Vieni Santo Spirito. Pensaci Tu

Ogni tentativo di aiutare la Chiesa a sviluppare nuove forme sul piano organizzativo si trasformerà solo in un ritardo del suo cambiamento e della sua purificazione”.(Dietrich Bonhöffer).

Mi domando spesso in questi tristi giorni piovosi d’un triste inizio di marzo chi avrà più motivo per essere preoccupati, se gli uomini di Chiesa o gli uomini di Stato. Tutt’e due senza governo, tutt’e due senza pastore.
Non sembri audace l’accostamento: spesso nella Bibbia il re è chiamato pastore del suo popolo. Pastore è colui che deve guidare il suo gregge (il suo popolo) ai pascoli migliori e alle fonti d’acqua più abbondanti e più pure; che deve difendere le sue pecore dai lupi rapaci e stupidamente feroci (non uccidendo solo per fame ma per il gusto di azzannare le pecore, si fanno nemici tutti i pastori, aizzandoli alla guerra totale fino allo sterminio del nemico.
Orbene: “dovunque il guardo io giro” (Pietro Metastasio, ma la citazione finisce qui) lo stesso schifo io vedo: politici che includono nel rimborso-spese per attività istituzionali i vasi di nutella per i figli o per il picnic, o il suv con gomme antineve per qualche centimetro di neve d’un giorno in una città come Roma; come pure vedo cardinali che devono rinunciare a entrare in conclave per aver tenuto in passato “comportamenti inadeguati” con giovani seminaristi o giovani preti. Presidenti del Consiglio dei ministri che si devono dimettere per aver scambiato il suo ruolo con quello di un Sultano che ogni notte deve risolvere lo stesso gravoso problema: come e con chi e con quante passar la notte in modo da distrarmi un po’ dal peso e dal fastidio del governo.
Così ora assistiamo a un centinaio e passa di cardinali riuniti in congregazione generale permanente per cercar di vederci chiaro nelle torbidissime melmose acque del Vatileaks (letteralmente notizie vaticane (Vati) filtrate fra le fessure (leaks). Impresa molto ardua si direbbe, visto che già da sei giorni stanno sviscerando la scabrosa, materia ma non ne sono ancora soddisfatti.
Dicono che la cosa sia in sé stessa un buon segno: che si vogliono fare le cose sul serio. Assolutamente lodevole.
A me però fa anche un altro effetto, assai meno consolante: ma quanto fango c’è da rimuovere, quanta porcheria da smaltire, se non basta neppure una carriola, ma probabilmente ci vorrà un grosso camion e più d’un viaggio per un’impresa del genere. Ora comunque un passo avanti s’è fatto: almeno sappiamo che fra oggi (sabato) e lunedì, tutti i giochi saranno stati fatti, e finalmente ci sarà almeno qualcuno che si dirà soddisfatto (non gli statunitensi, sembra, ma la pignoleria degli americani in cose come questa è nota).
Poi ci affideremo tutti allo Spirito Santo e, io penso anche, alla buona fortuna.
Già, perché io ci andrei piano a parlare troppo facilmente di Spirito Santo. E non lo dico per mancanza di fede, ma per l’amore e il rispetto che ho dello Spirito Santo, al quale in alcun modo mi sentirei di attribuire la colpa per i tanti casi di papi per la cui elezione, parlar di Spirito Santo saprebbe quanto meno di bestemmia. E proprio Gesù ci ha messi in guardia: «le bestemmie contro lo Spirito Santo non saranno perdonate» (Mc 3,28) Ecco, non vorrei caricarmi la coscienza anche di questo peccato.
Che mi aspetto io da questa elezione? Un nuovo papa, innanzitutto.
