Avrei dato molto per esserci anch’io su quell’aereo bianco dell’ Alitalia quando, nel suo viaggio di ritorno da Rio de Janeiro, Francesco, vescovo di Roma felicissimamente regnante (anzi, per stare alla sua terminologia, felicissimamente servente) rilasciava un’intervista a tutti i giornalisti al seguito, aprendo loro spicchi di cuore e di mente partendo dai quali è oggi possibile tracciare un più preciso ritratto del pastore che oggi Dio ha donato alla sua Chiesa.
Avrei dato molto, perché da molto – da una vita! – aspettavo di udire quelle parole che non avevo mai sentito risuonare prima se non nel mio cuore e sulla bocca di quei pochi che come me hanno scelto di condividere un destino di emarginazione, di messa in quarantena, in attesa di una conversione che valga a rimetterti in gioco. Che se questa conversione o non arriva o è giudicata insufficiente, dovrai rassegnarti a restare in panchina per sempre.
Ora però a dire quei sì e quei no che dicevo io è proprio lui, Francesco: un sì a rivedere la legislazione canonica sui divorziati risposati e un no all’esclusione degli omosessuali dalla vita sacramentale della Chiesa, di quelli, perlomeno, che sono tali non per vizio e diletto supplementare, ma per nascita e/o natura.
Quando sia gli uni (divorziati e risposati) sia gli altri (omosessuali per innata inclinazione) amano sinceramente Cristo, lo cercano, lo invocano e chiedono alla Chiesa di non trattarli come appestati, dice Francesco, «chi sono io» per dir loro di no?
Vi prego di fermarvi tutti su quel «chi sono io»? Perché mi chiedo: si rende conto Francesco di cosa stava dicendo? Ha pesato bene quelle parole «chi sono io»?
Come, santo padre, chi sei tu? Ma non sei il successore di Pietro, il dolce Cristo in terra, il pastore supremo, il depositario della verità e della tradizione cristiane, la pietra su cui tutta la Chiesa poggia ed è costruita? Non sei tu il dottore/pastore che deve «confermare i suoi fratelli» (Lc 22,32)? Il profeta «costituito sopra i popoli e sopra i regni, per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare» (Ger 1,10)?
Non sei tu il successore di quel Pietro, pescatore di Galilea e roccia su cui tu ai costruito la tua Chiesa, con potestà di chiudere e di aprire, di perdonare e condannare, di legare e sciogliere (Mt 16, 18; Mt 18, 18). Te lo dobbiamo ricordare noi che a te è stato dato il compito e il potere di confermare i tuoi fratelli nella fede, quando questa dovesse in loro vacillare? E te lo dobbiamo ricordare noi che tu sei il papa e che da te devono venire risposte e non domande, da te dobbiamo aspettarci la soluzione ai nostri dubbi, non che tu ce ne inculchi di nuovi? Perché ti sarai accorto anche tu che chiedendoci “chi sono io?” tu ci hai posto un problema e non da poco. Chi di noi può dire a un papa chi è e cos’è un papa?
Ma lo sbalordimento cede subito il posto all’ammirazione: perché è evidente che con la domanda tu ci dai già la risposta: Amici cari (non mi pare che tu non abbondi nel chiamarci figli, o mi sbaglio? Se non mi sbaglio, molto meglio così).
Dunque riprendiamo: “Amici chi sono io per giudicare?” Questa la domanda. E questa l’evidente, unica risposta possibile: Io sono solo un pover’uomo, come tutti voi. Io non mi sento giudice di nessuno: so che quel «Non giudicate per non essere giudicati» (Mt 7,1) vale anche per me”. E se è questo che pensi, chiaro che non puoi giudicare nessuno a cuor leggero.
Ma dicendoci questo, difficile che tu non ti sia reso conto che stavi dando un giudizio sul passato di tutta la Chiesa. Forse volevi dirci che secondo te si è giudicato fin troppo? E chi era che giudicava, condannava, scomunicava? Non era solo un uomo anche lui? Tu non hai detto altro. Ma ci hai fatto capire che con te qualcosa cambierà.
A un’altra cosa devo ancora accennare, su cui tornerò certamente con più agio e più tempo: a ciò che tu dici sulla donna nella Chiesa. Hai detto che Maria è più importante degli apostoli, e che la chiesa è femminile perché è sposa e madre”. E ancora che Maria è più importante dei vescovi e dei preti. E che però, per ciò che riguarda il sacerdozio femminile, dopo Giovanni Paolo II «quella porta è chiusa».
Sarò chiaro: su questo punto non ti potrò seguire, ma oggi non te lo posso spiegare. Lo farò quanto prima. Per oggi ti dirò solo che non mi sorprendi. Perché vedi: in tutte le grandi rivoluzioni del pensiero e della scienza, la Chiesa cattolica è arrivata sempre (o quasi) almeno quattrosecoliquattro dopo tutte le altre Chiese (non di rado anche più): così per Copernico, Galileo, Darwin, per la lingua del popolo nella liturgia, per la traduzione e la diffusione della Bibbia, per la comunione sulla mano ecc. Ora sul sacerdozio femminile non sono neanche cinquant’anni che se ne parla fra noi, nemmeno un secolo fra i protestanti. Abbiamo ancora tre-quattro secoli da giocarci. Vedrai, fra qualche tre o quattro secoli ci arriveremo anche noi.
Se il futuro ci viene incontro volando
da
Tag: