Può la bestemmia essere amore?

Metti lo splendido volto del Gesù di Antonello da Massina, un volto dolce e rasserenante, nato e voluto per infondere fiducia anche in chi è nell’ansia, nella malattia, nella paura di vivere e di morire. Mettilo vicino a un uomo, insopportabilmente diarroico, e a un figlio ormai alle soglie della disperazione. Metti una gigantografia (m. 9×7 ca) a dominare una scena di desolante squallore. Che ti vuoi aspettare?
Così è scoppiato “un caso”, una cosa tutt’altro che piccola: con cronache e commenti a tutta pagina nei principali quotidiani d’Italia. E l’Italia dei Coppi e dei Bartali torna a dividersi fra i pro e i contro, fra i passionari della libertà di pensiero e d’espressione e i passionari della fedeltà e del rispetto alla religione, alla tradizione cattolica dell’Italia, ai sentimenti religiosi dei cattolici italiani.
Tanto grossa è la cosa, che s’è mossa perfino la Santa Sede a sostenere la “crociata” contro la pièce di Romeo Castellucci; un’opera teatrale che ha già fatto il giro d’Europa e che a giorni approderà al Teatro Franco Parenti di Milano. Con il chiasso che se ne sta facendo si può prevedere il tutto esaurito. L’Autore ringrazia.
Per il momento si discute su poco: in Italia nessuno l’ha visto, ma si sa che a Parigi l’opera ha suscitato ire e proteste violente fra i cattolici.
Una scena come il caos in divenire: dal biancore un po’ asettico d’una stanza dove giace un vecchio genitore malato di una tzunamica dissenteria che, nei 50 minuti della durata della pièce, farà riempire la scena di pannoloni sempre più luridi, mentre nello stesso teatro si diffonde un nauseabondo odore di escrementi, che prepara accompagna e giustifica la violenta conclusione dell’azione teatrale con lancio di sassi e colpi di sparo (?) contro l’innocente gigantografia del dolce volto di Cristo.
Questo si dev’essere visto a Parigi, ma, assicura l’Autore, non si vedrà a Milano, dove invece, assicura qualcuno, si vedrà “solo” il volto di Cristo lacerarsi e come sgretolarsi, mentre la sua pelle si tingerà di marrone (il colore degli escrementi, ma senza gli escrementi) per poi tornare a risplendere nella sua integrità. Questo a quanto se ne dice, nessuno avendolo ancora visto nella versione milanese. Abbastanza per far discutere.
A questo punto devo fare una premessa a quanto sto per dire. Chi ha letto il mio ultimo articolo sul fastidio che mi dà dover preservare il sacro Volto di Cristo dalla profanazione del cassonetto e della discarica, potrà meravigliarsi di ciò che scrivo qui, oggi. Ma non c’è contraddizione: cambia la Sitz im Leben, cambia la situazione.
L’Autore dice che la sua opera non è una provocazione iconoclastica, ma un’accorata “preghiera cristiana”. Verosimilmente lo dice nel senso che essa intende offrire alla meditazione dei cristiani un’occasione per riflettere sullo scandalo della sofferenza umana, vista nella sua forma più avvilente e degradante possibile: e tutto questo sotto gli occhi imperturbabili del volto sereno d’un Cristo che resta sereno malgrado tutto lo squallore, tutta la disperazione che gli sta davanti… mentre davanti a Lui l’uomo affoga negli escrementi. È allora che l’uomo sente crescere in sé stesso come una piena di rabbia che cresce, inesorabile, fino a rompere gli argini e a invadere e a distruggere tutto, per urlargli in faccia tutta la stanchezza, l’esasperazione di chi vede tanta fatica sprecata per nulla… giovasse almeno a qualcosa, a tener pulito il vecchio padre… Macché, non fai in tempo a lavarlo che è già sporco di nuovo: metafora d’un mondo che nessun bagno, nessuna lavatrice, nessun detersivo, riuscirà mai a ripulire delle sue brutture, dei suoi peccati, che dico?: dei suoi delitti a milioni, a miliardi, per quanti miliardi di uomini esistono sulla terra e per quanti milioni di peccati ogni uomo può commettere nella sua vita… E allora a che scopo lavorare, soffrire, aver compassione, provar ripugnanza, per portare un sollievo che non potrà mai esserci… E che meraviglia può esserci se io, nella mia disperazione, sento nascermi dentro un moto di ribellione, una rabbia incontenibile a confrontarmi con la sua olimpica celeste divina serenità mentre io sto a sporcarmi le mani per obbedire al suo vecchio comandamento “onora tuo padre e tua madre”?
Onora: perché il verbo onorare, non vuol mica dire, qui, rendigli onore come si fa alla bandiera o a chiunque sia più importante di noi: no, “onorare” come rendere un debito, compensare una prestazione; non è così che diciamo al dentista, all’avvocato :“qual è il suo onorario”?
Ebbene ecco: io sto onorando il mio vecchio padre, rendendo a lui quello che lui ha fatto per me, quand’ero bambino… Ma santo Volto di Cristo, quant’è diversa la…… d’un vecchio dissenterico da quella d’un bambino che beve solo latte di madre! E quello, almeno, dopo averla fatta, per quattro ore dorme e poi deve ancora mangiare prima di farla ancora… Questo qui invece non la finisce più… è solo pelle o ossa e mi sai dire dove la trova tutta questa… Basta! Io non ce la faccio più! Tiè!… provaci tu adesso, renditi conto in quale mondo ci hai messi, ad affogare tutti nella… tutti… ogni giorno, come tanti, come tutti!».
Il gesto di ribellione, lo sbattere a terra il pannolone, magari verso l’Immagine (non contro l’immagine, spero!) potrebbe anche essere letto, senza scandalo, come un umanissimo atto di reazione nello scontro fra la creatura esasperata e il Creatore assurdamente impassibile di fronte alla passione del vecchio malato e alla disperazione del giovane sfinito: L’affronto all’immagine come il gesto d’una speranza tradita, d’un amore non corrisposto, lo schiaffo geloso per riconquistare l’amante perduta.
Non sarebbe neppure la prima volta, se appena uno pensa a Geremia che rimprovera Dio d’averlo sedotto usandogli violenza; e a Gesù, nel sudore di sangue nel Getzemani: Padre, passi da me questo calice!; o sulla croce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?; o a Giobbe, il più tragico, più radicale atto d’accusa mai lanciato contro il Creatore:

