Cara vecchia chiesa, che ti succede?


Ci mancava solo questa: l’annuncio d’un attentato al papa. A orologeria. Fra dodici mesi. O entro dodici mesi? Non è chiarissimo. Mi par giusto: un po’ di suspense non guasta.
Intanto gli ingredienti ci sono tutti: il papa è angosciato (lo credo bene!). Non tanto per la sua vita, immagino. Per la Chiesa piuttosto. Per lo stato in cui si è ridotta. Un colabrodo.
Da settimane è sotto attacco: i suoi uomini annoverati fra gli Intoccabili, traduzione vulgaris del ben più rimbombante dell’albionico Untouchables a cui s’ispira. La7, televisione targata Telecom Italia Media, tv minore in forte espansione sia per meriti propri sia per i demeriti delle altre (fatta eccezione per Raitre), da qualche settimana la tiene sotto osservazione per qualche peccatuccio che nei Sacri Palazzi avrebbero preferito rimanessero a dormire fra le spesse Mura Leonine.
Ma tant’è: ormai il dado è tratto e dei Viganò e dei Bertone e di tutta la corte che gira loro intorno si continuerà a parlare ancora per un po’. Storie di bilanci disastrosi e miracolosamente risanati. Tensione fra i diversi centri di poteri. Fazioni schierate una contro l’altra, facenti capo all’uno o all’altro papavero (tanto il colore dei cardinali è, più o meno, quello). Allontanamenti strategici e promozioni strumentali che sanno quanto meno di ammonizione. Fin qui innocenti giochi di poteri, di quelli che trovano aficionados in ogni palazzo del potere e in ogni segreteria di partito.
Ora però la cosa si complica: quando si comincia a parlare di attentati, siamo alla stagione dei lunghi coltelli. O almeno di qualche temperino. È improbabile infatti che ai cardinali in conclave sia permesso portare coltelli da cucina “di quelli lunghi così”.
Oggi il papa ha ottantacinque anni, giorno più giorno meno. Già dieci oltre il limite imposto ai vescovi per le dimissioni. Ma il papa, si sa, non si dimette: «Non ci si può dimettere dalla paternità» sentenziò Paolo VI a chi, all’appressarsi dei suoi 75 anni gli chiedeva se era sua intenzione dimettersi per solidarietà con tutti gli altri vescovi del mondo. Quella risposta è diventata un locus theologicus, un distillato di teologia sacramentale a uso del romano pontefice. Peccato che tutti i testi d’ordinazione del vescovo parlino di lui come del padre di tutto il suo popolo e di tutti i suoi preti. Ma evidentemente c’è paternità e paternità: quella dei vescovi le dimissioni le esige, quella del papa le esclude.
Quasi non bastasse, ci si mette adesso quest’altra storia del complotto, che sarà consumato entro il 2012. Si parla di un documento consegnato al papa in persona, da un cardinale di cui è noto il nome, ma che io preferisco non nominare per sottrarmi a un gioco che non mi piace giocare: è per questo che evito corridoi e sale d’aspetto dei Palazzi, di tutti i Palazzi.
I quotidiani di questi giorni parlano di un papa molto amareggiato per come vanno le cose: e chi potrebbe non capirlo? Da quando la Chiesa non è più la piccola barca di Pietro ma il mastodonte capace di attraversare gli oceani dei secoli e dei millenni, essa è stata capace di accogliere nel suo capacissimo ventre le realtà più diverse e più chiacchierate (Segreteria di Stato, Ior, Governatorato…), ma al tempo stesso ha compromesso la possibilità di garantire una rotta e una navigazione tranquille.
Chi potrebbe meravigliarsi, allora se, come da qualche parte si sussurra, colui che è stato eletto per fare il timoniere e il capitano, dovesse sentire un giorno il bisogno di staccare la spina e smettere le maledictae occupationes da cui il grande San Bernardo metteva in guardia papa Onorio III? Ed erano occupazioni di papa! Darsi tutto a Dio per prepararsi all’incontro con Lui? Una forte “tentazione”, indubbiamente per un uomo che ha condotto tutta una vita a leggere libri e a scriverne altri. “Staccarla” anche per sempre, per dedicare tutte le forze che restano a quell’incontro.
E francamente un gesto di rinuncia, a certe condizioni, non mi dispiacerebbe; personalmente, anzi l’ho a lungo auspicato al tempo di Giovanni Paolo II, perché l’esposizione mediatica della sua sofferenza e della sua impotenza (anche se l’impotenza dell’eroe, del martire, del santo) rischiava di confondersi o di sovrapporsi a quella del pugile suonato che continua a farsi massacrare di botte per non avere il coraggio, o la lucidità, di gettare la spugna. Certo, alla fine quella tenacia inflessibile, quel mostrarsi inguardabile (come inguardabile dovette essere il crocifisso sul Golgota agli occhi degli astanti) ha giustamente commosso il mondo e convertito più d’un cuore. Ma troverei molto più accettabile e addirittura preferibile se un papa, ormai arrivato a rendersi conto che le sue forze non sono più all’altezza del compito, avesse in cuor suo tanta umiltà e tanta fede da poter pensare che la nave potrà andare avanti altrettanto bene, e forse anche meglio, sotto la guida d’un altro capitano o d’un altro timoniere.
Mi accorgo che il discorso mi ha portato “fuori tema” ci dicevano una volta i professori correggendoci i temi d’ italiano. Ho cominciato con la scabrosa situazione in cui si dibatte oggi la gestione del minuscolo, e pur grande Stato della Città del Vaticano, dove, a raccogliere tutti i boatos che si sentono in giro, sembra di capire che vi trovino spazio e fortuna i cultori di tutti i vizi propri dei Palazzi del Potere, di qualunque Potere si tratti o si parli.
Tutto questo è umano, dirà qualcuno. Certo, rispondo. Anche troppo umano. E Lui non era venuto perché noi ci impantanassimo nello stesso pantano in cui annegano tutti gli altri Poteri del mondo.
Ma ormai mi rendo conto che assai difficilmente potrà cambiare qualcosa, finché sul colle che vide il martirio di Pietro e che ne ospita tuttora la tomba, regnerà uno dei poteri più “strutturati” del mondo; finché non ci ricorderemo che Lui aveva parlato chiaro: non chiamate nessuno padre maestro o guida sulla terra, perché uno solo è il Padre che è nei cieli e uno solo è il vostro Maestro e la vostra Guida, il Cristo.
Né potranno cambiare le cose finché nella Chiesa ci sarà posto per titoli impronunciabili per ogni vero innamorato del Crocifisso: eminentissimo, eccellentissimo, protonotario apostolico (che avranno poi di apostolico?), monsignore, canonico… Capite? Tutto questo è nella Chiesa di Cristo!
Finché lo stesso papa accetta per sé il titolo di Santo Padre, o di Vs. Santità, o di beatissimo Padre! E sì che dovrebbero aver letto da qualche parte lo stesso Gesù che riprendeva con dolce severità chi lo aveva chiamato Maestro buono: «Perché mi chiami buono? Uno solo è buono: il Padre che è nei cieli».
Non parliamo poi degli indumenti di questi discepoli di chi non aveva una pietra su cui posare il capo; e anche se è vero che questi abiti, che chiamiamo paramenti (un nome che evoca irresistibilmente le parate), non costano più quanto costavano una volta (ma ce ne sono ancora di molto cari!) sono abiti che accentuano la nostra separazione di chierici dal popolo dei laici: un effetto cercato, voluto, perché sia chiaro che noi siamo i “chierici”, i separati, i distinti dal popolo.
Come li vorrei vedere? Ma!, non so… come i don Ciotti, forse, come i don Gallo. O anche come me. Gente del popolo. Normale.

