L’addio a Luciano Pavarotti nella cattedrale


Non mi è piaciuto il funerale di Big Luciano nella Cattedrale di Modena. Non era quello il suo posto. Non contesto il funerale in chiesa. Me ne guardo bene. Se li avrei concessi a Piergiorgio Welby Ma ciò che mi disturba è la cattedrale. Soprattutto la camera ardente in cattedrale. Pavarotti era un divorziato, Come tale un irregolare nella Chiesa. La camera ardente nella cattedrale si concede ai vescovi, a qualche illustre dignitario ecclesiastico, a qualche grande spirito cristiano particolarmente insigne per virtù, dottrina, arte, carità, santità soprattutto.
Più di qualcosa mancava a Pavarotti per meritare una tale distinzione. Per ottenere questo, direi che il suo titolo maggiore, era nel fatto che aveva iniziato la carriera cantando con il padre nella schola cantorum di quella cattedrale.
Ho ascoltato la predica del vescovo mons. Cocchi: molto misurato, molto garbato. Ha ricordato con sobria sapienza i suoi meriti artistici e umani, la sua arte e la sua grande umanità che si esprimeva nelle molte iniziative di solidarietà. Doveroso ricordo. Toccante l’accenno al duetto col padre nel mottetto Panis angelicus. Ho ascoltato la preghiera dei fedeli in cui si sono ricordati molti suoi meriti e si da Dio invocato il premio per il bene fatto da Luciano nella sua vita.
Però qualcosa è mancato: in quel tratto di messa (la prima parte l’ho perduta e dopo la preghiera universale ne ho avuto abbastanza), in quel punto centralissimo della liturgia funebre, nessun accenno alla situazione di disordine morale in cui il cantante si trovava al momento della sua morte; nessun accenno al fatto che il cantante non ha mai riprovato il proprio errore, non dico con il rompere il nuovo legame (sarebbe stato un errore più grave del primo, forse), ma almeno con il farne ammenda nel segreto della coscienza e davanti al ministro della Chiesa. Sebbene non si possa escludere, ufficialmente però, l’impedimento resta.
Non mi aspettavo certo una parola di pubblica condanna della scelta del cantante per il divorzio ma, almeno, mi sarebbe piaciuto nell’omelia un accenno al fatto che la Chiesa, ben conoscendo la fragilità della situazione morale di quel suo grande figlio, sentiva il bisogno di raccomandarlo alla misericordia di Dio che conosce tutto del cuore umano. Ancor più, questa preghiera sarebbe dovuta risuonare nella preghiera di impetrazione che va col nome di preghiera dei fedeli. Invece niente. Anzi proprio in questa, se la memoria non mi inganna (sto scrivendo queste rapide note a memoria), è risuonata una preghiera che sa quasi di blasfemìa: a nome della signora Nicoletta e della figlia si rendevano grazie a Dio per aver fatto loro il dono di Luciano. La signora Nicoletta ha certamente il diritto di parlare a Dio, nel segreto della sua coscienza, con le parole che le sembrano più giuste, ma in chiesa, nella liturgia, le parole diventano pesanti. Da cristiano io mi chiedo: ha la Signora Nicoletta il diritto di ringraziare Dio per averle fatto il dono dell’amore di Luciano? Ha il diritto di pensare che quell’amore gliel’ha donato Dio? E alla Signora Adua che scherzo avrebbe giocato il Signore, togliendo a lei il marito per darlo a Nicoletta? Io non so se la signora Adua fosse presente in chiesa o meno, né dove eventualmente fosse (in quale settore, intendo dire). Ma se c’era, il suo posto “in chiesa” non sarebbe stato proprio vicino a colui, che per la Chiesa, è ancora il “suo” marito? E a chi alludevano il vescovo e i monsignori e le suore che hanno diretto e guidato la preghiera dei fedeli, quando parlavano della famiglia grata e fiera di tanto amore? A nome della signora Nicoletta e della figlia un’intenzione è stata letta; ne è stata letta anche una a nome delle figlie (di Adua). Ma a nome di Adua, niente. È possibile che Adua non abbia voluto figurare. Un segno di vera dignità, nel caso.
Il resto non l’ho visto. Forse c’era qualcosa di meglio (me lo auguro di cuore). La cosa mi ha riportato, spiacevolmente alla memoria i funerali di Gianni Versace nel duomo di Milano. Anche lì sembrarono fuori posto. Poi si seppe che la famiglia lasciò alla diocesi la cifra di un miliardo. Dico ciò che scrissero i giornali. Senza smentite ufficiali, mi pare.
Non penso che né allora né oggi il problema fosse nei soldi. Dico che qui mi sarebbe piaciuto una maggiore misura; per esempio: camera ardente in comune e funerali in cattedrale; prima famiglia almeno nella stessa evidenza della seconda (se così è stato, ritiro l’osservazione); invocare attraverso la preghiera la bontà divina sulle debolezze umane del grande artista e sul grande uomo. O si darà a pensare a tutti che come davanti agli uomini, anche davanti a Dio ci sarà distinzione di persone.

, , ,