Preparare il futuro è fedeltà al passato


«ANIME PERSE»: così l’ultimo numero del Venerdì di Repubblica titola il suo ampio servizio di copertina sulla situazione della Chiesa di Roma (Santa Sede) e della Chiesa che è in Italia, in questo rovente scorcio d’estate.
Rovente in tutti i sensi. La stessa foto d’apertura è un’immagine eloquente della temperie che si vive a Roma (Vaticano). Decine e decine di vescovi riuniti per una concelebrazione in piazza San Pietro, tutti con la testa coperta di zucchetto rosso, che una volta tanto serve a qualcosa. Dietro ai vescovi decine di preti concelebranti si difendono come possono con comunissimi cappellini di diverso colore, come quelli che incontri tutti i giorni su spiagge, prati e sentieri di tutt’Italia. Niente di nuovo sotto il sole: anche il copricapo dei vescovi (mitra) e la corona papale (regnum) sono nati entrambi dal copricapo (camauro) che il papa usava nei suoi trasferimenti a cavallo. Finché il papa non decise di mantenerlo anche in chiesa, almeno d’inverno.
Nella foto, sia i vescovi sia i preti hanno la testa leggermente inchinata in segno di profondo raccoglimento. Ma le parole sovrimpresse fanno impressione: chi sono quelle “ANIME PERSE” o di chi parla l’articolo, evocandole? Sono gli stessi vescovi e gli stessi preti quelle anime perse (che hanno perso il senso della realtà che li circonda) o sono le anime dei fedeli che davanti agli scandali a cui la Chiesa continuamente li sottopone, si sentono veramente disorientate e come perdute? Anche oggi un prete, di Fano stavolta, 42 anni, molto in vista, molto stimato, “con una miriade d’incarichi e attività”, portavoce del vescovo e della stessa curia diocesana: arrestato per molestie a una tredicenne. Consenziente, ma non significa nulla: minorenne. È comunque un reato. Un odioso reato. Sarò un caso, ma non è strano che chi si rende colpevole di questi reati, è spesso qualcuno di quell’età, molto ben avviato nella “carriera” e molto molto stimato? Che la posizione di spicco possa aver qualcosa a che fare con il delirio d’onnipotenza, che ti fa sentire al di sopra di ogni legge e al riparo da ogni sanzione penale?
Sottotitolo: «Chi salverà la chiesa dai corvi e dai politici corrotti?». Ecco alcune frasi del servizio. La prima affermazione è sorprendente: «al governo del Vaticano obbediscono un miliardo e 115 milioni di cattolici nei cinque continenti». Ma dove mai? Dove mai li hanno visti 1.115.000.000 di cattolici “ubbidire” al governo del Vaticano? Non siamo in Arabia o in Afghanistan. Essere battezzati non significa affatto essere cristiani obbedienti.
Poi vi si parla dei veleni del e nel Vaticano, delle rivalità fra cardinali e fra i diversi poteri all’interno della stessa Curia: Segreteria di Stato, Governatorato, IOR, segretario particolare, perfino un maggiordomo… Ora spunta anche Comunione e Liberazione con le sue manovre per imporre a Milano la personalità del card. Angelo Scola, allo scopo di “normalizzare” Milano dopo il lungo interregno “spiritualista” di Martini e di Tettamanzi e lanciare magari la volata dello stesso Scola alla successione di Benedetto XVI.
Vito Mancuso si incarica di tirare qualche conclusione: «Il profilo profetico della Chiesa italiana, ovvero la capacità di porre domande, di elevare la discussione, di interpretare i Vangeli e la società, è ormai pari a zero». E di questo appiattimento sui valori e sulle strategie politiche, egli individua un responsabile: il cardinale Camillo Ruini che per un ventuno anni ha tenuto ben saldo nelle sue mani un assoluto potere di “normalizzazione” sulla Chiesa italiana.
Fin qui ho raccontato quello che si dice e più ancora si pensa sulle “misere sorti e regressive” della Chiesa in generale e della Chiesa italiana in particolare. Forse non mancherà chi non potrà astenersi dal pensare che da gente come Mancuso (e magari come me) non potevi certo aspettarti niente di diverso, niente che non sia un suono di campane a morto o almeno a martello. Ma se qualcuno lo pensa, si sbaglia. Perché chi parla così, preferirebbe usare ben altre parole e ben altri toni.
Chi parla così vorrebbe tanto poter parlare come parlarono Giovanni XXIII e Paolo VI e come oggi parla, con toni sempre più accorati e quasi di disperazione, lo stesso Benedetto XVI, che pure ieri l’altro parlava in maniera ben diversa da come parla oggi, quando raccomanda alla Chiesa un maggiore distacco dagli onori e dal potere; quando si dice turbato dal triste spettacolo che gli offre la Curia; quando denuncia che le trame fra le correnti si sostituiscono alle mani tese nel gesto della pace; quando i corvi scacciano via le colombe e perfino quelle poche che i monsignori di curia cercano a volte di far volare dalla finestra da cui si affaccia il papa, si guardano bene dall’allontanarsi da quel mite vecchietto, tutto vestito di bianco come loro: forse perché sanno bene che tre metri al di là di quella soglia nessuno potrebbe garantir più loro né la vita né le piume; quando le guance che s’avvicinano alla guance, più che a un bacio di pace fanno pensare, alle manovre dei fantini sulla piazza del Campo di Siena per il Palio.
Cinquanta anni dal Concilio, per ritrovarci con qualcuno che vuol riportare indietro l’orologio della storia fino alla messa di San Pio V. Era il 1570. Non esattamente ieri.
Ero un giovanissimo prete, appena uscito dall’università e dall’Aula Conciliare dove avevo potuto seguire dall’interno le ultime due sessioni del Concilio. Mi avevano catapultato a Casalina, dove dovetti fare l’impressione d’un marziano arrivato dallo spazio. Allora ero considerato una delle grandi speranza della liturgia italiana.
Nel giro di pochi anni Casalina divenne una specie di laboratorio liturgico (Mons. Enzo Banetta).
A chi mi chiedeva perché tanta fretta, un giorno risposi così: «Nella mia piccola parrocchia io lavoro per il futuro. Ho una sola ambizione: che qualcuno possa un giorno dire di me: ci ha insegnato a guardare avanti. Che nessuno abbia a essere sorpreso dall’improvviso farsi presente d’un futuro che si riteneva ancora lontano».
Poi le cose sono andate come sono andate.