Francesco, lascia stare i sondaggi: basti tu

Confesso che la notizia lanciata mercoledì scorso su tutti i principali quotidiani e da tutti i telegiornali nazionali mi ha colpito di sorpresa. La notizia era filtrata già un giorno o due prima, ma fin lì potevo ancora sperare in un abbaglio. Invece no, era vero! La cosa mi ha innanzitutto sorpreso. Poi preoccupato. Poi amareggiato. Infine un po’ deluso.
Devo ammetterlo: stavolta sì, papa Francesco mi stava abbondantemente superando a sinistra, perché io non mi ero mai spinto fino a desiderare, men che meno a prevedere, che il papa e i vescovi, cioè la Chiesa docente, potessero arrivare a chiedere ai fedeli quali fossero secondo loro le cose da salvare e quelle da modificare nel magistero e nel diritto canonico circa i grandi, nuovi – soprattutto nuovi – problemi che i nuovi costumi, ormai generalizzati nell’Occidente cristiano, pongono al magistero della Chiesa cattolica.
Immagino che non saranno pochi fra i cattolici e fra gli stessi preti quelli che si rallegreranno e che diranno: “ah! che miracolo questo Francesco! Un vero dono di Dio! Finalmente un po’ di democrazia nella Chiesa!”.
Se mai fosse così, se mai sentissi preti o fedeli dire così, a me verrebbe spontaneo di dire: “Povera Chiesa, come ti sei ridotta!”.
Qualcuno si meraviglierà di questa mia “conversione”: ma come proprio tu che hai sempre predicato, auspicato, rivendicato, per te e per tutti nella Chiesa, il diritto di dire la tua! Proprio tu che non hai mai amato il centralismo esasperato della Chiesa, l’uniformità dottrinale e l’unanimità incondizionata nelle formule di fede, nei giudizi morali e nelle stesse opinioni della Chiesa!
Ebbene sì, proprio io, oggi, mi rammarico di questo quid novum, perché davvero è qualcosa di nuovo nella Chiesa, specialmente nella Santa Sede. Solo che nuovo non sempre significa vero, giusto, opportuno, buono.
Il fatto è che dopo gli ultimi cinque decenni di sondaggistica imperante, mi sono convinto che di sondaggi si può anche morire. Dal concilio in poi non c’è stata diocesi o conferenza episcopale, da quelle regionali a quella nazionale, che non ne abbia prodotto qualcuno: ogni occasione era buona per organizzare un congresso e per promuovere un sondaggio, su tutto e su ancora di più: una goduria per i fachiri dei sondaggi, quelli che appena gli arriva un questionario si fregano le mani, si stropicciano gli occhi, ci si buttano sopra, beati!, come un fachiro sulla sua tavola chiodata.
Io invece appena vedo un questionario, se non sono quelli dell’ISTAT a cui si è tenuti a rispondere, subito religiosamente lo ripiego e lo rimetto nella sua busta dove finirà i suoi pochi e ingloriosi giorni. So già infatti quale fine faranno quelle decine di chili di carta che andranno ad alimentare atti di congressi che nessuno leggerà mai e a far da pezza d’appoggio per decisioni che pretenderanno di cambiare tutto ben sapendo che non cambieranno mai niente.
Vedo nero? No, vedo realistico. Certo, qualcuno potrebbe anche dirmi “ma insomma che vuoi?”, e citarmi le parole di Gesù «abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto» (Mt 11,17). Prima denunciavi una Chiesa troppo chiusa nella sua torre d’avorio, troppo lontana dalla gente comune; ora le rinfacci i di stare troppo tempo in piazza a parlare con tutti, a chiedere idee a chi le passa vicino, a dire a tutti: “diteci che volete e aiutateci a servirvi meglio”.
In verità non mi piace né l’uno né l’altro tipo di Chiesa, né quella arroccata nella sua torre d’avorio, né quella che abbatte il muro di cinta della sua vigna, consentendo così ai ladri e ai cinghiali di devastarla.
La Chiesa nella quale ho sempre creduto e credo è un’altra¸ più semplice e più grande insieme: è al di sopra di tutto e al di dentro di tutto, tutto comprende e tutto penetra, tutto abbraccia e da tutti si lascia abbracciare, a tutti si dona, ma a nessuno si concede in esclusiva. Anzi si offre solo a chi sa ricambiare l’offerta di sé.
Il mio non è e non vuol essere un esercizio di bella scrittura sulla Chiesa, ma la visione di chi, sulla Chiesa, non accetta compromessi; e come non ho mai amato una Chiesa che, dicendosi madre, si comporta da madre superiora di un tetro Magdalene College verso tutti coloro che hanno avuto a che fare col peccato, così non amerei una Chiesa che per farsi amare accettasse di farsi chiudere la bocca rinunciando così al suo ruolo profetico.
So bene che non è questa l’intenzione di Francesco e che tutte le sue iniziative tendono e tenderanno solo a recuperare il terreno perduto dalla Chiesa dopo secoli di compromessi, mediocrità, tradimenti, meschinità, crudeltà, avidità e miserie senza numero.