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Una risposta a “Cara vecchia chiesa, che ti succede?”

  1. Caro “don” Antonio,
    ti scrivo a proposito di separazione fra clero e laici.
    Nella mia diocesi ( Terni Narni Amelia ) da alcuni mesi è diventato pressoché obbligatorio fare la comunione con le due specie, cosa ovviamente a me gradita, se non fosse per il modo come la “cosa” viene praticata: l’imboccamento.
    Ricordo con infinita nostalgia la sorpresa e la gratificazione che ci veniva in alcune messe celebrate subito dopo il Concilio, quando si faceva la comunione passando attorno all’altare, prendendo la particola con le proprie mani, immergndola poi nel vino consacrato e portandola alla bocca.
    Se è vero, come ci avete insegnato, che i gesti liturgici sono significativi di una realtà superiore, questo modo di agire significava che le gerarchie avevano rinunciato a considerarci in stato di minorità, e volevano che finalmente imparassimo a nutrirci, ovviamente anche spiritualmente, in modo autonomo: eravamo cresciuti, eravamo adulti nella fede.
    La stagione è durata molto poco.
    Oggi devo fare una specie di gara di velocità col celebrante per fargli capire che sono capace di raccogliere la particola nelle mani, prima che lui la immerga nel vino e mi imbocchi. Siamo rapidamente tornati al pre – Concilio, il laico deve essere imboccato.
    Ho scritto una lettera su questo argomento al mio vescovo, ho ricevuto una risposta gentile e un incoraggiamento a proseguire sulla via del Concilio, ma l’imboccamento è rimasto, anzi sembra potenziato.
    Così, per questa, ma anche per altre ragioni, sono costretto a rinunciare alla celebrazione nella mia parrocchia, avendone scoperta una, dove i francescani, probabilmente contravvenendo ad una disposizione del vescovo, consegnano la particola nelle mani del laico, a meno che questi non dia chiari segni che vuole essere imboccato. Naturlmente si rinuncia alla comunione con le due specie, ma si riafferma la propria disponibilità a diventare cattolici adulti.
    A me sembra tutto questo molto triste, e tutti i discorsi conciliari sulla valorizzazione dei laici mi risuona particolarmente ipocrita.
    Non ti chiedo cosa ne pensi, il tuo articolo mi sembra molto esplicito sull’argomento.
    cari saluti. Macchiarulo Luigi