferivo al fatto che finalmente un papa aveva trovato il coraggio di dimettersi, dopo il penosissimo spettacolo offerto da un papa, grande quanto si vuole ma ridotto ormai a larva umana, tenuto in piedi da chi sperava di ricavare credito per la Chiesa dall’eroismo d’un papa che s’addormentava durante le interminabili liturgie pontificali, che parlava in modo ormai incomprensibile ai più, che lasciava cadere bava dalla bocca, che non ha potuto trattenere un moto di dispetto e forse di disperazione quando non riuscì a salutare, dalla finestra del palazzo apostolico, i fedeli raccolti in piazza San Pietro per l’angelus di mezzogiorno.
Erano tempi, quelli, in cui si voleva imporre l’idea che il papa è come un capitano di mare che non si mette in salvo senza la sua nave e, piuttosto che sopravviverle, preferisce affondare con essa. La cosa andò avanti finché lui stesso, stanco di questo gioco, non rispose, in tono brusco e risoluto, a chi gli prospettava l’opportunità d’un nuovo piccolo intervento chirurgico: «ma lasciatemi andare»!
Avevo più volte espresso la mia totale contrarietà a questa mancanza di pietà e di rispetto (sì, proprio: rispetto!) nei confronti d’un grande papa caduto, senza sua colpa, nella “disgrazia” dell’ alzheimer, e mi augurai che presto qualcosa avesse a mutare, nella Chiesa, in materia: qualcosa che permettesse di avere pietà anche di un papa, così come la si usa di solito per ogni potente amato e rispettato quando la sua vista anziché ispirare ammirazione ed entusiasmo, diventa solo umiliante spettacolo di decadimento fisico.
Quando dicevo queste cose mi rispondevano che un papa, per quanto soffra, non scende mai dalla croce che gli è stata riservata.
Poi però vennero Benedetto XVI e il suo 11 febbraio 2013 e, come per incanto tutto questo cessò d’essere vero. Io me ne rallegrai e mi augurai di vivere ancora un po’, perché fui subito certo che quello era solo un inizio e mi sarebbe piaciuto vedere anche il seguito della storia. Un seguito che con papa Francesco promette d’essere ancora lungo perché, di certo, ce ne farà vedere ancora delle belle; e sebbene siano passati ormai quasi due anni dalla sua elezione, in realtà siamo ancora solo all’inizio (un rodaggio bisogna pur farlo).
Così siamo arrivati a ieri, venerdì, con un’altra notizia che ha fatto sensazione: il papa avrebbe detto (laRepubblica.it) a cinque preti, sposati con regolare dispensa e presenti con le mogli alla messa a Santa Marta, che il tema dei preti sposati “è già nella mia agenda”.
Non è meraviglioso? Riesce, chi mi legge, a rendersi conto di quanta strada ha fatto in 50 anni la Chiesa cattolica? Perché ancora 50 anni fa, chi diceva cose che si scostavano dalla linea ufficiale della Chiesa, si ritrovava o a Cartagine (P. De Lubac) o a Barbiana (don Milani) o a Bozzolo (Don Mazzolari) o a poter predicare solo all’estero come capitò al “microfono di Dio” P. Riccardo Lombardi. E fu proprio il coraggio di questi pionieri a permettere alla Chiesa ufficiale di fare i passi da gigante che furono poi propiziati dal Vaticano II, il concilio voluto da Giovanni XXIII, uomo semplice e mite, del tutto estraneo alle diatribe teologiche, che il suo concilio lo volle tutto pastorale, senza nuovi dogmi da proclamare né scomuniche da comminare. Un concilio a preparare il quale erano stati chiamati, insieme ai maggiori rappresentanti delle scuole teologiche romane, quasi tutti i più discussi e controversi teologi d’oltralpe, da De Lubac a Congar, da Chenu a Schillebeeckx, da Rahner a Haering. Lo stesso discorso valeva per le discipline bibliche e liturgiche, allora attentamente seguite e tenute d’occhio da Roma.
Ho ricordato tutto questo perché sarebbe un grave errore prospettico immaginare che questi cambiamenti siano dovuti ai grandi papi che la chiesa ha avuto nell’ultimo mezzo secolo. Non essi hanno avuto il merito di aprire le nuove strade sulle quali oggi la Chiesa cammina: a loro va riconosciuto piuttosto il merito di aver avuto il coraggio di avventurarsi su sentieri che altri, esploratori e sherpa, avevano scoperto o tracciato. Perché è sempre così: pochissime sono le cose che riescono bene al primo tentativo; le migliori sono sempre quelle che nascono da anni di lavoro assiduo, di laboriosi tentativi e ripetuti esperimenti.
Per rimanere in argomento: Paolo VI aveva introdotto per i preti in difficoltà la possibilità di lasciare l’esercizio del ministero in maniera pacifica e non traumatica. Spaventato dalle molte richieste, Giovanni Paolo II s’era affrettato a richiudere quella porta (salvo poi riaprirla anni più tardi).
Ora papa Francesco, dichiarando che nella sua agenda figura la possibilità di dotare la Chiesa di un clero sposato, sembra voler andare finalmente al di là dei suoi predecessori. Egli avrebbe già dato al cardinal Claudio Hummes l’incarico di studiare la questione e preparare una traccia di lavoro sull’ordinazioni di uomini sposati e dalla condotta esemplare (viri probati). Brasiliano e francescano, Hummes, già prefetto della congregazione del clero, s’era fatto notare già dalla sua prima intervista, per avervi detto che l’ordinazione di uomini sposati era solo questione di tempo (intervista che si dovette rimangiare appena arrivato a Roma). Parole e atti così precisi lasciano bene sperare sull’intenzione del papa di bruciare le tappe e di introdurre, magari lui stesso, la riforma del clero.
Si noti la circostanza: mancano pochi anni al millennio esatto da quando Gregorio VII scatenò la sua offensiva contro ciò che rimaneva nella Chiesa latina di un clero coniugato. Erano anni difficili e il clero versava in condizioni morali disastrose. Ma è lecito chiedersi se quella scelta dal grande papa sia stata la strada migliore per venirne fuori. Ora un nuovo inizio è possibile. Francesco ha le carte in regola per tentare la grande impresa.
Se così sarà, mancherebbe solo un ultimo passo, da fare subito dopo: a chi, prete, volesse dire, a un certo punto della sua vita, “adesso basta di vivere solo”, che venisse dato di poter recedere dal celibato, in perfetto accordo con la Chiesa, rendendosi disponibile, sempre che lo voglia, a continuare però nel ministero, magari a mezzo servizio, dichiarandosi pronto ad aiutare, secondo le proprie forze e le altrui esigenze, chi rimane a lavorare e a combattere “al fronte”, cioè a tempo pieno nel ministero. Un’eventualità, questa, da praticare solo oltre una certa età, oltre l’età feconda della coppia, perché non andrà mai dimenticato il monito di Paolo: solo una sana famiglia potrà dare garanzia sulla qualità del futuro prete e in questo i figli sono parte essenziale. I figli, oggi, sono una variabile del tutto impazzita e i danni che potrebbero derivare da figli dissennati, sarebbero incalcolabili. Ma di questo discuteranno altri, forse, in futuro. Per ora mi godo il realizzarsi d’una speranza che ho nutrito da sempre. Domani è un altro giorno.


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