Proprio per questo io l’ho subito adottato come “mio” questo papa venuto “quasi dalla fine del mondo”, questo nuovo Giovanni XXIII, il papa della mia giovinezza e della mia primavera presbiterale. Una primavera, purtroppo senza estate, o dall’estate troppo breve che ha subito lasciato posto all’autunno, anzi a quel gelido inverno che ha condotto alle dimissioni il vecchio e gentile Benedetto XVI, troppo gentile ormai (lui, già severo mastino a difesa dell’ortodossia) per poter sopravvivere in una selva dove, pur fra qualche cigno e candido coniglio, a governare erano rimaste le lonze le lupe e le vipere, quest’ultime subentrate ai ben più nobili leoni della triade dantesca: una selva in cui il gracchiare dei corvi, aveva preso il sopravvento su ogni altro cinguettio d’uccello. A lui va la gratitudine di tutta la Chiesa, per aver avuto il coraggio di un gesto che a lui ha assicurato un posto di grande rilievo nella storia della Chiesa, e alla Chiesa ha dato l’occasione per una mossa del cavallo che potrebbe segnare la storia futura per molti secoli a venire.
Ora ciò che io mi aspetto da questo mio campione è di vederlo continuare come ha cominciato, senza cercare improbabili alchimie o ripiegamenti sul déjà vu. Capisco il Suo desiderio di garantirsi favore e consenso in vista di traguardi ambiziosi e certamente ardui da raggiungere, ma io vorrei sussurrargli all’orecchio, con infinito rispetto:
“Coraggio, Papa Francesco, non abbia mai timore! Tutti noi sappiamo che Lei sa perfettamente dove vuole arrivare! Non ha bisogno di nessuno che glielo venga a dire. Da quando Lei è stato eletto non ha mai sbagliato una mossa (questa sarebbe la prima!): la folla l’ha seguito dovunque, applaudito, baciato, benedetto, abbracciato: Lei l’ha colpita, stupita, sbalordita, commossa fino alle lacrime e al riso e all’entusiasmo più spontaneo e sincero. Continui sempre così! Il Suo carisma è solo suo: gli altri possono solo adeguarsi. Lei il fondatore, il profeta, l’iniziatore d’un nuovo papato, il più nuovo dopo quello di Pietro, che mette in soffitta il papato del Dictatus papae e del Sillabo, delle due spade e delle tre corone, per tornare all’umile cattedra del Pescatore e alle due chiavi di ferro di Gesù a Pietro.
“Lei sa bene dove vuole arrivare e nessuno glielo può suggerire: alla comunione che non si nega a nessuno, ai matrimoni di chiesa da sanare in qualche modo perché certamente invalidi almeno almeno per il 50% e forse molto di più; a trovare uno status di compatibilità per le unioni omosessuali, per le coppie di fatto, per le unioni prematrimoniali, per i divorziati risposati, per le donne che hanno abortito: tutti fatti che non possono risolversi ipso facto con una specie di scomunica latae sententiae se non vogliamo che la famiglia si dissolva e la casa del Padre si svuoti… Lei non può certo tollerare che la Chiesa sia meno misericordiosa dei comuni genitori, i quali pur soffrendo, anche molto, per il “disordine” biologico o spirituale o morale dei loro figli, tuttavia non si sognano di cacciarli di casa o dalla tavola e non li mandano eternamente a letto senza pranzo e senza cena, perché a non mangiare mai si muore di fame e a non fare mai la comunione anche la fede muore… E sai quanto si potrebbe ancora continuare!
“Lei tutto questo lo sa molto bene, e altrettanto bene Lei sa dove vuole arrivare. Magari spera di trovare nell’opinione pubblica una copertura per la sua riforma, ben sapendo che un capocordata non può arrivare solo alla vetta avendo perso a ogni sesto grado, a ogni seracco, a ogni muro di ghiaccio o di roccia da superare l’uno o l’altro dei suoi compagni d’ascensione.
“Lei sa altrettanto bene che sarebbe però un grave errore per un maestro mostrarsi incerto sull’oggetto del suo magistero. Il maestro non può chiedere agli allievi cosa deve insegnar loro, come deve insegnarglielo, cos’è che piace loro e cosa a loro non piace per stabilire metodo e programma.
“Tutto questo la Chiesa si attende da Lei, Santo Padre: e l’aspetta con fiducia, trasporto e amore mai sperimentato dai tempi di papa Giovanni in poi. Su questi sentieri noi l’aspettiamo. Sicuri che non ci deluderà. Un suo figlio molto devoto”.
In realtà io sono assolutamente sicuro che papa Francesco sappia molto bene che il maestro sulla cattedra è sempre solo. Non che debba sempre sapere già tutto, ma i suoi dubbi dovrà averli risolti prima di salirvi, in modo da presentarsi agli allievi con la lezione già pronta. Anche il maestro deve fare, proprio come gli allievi, i suoi compiti a casa. E quando di un aggiornamento o di un consiglio o di un parere avrà bisogno lo dovrà cercare con umiltà nei suoi testi nel silenzio del suo studio domestico o nella biblioteca dell’istituto, o chiedere lumi ai suoi pari nella discrezione della sala dei docenti. Da un maestro i discepoli hanno sempre diritto di aspettarsi chiarezza coraggio modestia.
Il successo di Francesco è stato travolgente e fulmineo proprio perché finora non ha mai fatto niente di scontato, non ha ripetuto copioni, ha fatto tutto d’istinto, e con tutto quello che ha fatto ha conquistato apprezzamento incondizionato e, stupendo tutti, ha ricevuto consensi da tutti. Ricordate la sedia vuota al concerto, le gross(olan)e scarpe nere, la pesante borsa nera portata a mano da lui, la Panda preferita alle Mercedes, la visita a Lampedusa sua prima visita fuori Roma, la blindatura tolta alla papamobile, e quanto altro ancora…!
Ecco perché la strada dei sondaggi non mi piace: perché è roba vecchia. E al vecchiume Francesco non ci ha abituato. E non vorremmo che ci provasse ora.
“Rimanga quello che è, Santo Padre, quello che è sempre stato, perché a noi è piaciuto così. E così vorremmo che resti”.


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