Chi vorrei che fosse il nuovo papa? Non ho un nome da spendere. Conosco quelli che vanno per la maggiore, ma non saprei sponsorizzarne nessuno. Non li conosco abbastanza. So che si parla molto di Scola (Milano), di O’ Malley (Boston), di Scherer (San Paolo, Brasile). So che si fanno altri nomi, ma mi mantengo neutrale. Da molto tempo, del resto, non ho fatto più festa quando un candidato, chiunque egli sia, vince un’elezione, di qualunque elezione si tratti, e neppure capisco chi la festa la fa. Non è quando il tuo candidato viene eletto che tu puoi o devi far festa, ma quando lascia il suo posto. Solo allora lo potrai applaudire, se appena appena hai potuto approvare le sue scelte e la sua politica, se ne avrai apprezzato lo stile umano e la giustezza delle sue leggi.
Basta guardarsi attorno per vedere quanti miti crollati e quanti sogni in rovina giacciono sulle strade e sulle piazze delle nostre illusioni. Noi italiani poi siamo specialissimamente esposti al contagio delle illusioni pericolose. In politica un autentico disastro e per ciò che riguarda la religione la nostra preoccupazione cresce di giorno in giorno.
Sembra lontana di secoli l’alba di quel mattino che abbiamo celebrato appena cinque mesi fa, l’alba di quell’11 ottobre 1962 in cui l’apertura del Concilio ecumenico aveva saputo farci sperare in un giorno radioso della storia cristiana. Le condizioni per sperare in grande sembravano esserci tutte: coraggio, entusiasmo, fiducia, sicurezza nel popolo cristiano come supporto e garanzia a quanto la grande competenza dei protagonisti della grande Assise conciliare andava via via proponendo e attuando.
Erano i giorni, quelli, d’una novella Pentecoste, tanto più miracolosa quanto più inattesa. Solo che durò poco. Fu il miracolo stesso a fare paura ai più: “ma dove vogliono andare?”; “dove andremo a finire?”; “non c’è più religione!”.
Così l’entusiasmo cedette il passo alla paura, il coraggio alla cautela, la profezia alla vecchia prassi, l’utopia al diritto, e in breve le acque tornarono quiete, senza più onde che rendessero vivo il mare, la bonaccia fu preferita all’increspatura, troppo simile al mare mosso e questo al mare in tempesta. In questo clima perfino Giovanni Paolo I, col suo sorriso bonario da bravo nonno molto umano, poté fare un po’ paura quando osò parlare di Dio che è più madre che padre (perché frattanto c’eravamo dimenticati che anche qualche Padre della Chiesa aveva parlato allo stesso modo).
Con la paura s’era rifatta viva anche l’ansia: per la fuga dei preti, per il crollo delle vocazioni, per la scomparsa dei giovani dalle nostre chiese. Scomparvero quasi del tutto i preti operai, la teologia della liberazione fu severamente richiamata all’ordine e i suoi teologi furono o normalizzati o messi a tacere (come Leonardo Boff). Intanto i testimoni del Concilio cominciavano, per legge naturale, a lasciare il posto ai nostalgici del “prima” e il Sacro Collegio cardinalizio si ripopolò di uomini del rispetto della tradizione. Così il nuovo papa lo si cercò all’ex Sant’Uffizio e di peso lo si mise sul soglio di Pietro. E tutti se ne dissero soddisfatti. Quanto alla fedeltà al Concilio si trovò una formula ad effetto:”lo spirito del Concilio si trova per intero nei suoi documenti”, dimenticando che quei documenti risultarono un continuo compromesso fra due visioni contrapposte della Chiesa e del Concilio.
Fu su questo scenario un po’ tremebondo di timori e di insicurezze che si abbatté lo tzunami dello scandalo della pedofilia. E si cominciò a rimpiangere un po’ tutto il passato. Così i giovani preti tornarono a vestirsi da preti, a parlare da preti, a gestirsi da preti. Preconciliari.
E ora che succederà? Non lo so, sinceramente. Devo dire però che un po’ paura degli uomini ce l’ho. È la ragione per cui proprio io, che ho cominciato questo articolo col dire «io ci andrei piano a parlare troppo facilmente di Spirito Santo», non trovo modo migliore per chiudere questo articolo che invocare: «Vieni Santo Spirito. E pensaci tu!».


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