Disculpe, Padre Santo, tengo una cosa de pedirle


Mi perdoni, Padre Santo, amatissimo papa Francesco, ma ho una cosa da chiederLe. Una cosa che mi fa molto soffrire, d’un dolore che somiglia molto al suo, a quello che Lei ha certamente provato quando ha incontrato in casa sua quel gruppetto di abusati per opera di preti, i quali con le loro azioni hanno insozzato con la propria coscienza, anche la Chiesa.
Quel che è peggio è che il loro peccato non è stato il solo in questa storia: e giustamente lo sdegno popolare investe e colpisce allo stesso modo pedofili e “protettori” degli stessi, coloro che li hanno coperti, protetti, in qualche modo nascosti, (ma di grazia, non dovremmo qui risalire anche molto in altro per trovare i responsabili?). Li spostavano da una parrocchia all’altra, da un istituto all’altro, giusto per evitare lo scandalo, ché la chiesa non perdesse il suo prestigio, il suo ascendente sulle famiglie e sulla gioventù e i genitori continuassero a mandare i loro figli e figlie dai preti, dai religiosi e dalle suore, negli oratori e nei conventi; perché gli angeli custodi dei loro figli non apparissero come tanti demoni tentatori.
Ricordo bene quando i miei genitori mi dicevano “non state sempre per le strade a fare cattive compagnie; andate al priorato, col prete state al sicuro”. Devo dire di non avervi mai avuto brutte sorprese. Forse erano altri tempi e il ’68 e la rivoluzione sessuale che ha interessato certamente anche gli uomini di Chiesa erano ancora lontani da venire.
Poi i tempi sono cambiati e con i tempi son cambiati anche gli uomini: anzi prima sono cambiati loro, gli uomini, i tempi e il mondo sono cambiati in conseguenza).
Fu allora che in vaste ragioni del mondo, fra queste anche l’Italia, cominciò la fuga dei preti, a migliaia in Italia, a decine di migliaia nel mondo. E quelli che rimanevano non era sempre per fedeltà alla vocazione, ma anche, e spesso, per paura d’un futuro incerto, molto incerto, non avendo titoli di studio riconosciuti dallo Stato, non avendo un mestiere, e con una famiglia (quella d’origine) alle spalle che li avrebbe certamente disapprovati, rifiutati, con le mamme che dicevan loro che sarebbero morte di vergogna e di crepacuore se lasciavano. Ci furono mamme che si vestirono a lutto, e che non vollero più uscire di casa per la vergogna.
Così molti di loro sono rimasti al loro posto, a sbarcare un lunario che non prevedeva mai una giornata di sole.
Del resto per molti di loro anche il mattino era stato tempestoso. Quanti bambini mandati giovanissimi in seminario o perché la vocazione l’aveva la mamma o lo zio prete, la cui vocazione doveva essere tanto forte che sarebbe bastata anche per il nipote.
Così si ritrovarono preti in una stagione nella quale tutto stava cambiando, e niente o quasi niente rimaneva com’era prima, quando avevano detto sì a farsi prete.
Del resto gli stessi vescovi e rettori di seminario diventavano sempre meno disposti a rinunciare a vocazioni sempre più rare. “E poi c’è sempre la grazia di Dio che può far miracoli”, era la loro professione di fede. E le parrocchie sempre più vuote per la fuga dei preti, e per l’età avanzata che faceva inesorabile la sua parte nel favorire un ricambio che non poteva esserci per mancanza di aspiranti. Sicché le porte dei seminari si fecero sempre più larghe e raramente si dice di no agli incauti che facevano domanda d’entrare. “Bisogna anche fidarci di Dio”, disse una volta, sospirando, un vescovo.
