Lo riporterò per intero, dalla prima all’ultima sillaba. Perché se lo merita. E perché fa proprio al caso mio. Perché la pensa proprio come me, e mi vien bene citarlo. Del resto già il suo nome è una garanzia: Massimo Gramellini. C’è qualcuno che non lo conosce? Beh! Da adesso lo conoscerete tutti.
Massimo Gramellini, 3 marzo, sulla prima pagina de La Stampa per la rubrica “Buongiorno”, titolo:
«Sui telefonini di quattro minorenni, di Quarto Oggiaro, arrestati per rapine varie, gli investigatori hanno trovato dei filmati in cui, mitra in spalla e torso nudo, gli adolescenti mimavano la scena simbolo di Gomorra.
Escluderei che abbiano preso in mano il libro di Saviano: due di essi non sono mai neppure andati a scuola. Ed è assai probabile che non abbiano neanche visto il film di Garrone, solo quell’ immagine ripetuta ossessivamente per mesi e mesi da tutte le tv.
È possibile che un’opera indirizzata al bene produca in certe menti l’effetto contrario, esaltando proprio ciò che intendeva denunciare?
Sì, e lo sapevamo già. Quel che invece continuiamo a sottovalutare è la potenza devastanti delle immagini. Nella vita come nell’arte, si dà troppo peso alle parole e troppo poco al linguaggio muto delle figure. Mentre soltanto l’icona visiva arriva a tutti, senza distinzioni di classe né mediazioni culturali. Una foto volgare fa più danni di una poesia volgare e una scena di violenza di un racconto di violenza.
Perciò nelle tragedie greche il male veniva evocato, ma mai mostrato sul palco. Gli antichi non erano più ipocriti di noi, forse soltanto un po’ più saggi».
In queste poche parole è contenuta una saggezza di migliaia di anni, che ormai non fa più parte né del nostro patrimonio genetico né di quello culturale. Anzi oggi tutto è sovvertito, perché oggi un solo imperativo vale: tutto deve essere mostrato, di ciò che è reale: il bene e il male allo stesso modo.
Anzi, e a maggior motivo, io mostrerò come reale ciò che reale non è, ma che io voglio che reale diventi, moneta falsa da spendere nello spietato mercato della vita. E quando vorrò imporre uno stile, un comportamento, una tendenza, una moda, basterà che io la proponga come realtà, meglio ancora che io la imponga come modello già ora vincente e il gioco è fatto. Lo chiamerò reality, lo presenterò come trendy, dirò che è molto “in”: e la partita è vinta
Mancherà solo la ciliegina: parlare della libertà come del diritto assoluto, totale, indivisibile, inviolabile, irrinunciabile, intangibile ecc. Allora il quadro sarà completo, il risultato assicurato, la ricetta perfetta: basterà rispettarla fin nei minimi particolari e la frittata ne risulterà altrettanto perfetta.
Quale frittata? Quella di cui ci parlava Gramellini, naturalmente, quella delle bande dei minorenni con i mitra e le pistole; e se proprio non arriverano a quelle, non rinunceranno mai però ad altre armi non mero micidiali: i telefonini branditi in ogni occasione per ritrarre la compagnetta nuda, il bulletto che tormenta il compagno down, i bamboccetti che fanno sesso nei bagni della scuola e tre minuti dopo tutti li potranno vedere su you tube o su facebook, proprio come i patiti di caccia grossa di uno-due secoli fa si facevano fotografare con il piede sul corpo disteso dell’elefante o del rinoceronte appena uccisi, il fucile ancora fumante a far da terza gamba appoggiato a terra a far da bastone, a garantire l’instabile equilibrio del valoroso guerriero, orgoglioso della grande impresa.
Risultati mirabili, non c’è che dire, della nostra meravigliosa civiltà del “tutto in piazza” sempre: l’amore? in piazza; lo stupro? in piazza (di Spagna naturalmente); il sesso? alla stazione (vuoi mettere?), o in alternativa in spiaggia; o magari in tv, in un reality naturalmente, che fa tanto chic, anzi trendy, che mi fa impazzire, e che fa di te un bullo, un mito, o una diva davanti alla quale si prostrano (letteralmente), adoranti, fotocinereporter che non vogliono perdere né lo spettacolo né lo scoop.
