Ho sempre rispettato e fatto rispettare le norme vigenti. Nel mio ruolo di parroco mi sento un “ufficiale” della Chiesa. Gli “ufficiali”, quelli che ricoprono un ufficio, hanno come loro primo obbligo quello di far rispettare le norme vigenti. Che essi, personalmente, le rispettino o no, è perfino secondario. Io, esattore delle tasse, devo far pagare agli altri le tasse nel modo e nella misura adeguata e rispondente alla legge. Che poi le leggi stesse siano giuste o ingiuste, non mi riguarda. Io devo solo farle osservare. Perfino il fatto che io stesso le paghi o non le paghi, è secondario. So ciò a cui vado incontro, evadendo. Però a me piace il gioco d’azzardo. Mi piace far fesso lo Stato. Mi fa sentire onnipotente. Evado, d’accordo: ma l’esattore lo faccio bene
Detto ciò sul motivo per cui io ho sempre rispettato e fatto rispettare la legge vigente sulla comunione eucaristica alle coppie “irregolari”, dirò subito che mi auguro vivamente e da sempre, che l’attuale disciplina che le esclude dalla comunione eucaristica venga quanto prima corretta. Non lo dico solo per “buon cuore” verso gli esclusi, ma per una ben consapevole e motivata conoscenza della storia della Chiesa, della sua disciplina penitenziale e dell’evoluzione della stessa.
Intanto sia subito chiaro: “in principio non fu così”. Duemila anni sono così tanti che s’è visto di tutto. Momenti di grande tolleranza e di estrema severità. Tempi in cui per ottenere il perdono dei peccati bastava un sincero pentimento interiore e un proposito serio di non più ricadervi; e tempi in cui il perdono dei peccati più gravi non veniva mai concesso più di una sola volta nella vita e solo dopo anni e anni di durissima penitenza fisica e morale. Proprio a causa di questa non ripetibilità della penitenza, questa veniva concessa solo in punto morte. Oggi tutto questo per noi è inconcepibile, ma fu norma irriformabile per almeno 6-7 secoli. Si dovettero aspettare i monaci irlandesi, perché le cose cambiassero nell’Europa continentale.
In simili condizioni chi poteva mai azzardarsi a fare la comunione? La risposta è sorprendente: tutti potevano farla e sempre (anche se di fatto non erano poi moltissimi quelli che la facevano). A meno che non fosse intervenuta una sentenza del vescovo che, obbligandoti a fare penitenza pubblica per un peccato gravissimo e notorio, ti poneva nella condizione dello s-comunicato (cioè privato della comunione ecclesiale e dunque anche della comunione eucaristica). Il peccatore veniva allora assegnato “all’ordine dei penitenti”, la cui condizione era d’una durezza inconcepibile per noi. Lo s-comunicato sarebbe tornato a far la comunione solo dopo la riconciliazione con la Chiesa, ottenibile una sola volta nella vita, in genere in punto di morte!
Tutti gli altri potevano accostarsi alla comunione ogni volta che volevano. Perché per tutti gli altri peccati la Chiesa aveva elaborato una prassi penitenziale tanto essenziale quanto discreta: fare opere di penitenza, senza entrare “nell’ordine dei penitenti”, raccomandavano, quasi unanimi, i grandi Padri della Chiesa. Alcuni esempi? La preghiera intensa e sincera, l’elemosina, le opere di misericordia spirituali e materiali, l’aiuto ai fratelli bisognosi, l’assistenza ai malati, il digiuno, dare saggi consigli a chi è nel dubbio o nella tentazione, la preghiera per la conversione dei peccatori… Anche il colloquio spirituale con un maestro di spirito (senior spiritalis), oggi diremmo con un uomo di Dio, poteva entrare in questo elenco.
Se queste erano le condizioni, facile dedurne le conseguenze: tutti, ad eccezione dei penitenti s-comunicati, purché sinceramente pentiti in cuor loro, potevano avvicinarsi alla comunione eucaristica.
