Nella domenica dei quattro papi, onore al più piccolo

La domenica dei quattro papi l’hanno chiamata: due in cielo e due sulla terra. Tutte e quattro grandissime figure. Giganti. Letteralmente. Un incontro fra titani.
Sia chiaro: il mio papa resta Giovanni XXIII, il papa della mia giovinezza romana. Ero a Roma, al Seminario romano, solo da dieci giorni quando lo elessero. E io ero lì, in quella piazza unica al mondo, a godermi una scena che solo in quella piazza era dato vedere e solo “a ogni morte di papa”, letteralmente. Vidi la fumata bianca che ne annunciava l’elezione e ne vidi l’incoronazione; lo rividi all’apertura del concilio, fui presente ai suoi funerali. Sì, senza ombra di dubbio fu il mio papa e lo è rimasto fino al 13 marzo 2013, quando vicino a lui e a fare coppia con lui nel mio cuore venne a porsi un uomo venuto dalla fine del mondo, ma con un nome che più umbro non si può, Francesco, da una città e su una tomba dove avrei in futuro insegnato per 30 anni.
Francesco, a detta un po’ di tutti, somiglia molto a papa Giovanni, ma molte sono anche le differenze fra i due. Una cosa li accomuna: sanno farsi amare fino alla passione da milioni e milioni di gente che davanti a loro si commuovono, ridono, piangono, applaudono, pregano, invocano e mandano baci.
Però non sono uguali: uno era greve di stazza, pesante, bonaccione, aveva bisogno di tempo per smuovere la sua mole, ma seppe prendere, nel giro di pochi mesi di pontificato, decisioni di portata storica incalcolabile. Il mondo sbalordì quando, dalla basilica di San Paolo fuori le mura, lo sentì annunciare l’indizione d’un Sinodo romano e soprattutto d’un Concilio ecumenico. Fede e coraggio formidabili in un uomo sull’ottantina che, una volta diventato beato, s’è lasciato tanto andare che non s’è più neppure ricordato di fare il secondo miracolo per diventare Santo. Fortuna papa Francesco, che con una mossa delle sue, deve aver detto: “se la Buon Anima si fa una pennichella, ci penso io: per la gente lui è già Santo: e Santo sarà”. Grazie, Francesco! E così di due dei quattro papi, anche se poco, qualcosa ho già detto.
Poi c’è Giovanni Paolo II, gigante fra i giganti. Giorno più giorno meno, 28 anni di soglio pontificio.
Godutissimo: piscina olimpica a Castel Gandolfo per il nuotatore GP II; frequenti puntate in incognito sui campi di sci di Campo Imperatore sul Gran Sasso per lo sciatore GP II; vacanze estive sull’Adamello e in altre amene località alpine per lo scalatore GP II; più avanti negli anni mete e località più tranquille, tutte silenzio e serene passeggiate per il mistico GP II.
Ma anche 28 anni di soglio da protagonista sulla scena mondiale: Il nostro mondo sarebbe stato certamente diverso senza di lui: la Polonia avrebbe mai avuto la sua Solidarnosh? Sarebbe mai caduto il muro di Berlino? Si sarebbe mai avuto il breve decisivo fenomeno Gorbaciov e la frantumazione del mastodonte sovietico? Neanche i contrasti furono pochi: la sua opposizione agli ecclesiastici nel governo del Nicaragua; le sue riserve su mons. Oscar Arnulfo Romero, nemmeno beatificato malgrado il martirio sull’ altare durante la celebrazione della messa; la sua reputazione di papa conservatore malgrado tutti i suoi happening nei raduni di giovani. Neppure i riconoscimenti furono pochi: lo storico discorso di Agrigento contro la mafia; le riabilitazioni e le domande di perdono per gli errori commessi dalla Chiesa (Galileo, Darwin, i roghi per gli eretici…).
E ancora: 28 anni da globetrotter per il mondo intero a correr dietro e a farsi rincorrere dai giovani di tutto il mondo: le serate da popstar negli stadi, sulle spiagge, nelle spianate per raduni oceanici, con altari monumentali solo per lui. E dietro a lui, dovunque andasse, l’esercito dei papaboys, a milioni, essi stessi diventati giramondo come lui.