E neppure si voleva tener conto che per migliaia di quei giovani la castità non era la loro vocazione, al massimo era una condizione “prendere o lasciare”. Finché non accadeva che l’impatto con un mondo da cui erano sempre stati tenuti lontani come dalla peste, quei giovani o magari neppure più tali, hanno finito col perdere del tutto la bussola e se in molti se ne sono andati, molti han finito col restare, ma creandosi le loro valvole di sicurezza. E fu la tragedia. Proprio quella tragedia che papa Francesco denuncia con franchezza quasi brutale. “Userò il bastone, come Gesù”, ha detto giusto una settimana fa a Scalfari.
E come non comprendere la sua amarezza, di fronte al mare di fango che quella sciagurata vicenda ha rovesciato sulla Chiesa, quasi il cedimento della diga del Vajont, che in pochissimi minuti ha seminato morte e devastazione sull’intera valle del Piave, che questa volta non nulla poté perché non passasse l’acqua assassina?
Proprio quegli uomini, preti e frati, vescovi e perfino qualche cardinale, gente che avrebbe dovuto rappresentare il corpo scelto nella lotta alla corruzione e alla lussuria ormai dilaganti, furono trovati immersi fino al collo in quell’immonda melma.
Proprio quelli dai quali ci si aspettava di sentirsi dire “lasciate che i bambini vengano a me” (Lc 18,16 par.). E il mondo s’è sentito tradito e comprensibilmente e legittimamente ha finito con lo scagliarsi contro i responsabili della tragedia. Intere diocesi hanno sfiorato e qualcuna è anche decisamente incorsa nel fallimento, oppresse delle enormi somme pretese dai tribunali per il risarcimento dei danni morali alle vittime.
Danni in realtà gravissimi, turbe psicologiche che non sempre sono state né forse potranno essere riassorbite, superate, metabolizzate. Squilibri psichici e angosciose nevrosi, incubi e ossessioni per anni. Nulla di più giusto della severità assicurata da papa Francesco.
Eppure…
Eppure un pensiero mi perseguita, ogni volta che leggo o rifletto su questa orribile vicenda, su questa autentica vergogna che ci rigetta in pieni secoli bui della Chiesa, quando anche le chiese potevano essere usate come luoghi di commercio adulterino o meretricio.
Il pensiero che mi molesta è questo: eppure anche questi poveretti, questi preti che hanno sbagliato tutto nella vita, mi fanno una pena inconsolabile. Perché, se non di tutti loro, certo per molti, anche di loro si può ben dire d’essere stati vittime d’un sopruso, da parte di chi li ha voluti preti per forza, fossero stati i genitori (quando le bocche da sfamare erano sempre troppe in famiglia), fossero stati gli zii preti o frati o le zie suore; quando si son visti offerti alla Madonna o al buon Dio (è il concetto che ha dato vita agli oblati e alle oblazioni di vite umane) in segno di devozione o forse solo per convenienza sociale. Tenuti per anni lontani da casa, senza conoscere nulla del mondo, senza mai poter incontrare da soli una donna, a volte (non so quante volte) messi lì con l’inganno. Di uno di loro posso per personale conoscienza del fatto, che il bambino, una volta diventato prete per la devozione della mamma e dello zio prete, lui ha certamente conservato la sua verginità, ma sulla trentina d’anni s’è dovuto fare svariati anni in manicomio. D’un altro, so per certo che fu portato dal padre ad Assisi, e abbandonato (sic!) in convento con l’inganno: davanti al figlio che si disperava e che da giorni non mangiava il padre gli disse: “preparati, torniamo a casa. Vado solo un attimo in bagno”. Il figlio non lo vide più tornare. Era “fuggito”, lasciandolo solo in convento coi frati. Aveva nove anni.
Ecco perché, Padre Santo, io la prego: non parli più di tolleranza zero per i miei fratelli pedofili: non parli più di bastone. Chiami piuttosto qualcuno di loro magari a celebrare con Lei la Santa Messa magari dopo un robusto atto penitenziale comune, e invece d’una bastonata gli passi una carezza sulla faccia, rossa di vergogna. Io amerei Vs. Santità ancora di più di quanto già non l’ami. Che è già davvero tanto!