«Perisca il giorno in cui nacqui
e la notte in cui si disse: “È stato concepito un maschio!”.
Quel giorno divenga tenebra,
non se ne curi Dio dall’alto,
né brilli mai su di esso la luce.
Lo rivendichino la tenebra e l’ombra della morte,
gli si stenda sopra una nube
e lo renda spaventoso l’oscurarsi del giorno!
Quella notte se la prenda il buio,
non si aggiunga ai giorni dell’anno…
Ecco, quella notte sia sterile,
e non entri giubilo in essa…
Si oscurino le stelle della sua alba,
aspetti la luce e non venga
né veda le palpebre dell’aurora,
poiché non mi chiuse il varco del grembo materno,
e non nascose l’affanno agli occhi miei!
Perché non sono morto fin dal seno di mia madre
e non spirai appena uscito dal grembo?
Perché due ginocchia mi hanno accolto,
e due mammelle mi allattarono?
Così, ora giacerei e avrei pace,
dormirei e troverei riposo…
Oppure, come aborto nascosto, più non sarei,
o come i bambini che non hanno visto la luce…
Perché dare la luce a un infelice
e la vita a chi ha amarezza nel cuore,
a quelli che aspettano la morte e non viene,
che la cercano più di un tesoro,
che godono fino a esultare
e gioiscono quando trovano una tomba…»
(Gb, 3…22)

Se di queste parole, quando le leggiamo in chiesa, noi possiamo dire
“è parola di Dio”, perché dovremmo scandalizzarci a sentirle dire (queste, o altre simili) da Romeo Castellucci? Il dolore innocente è e resta uno scandalo, sempre: chi lo dice lo dice.


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