E ancora: 28 soffertissimi anni alle prese con gli ospedali; un attentato che solo per un pelo, o per un miracolo della Madonna di Fatima (questa la personale convinzione sul suo mancato martirio) non si risolse in una tragedia dalle conseguenze probabilmente incalcolabili. E poi il parkinson, e poi il tremore delle mani e della testa, e i ricoveri a ripetizione al Gemelli, fino all’ultima impennata d’orgoglio e di abbandono alla volontà di Dio: «Lasciatemi andare!».
E quando finalmente quel momento venne, l’apoteosi finale, 5-6 giorni di pellegrinaggio ininterrotto alla sua salma, e il grido imponente, urgente, imperioso che risuonò durante tutto il suo funerale che invocava Santo subito! Un papa, GP II, davvero segnato dalla contradizione anche dopo morte. Per un card. Ruini (e non solo lui) che ne parla come di un vero taumaturgo già in vita (si parla di centinaia di miracoli), è strana la sua sfortuna postuma con le statue che lo ricordano. Hanno cominciato a Roma, con il monumento dedicatogli sul piazzale della Stazione Termini che più brutto di così non si poteva. Hanno cercato di rimediare in qualche modo, meno che nell’unico in cui bisognava procedere: buttare via quell’obbrobrio.
Ora, proprio alla vigilia della canonizzazione, è avvenuto molto di peggio. Quasi a fargli un dispetto, tanto per rovinare la festa al Santo e a noi, una sciaguratissima statua raffigurante un crocifisso (uso il minuscolo per dire chiaro che non riconosco alcun valore sacro a questi capricci di pseudo geni che hanno per solo credo la visione poetica del poeta secentesco Gian Battista Marino: «È del poeta il fin la meraviglia»; e lo è a tal punto che «chi non sa far stupir vada alla striglia». Chiaro? Si dia all’ippica, non come fantino, ma come stalliere.
Dunque, uno di questi scultori, Enrico Job, aveva pensato di rimpiccare un povero incolpevole cristo in polistirolo e poliuretano in cima a una croce di legno lamellare spesso cm. 72 e 600 kg di peso, tutto ricurvo in avanti a formare un perfetto quarto di circonferenza. Era lì dal 2005, e forse perché stanco di quella scomoda posizione, il giovedì santo ha deciso di scendere. Sbagliando però modo e momento. Sotto di lui si trovava per caso un giovane con un piccolo handicap motorio: questo è bastato a impedirgli di mettersi in salvo quando il cristo gli è crollato addosso. Ora i compagni di scampagnata lo piangono morto. Se tutti i crocifissi fossero solo dei Crocifissi, sarebbe tutto più semplice.
Mi resta ora di parlare del quarto papa della grande kermesse, proprio di colui che papa effettivo non è più. Emerito lo chiamano. Cioè pensionato, ex.
Pur con tutto il mio amore per Giovanni XXIII e con tutta la fiducia e la speranza che io ripongo in Papa Francesco, non esito a dire che oggi il vero protagonista dell’evento è stato proprio lui e bene hanno fatto cardinali e vescovi e lo stesso papa Francesco a omaggiarlo con affetto e deferenza.
Sì, perché se Benedetto XVI non avesse avuto il sovrumano coraggio di dimettersi (coraggio che è mancato a Giovanni Paolo II), noi non avremmo avuto questo giorno storico, unico nella storia della Chiesa, e la Chiesa sarebbe ancora vittima degli intrighi che hanno avvelenato gli anni del mite Benedetto XVI.
Senza quel gesto che rimarrà come una pietra miliare nella storia, la guida della Chiesa sarebbe rimasta affidata “a mani troppo vecchie” (F. De André) per trasmettere brividi nuovi al corpo, esso stesso già troppo vecchio, della Chiesa. Oggi di questo corpo ringiovanito tutto il mondo si occupa e raramente passa un giorno che la stampa mondiale non ne parli. Non accadeva più dal tempo del concilio. Un papa che flirta con Pannella! Non è meraviglioso? Francesco chiama e Pannella si beve un caffè e sospende lo sciopero della sete. Bravo Pannella, e bravo a te Francesco Magno, 1°papa del III Millennio e della nuova Chiesa di Cristo!


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