Don Pierino: le debolezze d’un grand’uomo

Forse definirlo un “un grand’uomo” è esagerato, ma certo non è un uomo comune. Tutta la sua storia parla a suo favore. Dove ha messo le mani, si è sempre dimostrato uomo molto superiore alla media. Nato nel Milanese, non ancora ventenne collabora con la Resistenza ai tempi di Salò. Intanto nasceva una vocazione che lo porterà all’altare nel 1949.
Qualche anno in povere parrocchie minerarie del grossetano, poi lo chiamano a Roma come assistente delle ACLI. Poi è chiamato nella Curia romana come segretario del nuovo Cancelliere di Santa Romana Chiesa. Basta con le note biografiche. Ce n’è quanto basta per capire di che pasta era fatto quel giovanissimo prete.
La sua attività in favore dei ragazzi di strada inizia nel 1963, a Roma, quando incomincia ad accoglierli in casa sua. Oggi le sue case nel mondo sono 287, una vera multinazionale della carità. La casa madre è ad Amelia, nel Centro di Mulino Silla, uno dei luoghi più frequentati dai vip di ogni condizione e tendenza. Tra loro sono molti i ‘Potenti’, che si fanno un vanto e una credenziale nel dirsi «amici di Don Pierino». E per tutti è solo don Pierino. Il cognome non serve. Di ‘Don Pierino’ ce n’è uno solo, come di Avvocato ieri, di Cavaliere o di Professore oggi.
Nel 1988 Sua Beatitudine Maximos V, Patriarca della Chiesa cattolica greco-melkita di Antiochia, Gerusalemme, Alessandria e di tutto l’Oriente, lo insignisce del titolo di Esarca Mitrato della Chiesa cattolica greco-melkita. Don Pierino tiene molto a quel titolo; lo dimostra il piacere con cui tanto volentieri ne veste le insegne liturgiche: quelle abbondantissime tuniche nere ad ampie maniche, la preziosa croce pettorale, la mitra solenne, le ricche stole. Anche se la liturgia è romana, lui si veste all’orientale. Ancora, l’uomo non è senza coraggio: nel 1990, manifestatisi casi di AIDS nelle sue comunità, Don Pierino si offre come cavia per la sperimentazione del vaccino anti-aids. L’impressione fu grande nell’opinione pubblica.
L’uomo è senza dubbio fuori del comune, generoso, geniale, coraggioso, abile, sicuro di sé e di tutto ciò che fa e di cui è convinto: di Dio, del suo lavoro, della sua vocazione, di sé stesso. Una caratteristica, questa, che traspare da ogni suo gesto, da ogni abbraccio (di cui è senza dubbio assai prodigo), da ogni parola che gli esce, generosamente, di bocca. Chi lo conosce bene (i suoi ragazzi) o crede di conoscerlo altrettanto bene (gli estimatori: imprenditori, politici, intellettuali, ecc.) tendono a considerarlo un genio del bene, qualcuno in questi giorni ha perfino azzardato la parola ‘santo’. Io non lo conosco personalmente e non ho motivo né per concedere né per negare questa stima di santità. Ma è proprio a quest’ultimo proposito che io vorrei avanzare qualche considerazione non peregrina, perché nasce proprio dalla natura della crisi che l’uomo è chiamato oggi a fronteggiare.
È un vizio comune tra i cattolici quello di pensare che o si è santi sempre e in tutto o si è peccatori sempre e comunque. Nel caso di Don Pierino questo vuol dire che se le accuse di molestia sessuale non verranno meno, allora don Pierino va considerato un volgare mentitore, un impostore, un giuda. E se lo è oggi, vuol dire che lo è sempre stato. In questo caso niente di ciò che ha fatto finora, varrebbe più niente: sarebbe solo un monumento alla propria vanità.
Io non sono d’accordo con questo punto di vista: una debolezza, un peccato, un cedimento, specialmente su questo punto preciso del sesso, non potrebbe in alcun modo cancellare tutto il bene compiuto in tutto il resto della vita. Un esempio per tutti: lo sconcerto provocato nel mondo cattolico dalla confessione dell’Abbé Pierre, punto di riferimento della Chiesa francese e universale fino a quel giorno in cui, a 91 anni di età, ha confessato d’aver anche lui ceduto, varie volte nella sua vita, alla seduzione dei sensi: e non per amore, ma proprio per il bisogno fisico di dare sfogo all’istinto. A molti sembrò che, a queste parole, tutto il suo mito crollasse.
Tale visione mi trova in dissenso. Io ritengo, io spero che il molto bene compiuto valga davanti agli occhi di Dio assai più di qualche attimo di debolezza, di qualche azione sbagliata, specialmente in un campo come questo. Penso che un’intera vita passata in trincea possa anche far dimenticare quelle quattro notti in cui il soldato ha voluto concedersi di dormire su un letto. Magari avessimo mille Abbé Pierre in giro per il mondo: sono certo che tutti quelli che avrebbero a godere della loro carità, non si sentirebbero defraudati da un abbraccio a cui quel ‘santo’ (anche se ormai non più canonizzabile, forse) si fosse potuto concedere. E sono anche certo che molti sarebbero disposti a sottoscrivere un pensiero come questo: se quell’abbraccio è servito a fargli trovare animo e forza per continuare nella sua opera, benedetti siano quegli abbracci, per tutto quello che hanno reso possibile, una volta finiti. Ecco ora l’ho detto. Consapevolmente. A questo punto la riflessione può riprendere su una traccia più canonica.
Purtroppo in questi giorni se ne sono sentite tante di parole: più di tutte ne ha dette proprio lui, Don Pierino. Anzi, ne ha dette tante che a questo punto bisogna proprio che la sua versione sia vera, perché se tale non fosse, la sua menzogna di oggi sarebbe infinitamente più grave della sua eventuale debolezza di ieri. Personalmente che ne penso? Spero, mi auguro, voglio credere che Don Pierino abbia dichiarato il vero. Ci metterei la mano sul fuoco? No, come non la metterei su nessuno. Conosco abbastanza della vita (anche solo della mia) per sapere che ciò che non è mai stato vero fino a oggi, può diventarlo fra un momento, per poi tornare a non essere più vero ancora un momento più tardi.
Del resto mi pare che il mio pensiero non sia poi così peregrino: su questa linea mi paiono collocarsi il card. Marchisano che invita don Pierino a evitare una «difesa esagerata» come «le terribili parole poi ritrattate sulla lobby ebraica». Anzi secondo lui farebbe addirittura bene a farsi, almeno per un momento, da parte. Don Pierino parla troppo, dice quel principe del fòro che è l’avvocato Coppi, prima di lasciare l’incarico. Lo stesso Avvenire, organo della CEI, evita prese di posizione troppo nette. Come don Ciotti, come don Mazzi. Come il Segretario di Stato Card Bertone, che dagli USA manda a dire che quando tornerà, vuole andare fino in fondo.
Una parola sui suoi accusatori: niente vittime, solo gente spregevole. Come consigliava qualche giorno fa Vittorio Feltri: non faccian le verginelle insidiate e deflorate dal bruto: erano giovanotti bell’e cresciuti all’epoca dei fatti. Con uno sbernone o uno spintone sai le capriole che gli facevano fare a quel ‘meschino’! E se qualcosa ci fosse stato, e sinceramente non lo credo, poté esserci solo perché erano consenzienti. Lascivia consensuale, semmai, non molestia. Quanto all’epiteto che loro si meriterebbero, lo lascio scegliere al lettore. Non vorrei subire una denuncia per oltraggio o diffamazione.


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