Le cose cambiarono solo, e molto lentamente, a partire dal sec.VII in poi, quando dall’Irlanda giunse nel Continente un nuovo modo, molto più umano, di far penitenza: intanto una penitenza ripetibile, con tempi di penitenza flessibili (più o meno lunghi secondo la severità della penitenza che sceglievi di fare), che nel giro di un due o tre secoli ha finito con il soppiantare definitivamente l’antica disciplina. Un altro passo in avanti si ebbe nel sec. X, quando si cominciò a dare la riconciliazione prima di fare la penitenza (mai prima sarebbe stato concepibile). Infine nel sec. XII si ebbe il trionfo della penitenza auricolare, quella che tutti noi abbiamo conosciuto e praticato fino a oggi.
Il successivo, e finora ultimo passo avanti, è dei nostri giorni, per merito del Concilio Vaticano II (1973), con la nascita della terza forma della penitenza, dove tutto il rito è compiuto in maniera comunitaria: preparazione, confessione dei peccati in forma generale (ci si riconosce pubblicamente peccatori ma senza dire in pubblico i singoli peccati), preghiere penitenziali conclusive. Forma che ha incontrato largo favore nel mondo ma non in Italia, dove è stata subito riposta nel cassetto in attesa di tempi migliori.
In realtà si è voluto scaricare su questa nuova forma (la famosa terza forma del nuovo rito) la responsabilità di una fuga dai confessionali incominciata nei Paesi Bassi e in Francia intorno agli anni quaranta: fu qui che, avendo come modelli i rituali liturgici di confessioni generali utilizzati in guerra prima d’una pericolosa battaglia, erano nate le prime esperienze in proposito.
L’innovazione era una di quelle che segnano la storia. In Italia nessuno ha voluto o saputo rendersene conto. Così oggi l’unico problema che ci si pone è come riportare i fedeli al confessionale. Gli ultimi tre papi, a modo loro han fatto ognuno la sua parte: Giovanni Paolo II è sceso per anni in San Pietro in confessionale il venerdì santo. Qualche volta lo ha fatto anche Benedetto XVI.
Papa Francesco ha fatto il grande salto: s’è fatto vedere, lui, a confessarsi, inginocchiato in maniera del tutto irrituale alla porticina (anziché alla grata) di un confessionale in San Pietro. Immagine che ha commosso e convinto alcuni (forse i più) a ritornare al confessionale, ma ha turbato altri (forse i meno) che han trovato eccessiva l’esposizione mediatica della cosa.
La mia idea? Eccola: La Chiesa deve vivere e difendere tutta la sua tradizione. Nella sua tradizione esistono sia la penitenza pubblica sia quella privata, sia la confessione al ministro sia la confessione a Dio solo, sia al proprio direttore spirituale sia al confessore occasionale. Guai se la Chiesa volesse rinunciare anche a una sola di queste forme. Lo sa bene anche la scienza medica che predispone per i diversi farmaci diverse forme di somministrazione. Lo fa per rispettare i diversi organi del corpo umano. Così deve saper fare la chiesa con le anime. C’è chi non potrebbe fare a meno della confessione a tu per tu, e chi non potrebbe mai ricorrere a un prete per dirgli i suoi peccati; chi ama il silenzio assoluto intorno a sé mentre esamina la propria coscienza, e chi è potentemente aiutato dal coro di voci che innalza la sua stessa preghiera… perché favorirne una e negar credito all’altra? I cristiani antichi facevano un’intera vita di comunioni e una sola confessione in tutta la loro vita. Fra di noi era invalso un principio che era l’esatto contrario: mille confessioni, una sola comunione. Io preferisco la prima. E spero d’avere anch’io un po’ di senso di Dio. E amerei vedere file di miei fratelli in coda per la comunione, il cuore sinceramente pentito, fidando nella misericordia di Dio ben al di là di ogni norma canonica. Proprio come era al principio.
Il mio sogno ricorrente? Comunione per tutti, sempre
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