Fra tre quarti d’ora i padri conclavati entreranno nella loro clausura. Ce l’hanno detto e ridetto, indulgendo al mito. A me non piace per niente. Cos’è questa storia del mistero che aleggia su questa scelta suprema, in cui lo Spirito Santo si libra come colomba sulle acque della creazione nel primo dei sei giorni nei quali Dio creò il mondo e tutte le cose, l’uomo e la donna compresi, le uniche due cose, alla fine, che gli sono riuscite male? Mai dimenticare la parte umana nei conclave, please.
Già, perché le altre han fatto tutte bene la loro parte, rispettando bene il proprio ruolo nella creazione: chi doveva sbranare, ha sbranato, chi dove copulare ha copulato, chi doveva partorire ha partorito, chi doveva immolarsi s’è immolato, perché di questo la creazione aveva bisogno: chi mangia deve trovare qualcosa da uccidere se no non si mangia, se no non si vive.
Anche i maschi hanno bisogno di femmine e le femmine dei maschi perché il gioco della vita continui. E si sono sempre trovati. Tutto questo ha funzionato sempre alla perfezione. Gli incidenti di percorso erano previsti e compresi nel gioco.
Con l’uomo no! Con l’uomo gli schemi sono tutti saltati. A nessuno bastava mai ciò che gli veniva dato: tutti pretendevano sempre qualcosa di più. A me uno non basta. Almeno due. Meglio quattro. A me mille. E se non me li dài, me li prendo. Come? in qualunque modo: rubando, ammazzando, stuprando. Ha cominciato Caino. Ha continuato Lamech. Fino a Gengis Khan. Fino a Hitler. I numeri non contano: la logica è sempre la stessa.
Dio, per darci una mano, ci ha mandato il suo Figlio, Gesù di Nazaret. Abbiamo fatto fuori anche lui. Pretendeva insegnarci a vivere, figurarsi! Noi, più modesti, ci siamo accontentati di insegnargli a morire. Fu davvero un bello spettacolo. Tutto ci ha dato una mano perché la cosa riuscisse: un terremoto, i fulmini, i lampi, i tuoni come una santa barbara. E sopra gli abbiamo fatto rotolare una bella pietra rotonda. La nostra parte era finita lì, credevamo. Macché! Qualcuno ha fatto ri-rotolare la pietra, hanno rubato il corpo, lo hanno nascosto e hanno detto “è risorto”. Il bello è che qualcuno ci’ha creduto davvero, anzi a milioni, anzi a miliardi ci’hanno creduto, e di lui hanno anche detto che era il figlio di Dio! E che sarebbe tornato. Ma al suo posto è arrivata la Chiesa.
Cos’è la Chiesa? Troppo difficile raccontarlo o spiegarlo in due parole. Meglio guardarla. Oggi. A Roma. E se non sei a Roma, ti dovrai accontentare della tua televisione.
Tra poco se fai presto ad accenderla, potrai vedere 115 fregni buffi (Cesare Pascarella), tutti d’un rosso porpora come i gamberi, entrare nella più famosa cappella del mondo, dove angeli e demoni si contendono corpi umani come padri e madri fanno quando si litigano i figli.
E lì sotto, i 115 papaveri rossi che avranno a che fare con biglietti su cui dovranno scrivere un nome: e tutto il mondo fuori ad aspettare che venga fuori quel nome, e che quel nome risuoni da un balcone aperto sul mondo, dopo che “un fil di fumo” bianco sarà uscito da un tubo di rame sul tetto della chiesa, e una piazza gremita di gente venuta da tutto il mondo: proprio per vedere quel comignolo e il filo di fumo bianco e un balcone che s’apre e uno di quei 115 gamberi rossovestiti che s’affaccia e che dice al mondo Habemus papam, e poi sempre in latino dirà anche come si chiamava l’eletto e come d’ora in poi si chiamerà, perché frattanto avrà anche cambiato nome come ha cambiato l’abito: dal rosso al bianco, quel bianco che ora porta addosso. E in quel momento si scioglieranno le campane di San Pietro, e allora la piazza esploderà in un urlo, un boato che farà invidia al cielo quando più brontola e tuona, perché anche la piazza sarà un tripudio di luci e lampi e folgori di gioia, da ogni parte.
E allora comparirà un omino, lassù che si vede e non si vede: una macchia bianca per chi è in piazza e un volto per chi sarà alla televisione e tutti grideranno, rideranno, piangeranno, si daranno di gomito, cantando, saltando; e via foto e lampi come in una notte di tregenda o di festa grandissima.
E quell’omino lassù tremerà tutto, verga a verga, non sapendo che fare, che dire, che pensare, se piangere o ridere, se gioire o morire, di paura o di gioia, se benedire o chiedere benedizione… perché non sa chi ne ha più bisogno, se quella gente laggiù… o proprio lui… lassù… su quel balcone… tanto vicino a Dio… da far paura!
Chi sarà…che dirà… che farà… in quei fatali minuti… E poi quel nome!…
Mi piacerebbe… sì, mi piacerebbe tanto si chiamasse Francesco… Francesco I, (toh! suona bene!): povero come lui, umile come lui, capace di rimanere nudo, in piazza, davanti a un vescovo e …far fare lo stesso ai suoi discepoli come prova d’umiltà… che dica ai cardinali: «che ne direste?: le vostre porpore, via! i vostri anelli, via! i vostri titoli, via! le vostre ridicole mitre, via! i vostri paramenti costosi via!: quelli antichi al museo, e indosso solo nuovi, belli ma sobri, semplici, modesti… e tale, nella chiesa, tutto!
«E tutta l’attenzione volta all’uomo, al povero, a chi ha fame, ha chi ha perduto il lavoro, e la casa, a chi rimane solo… e non avere occhi che per loro… E agli altri, ai potenti, ai ricchi riservare solo la voce, per ricordare loro «Vae vobis! Guai a voi, ricchi!» (Lc 6,24). Ricordatelo bene: d’ora in avanti nessun ricco più si salverà da solo! In paradiso si entrerà solo in coppia, o solo in gruppo: e il ricco pagherà per tutti il biglietto. Perché in paradiso nessuno balla da solo, ma solo in coppia, o la quadriglia, o in girotondo». Così parlò papa Francesco I. Intanto un cappuccino ce l’abbiamo. Ok. Farò tifo per lui.
Il papa che mi auguro e per il quale io prego
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