Ora il guaio è che c’è gente che vede in tutto questo un progresso, un segno incoraggiante (e da incoraggiare) dei tempi nuovi, dove i bambini, da subito, imparano a riconoscere “ciò che veramente conta nella vita”: il piacere (leggi sesso), lo svago (meglio se con lo sballo), il successo (per raggiungere il quale nessun prezzo sarà mai troppo alto), la carriera da assicurarsi in tutti i modi e con tutti i mezzi (che se non hai la testa per arrivarci va bene qualunque altra cosa situata fra la testa e i piedi, basta non farsi scrupoli).
I veri valori della vita? Solo quelli riconosciuti in banca o in Borsa, per gli altri va benissimo il cestino della carta straccia.
Gli ideali? Ma non sono già passati 150 anni da quando i giovani tipo Mameli, Manara, Novaro andavano felici a morire “perché l’Italia chiamò”? Il loro sacrificio basta e avanza. Che vieni ancora a parlarci di valori “altri”, veri? Non ne esistono “altri”, e certo non di più veri di quelli già detti.
Allora la fede? Quale fede? Ne conosci una sola sulla quale si possa giurare, per la quale valga la pene di perdere tempo, forze, vita? L’Islam? Te lo raccomando, guarda come sono conciate le sue donne! Il cristianesimo? Coi suoi dogmi irragionevoli e con la sua morale ammazza-gusto-di-vivere e coi suoi preti porcaccioni? Il buddismo? Ma che ce ne facciamo noi del Nirvana (noi che di desideri viviamo, che di passioni siamo una santabarbara, che prendiamo fuoco per un nulla, che siamo capaci di follie per il calcio, per la diva, per la popstar): noi, cui niente basta, che perfino il TUTTO si e no che ci basta, tanta è la voglia che abbiamo di vivere e di godere!
Il modello? Presto detto: Ruby va benissimo; scenografia ideale: Vienna e i valzer di Strauss; la crema dell’Alta Società blasonata e milionaria in uno dei suoi riti più amati e ambiti, il ballo delle debuttanti. Quando? Ieri l’altro. Un debutto su tutti: Ruby Rubacuori “in grande spolvero” (s’è detto) al fianco di un attempato (vecchio?) milionario, un aficionado del rito che si fa notare per le belle donne da cui si fa accompagnare (Claudia Cardinale e Sofia Loren fra le altre). Si parla di 40.000 dollari per il disturbo della bimba (che volete? Pare che l’abbiano abituata male). Il mestiere della fanciulla ormai maggiorenne? Dipende. C’è anche chi la chiama escort (il nome d’una macchina: che fra le due funzioni ci sia qualche analogia?).
Del resto, lei, da tre mesi e passa a questa parte, la vediamo ogni giorno, in tutte le salse. Anche seduta su poltrone che sembrano troni, con stuoli di fotografi inginocchiati davanti a lei come altrettanti adoratori imploranti le grazie della Divina.
È una bella ragazza, non c’è dubbio. Anche alta (del resto le dicono di “alto bordo”). Ha anche fatto una dichiarazione, niente meno! Un distillato di sapienza. Ha detto (udite udite, o rustici!): «Qui è molto bello, mica come gli italiani» (il resto del concetto mi è sfuggito, ma sembra sia ininfluente). Il concetto non è sublime, in compenso il suo inglese era anche peggio.
Ecco, caro Gramellini: c’è chi spara con il mitra e chi con la lingua: i primi ammazzano i corpi, i secondi le coscienze e le intelligenze. Sui primi i genitori piangono, sulle seconde succede che molti genitori dicano: «Magari toccasse a mia figlia!».
Se piangere o ridere, decidete voi. Se poi qualcuno mi trova troppo incline al pessimismo, risponderò che non trovo molte ragioni per ridere. Che volete, nessuno mi invita mai al bunga bunga.
Se Gomorra fa rima con monnezza
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