Che sia la volta buona? Papa Francesco pensaci tu!

Quando la teologia la scriviamo in ginocchio.
Ci sono giorni in cui ti accorgi che devi proprio metterti in ginocchio e ringraziare il buon Dio per qualche gioia che ti viene concessa dopo che per ottenerla hai anche dovuto soffrire qualcosa. O forse molto.
A me succederà stasera (per voi che mi leggete): io non sarò in cattedrale a dare il benvenuto al nostro Cardinale Arcivescovo. In una piccola parrocchia si può far sapere a tutti, nel giro di poche ore, che domani non c’è messa; in un santuario non si può: i più vengono da fuori e ogni giorno ce ne sono di nuovi. Non li puoi raggiungere tutti.
E allora succede che se la montagna non va a Maometto, Maometto andrà alla montagna. Cosi, stasera il neocardinale verrà da me. O Dio!, non proprio a far visita a me, ma si fermerà nel “mio” santuario, alla Madonna del Bagno, per una breve pausa nel viaggio di ritorno da Roma a Perugia, e da lì prenderà il via il solenne corteo di macchine e di moto che lo accompagnerà all’apoteosi di Perugia, nella sua cattedrale. Quanto a me, partito lui, rimarrò nel mio minuscolo Santuario, a dar lode a Dio e alla sua Santissima Madre per il dono che mi avranno fatto. Essi sanno bene quanto ho lottato, sofferto, lavorato per portare quella chiesetta a un grado di bellezza mai raggiunto prima, nei suoi 357 anni di vita. Benvenuto allora Eminenza! Però si ricordi: avanziamo una Messa, a bufera passata.

* * *

Questo il prologo. E ora al tema proprio di questo articolo, sul quale devo sperare che l’Eminentissimo, se mai lo leggerà, vorrà tener conto che io non posso parlare se non per sentito dire, dato che lui c’era ma io no. E dunque quando scrivo o parlo, mi devo per forza basare su ciò che gli altri ci raccontano. A volte anche azzeccandoci, come quando scrissero che Bassetti lo avrebbero fatto cardinale.
Dunque nei giorni scorsi si è capito che tra Francesco e il cardinale tedesco Walter Kasper, che ha tenuto la relazione introduttiva al Concistoro e al seminario preparatorio per il Sinodo sulla famiglia in programma per l’autunno prossimo, c’è un’intesa perfetta.
Walter Kasper, (già vescovo di Stoccarda) e teologo di fama mondiale, è uno degli uomini di Chiesa tedeschi più conosciuti e influenti nel mondo. Validamente affiancato, in questo, dal card. Karl Lehmann, già vescovo di Magonza. Un’azione, la loro, limitata e condizionata nel tempo dal peso preponderante dell’altro grande e ben più potente cardinale tedesco Josef Ratzinger, mano destra di Giovanni Paolo II per le cose di dottrina, di fede e di disciplina.
Forte del mandato papale, Kasper ha chiesto ai 150 cardinali presenti di voler dare un deciso colpo di timone per imprimere alla Chiesa una nuova rotta nell’affrontare e dirimere il delicato caso dell’eucaristia ai fedeli cattolici in irregolare posizione coniugale. Tutti sanno che la Chiesa cattolica nega il sacramento eucaristico (la comunione) ai cattolici incorsi in qualcuna di quelle condizioni: divorzio su propria iniziativa, nuovo matrimonio (civile) per i divorziati risposati (sia che tu il divorzio l’abbia cercato, sia che l’abbia dovuto subire), coppie di fatto (con o senza figli), convivenza ugualmente notoria fra omosessuali, convivenza notoria senza matrimonio fra vedovi (spesso allo scopo di non perdere la reversibilità delle pensioni di vedovanza) e via dicendo…
Già nei primi anni Novanta del secolo scorso, i cardinali Kasper e Lehmann s’erano fatti promotori in Germania d’una petizione perché la spinosa questione venisse finalmente affrontata e risolta nella Chiesa cattolica. Ma allora regnava Giovanni Paolo II e sulla Chiesa vigilava l’occhio severo dello stesso Ratzinger, con tutta la sua autorità di grande teologo e di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Il risultato fu il solo che ci si poteva allora aspettare: il nulla di fatto. Roma ha già parlato; perché parlarne ancora?
Oggi invece se ne riparla. Cosa è cambiato da allora? Semplicemente un cambio di mano al timone della navicella di Pietro. Come dire un vero tsunami. Uno tsunami di nome Francesco: sai?, un tipo un po’ strano, venuto da lontano, anzi “dalla fine del mondo”, e che, da quando ha preso in mano il timone, s’è messo a condurre la Chiesa per mari e per rotte fino a oggi inimmaginabili.
Francesco è proprio il papa che uomini come Kasper e Lehmann in Germania (e da noi come Martini) aspettavano e Kasper è proprio quel tipo di teologo di cui ha bisogno Francesco. Così Francesco deve aver detto all’ultraottantenne cardinale “Eminenza, ho bisogno di Lei. Dica Lei ai miei fratelli cardinali, come Lei solo può dirlo, quello che io vorrei dir loro. Lei è un uomo di Dio e un grande teologo. La sua parola peserà più della mia”.
E l’uomo di Dio, carico di dottrina e di sapienza (la sapienza è molto più della scienza) ha saputo rendere alla perfezione il pensiero e perfino il modo di parlare di Francesco. Ascoltate:
«Quando ero vescovo è venuto da me un parroco, il quale mi ha parlato di una madre che era divorziata risposata, e stava preparando il figlio alla prima comunione. Il figlio avrebbe fatto la comunione e lei no. Ora mi domando: è possibile questo?».
Ora finalmente può darsi la risposta che non aveva potuto darsi quando era vescovo di Stoccarda. E questa volta la sua risposta la dà davanti al papa e ai 150 cardinali riuniti nel concistoro. «Bisogna andare al di là del rigorismo e del lassismo, coniugando in modo credibile il binomio inscindibile tra la fedeltà alle parole di Gesù e la misericordia nell’azione pastorale della Chiesa». Il messaggio era stato inviato.
La risposta è giunta a strettissimo giro di briefing, da parte del direttore della sala stampa vaticana, il gesuita P. Federico Lombardi: «Si tratta di trovare vie nuove. La via della penitenza, (come viene anche chiamata la confessione), può essere il cammino per la soluzione». Sottoscrivo appieno, con una sola riserva: io includerei nel termine penitenza, molte altre pratiche penitenziali oltre la confessione.
Un passo indietro. Un paio d’anni fa, mi trovai anch’io nella stessa situazione del cardinale. Avevo una prima comunione con quattro bambini di quattro famiglie diverse: due “regolari” due no. Gli “irregolari” mi dissero del loro profondo rammarico di vedere le altre due coppie andare a fare la comunione con i loro figli e loro di non poterla fare.
Ci pensai a lungo, poi decisi: «Vi darò la comunione. A tutti. Previa una veglia di preghiera di un’ora a forte carattere penitenziale. Chiederete perdono a Dio di ciò che nella vostra vita fosse a lui dispiaciuto. Prometterete di vivere al meglio la vostra fede nella vostra attuale condizione di vita». Così fu fatto. La comunità che ben conosce il mio rigore in materia, mi ha fatto sapere che era tutta con me.
Non chiesi il permesso al mio vescovo. Non volevo scaricare su di lui un peso che non era il suo. Mi presi io, davanti a Dio, la responsabilità della mia scelta. La domenica dopo ne scrissi su questo giornale il racconto e le ragioni che mi avevano condotto a quella decisione.
Come era inevitabile che fosse, ricevetti una visita del mio Arcivescovo, che mi chiese qualche chiarimento. Il colloquio fu molto amabile e sereno. Il vescovo non mi disapprovò, mi raccomandò solo prudenza. La legge è legge. Era il minimo che poteva fare. Ci salutammo abbracciandoci e ci scambiammo un bacio di fraternità e di pace.
Ora posso aggiungere, Eminenza che la mia regola è stata sempre una sola: ognuno faccia la sua parte; la sentinella vigili; il giudice giudichi, il legislatore legiferi. Ma il pastore faccia il pastore, e se per salvare una sua pecora dovrà scavalcare una rete di recinzione, la scavalchi, salvi la pecora e subito torni dalla sua parte, al proprio ovile. Così feci io in quell’occasione. La comunione l’ho data loro solo quel giorno. Da allora ho continuato a pregare e ad aspettare che la Chiesa cambi presto la sua legge. E per quel poco che posso, scrivo per incoraggiare in questo senso. Perché anch’io, come Kasper, credo che certe cose non dovrebbero più accadere. E allora scrivo. Perché ciò avvenga più. Perché il profeta (colui che parla a nome di) deve fare il profeta. Qualunque cosa possa capitargli. È questo il senso di quella bellissima frase citata da Bergoglio quando ha parlato di teologia scritta in ginocchio.
E poi, Eminenza: grazie di quell’attimo di cielo che ci è stato regalato con Benedetto XVI davanti a papa Francesco in san Pietro e, fra loro, i 150 cardinali. Io ci ho rivisto la Chiesa, come non l’avevo più vista da quell’11 ottobre 1962, quando Giovanni XXIII inaugurò il Vaticano II. Solo che quella mattina, in San Pietro, io c’ero!


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