Siamo tutti figli di Dio. Anche “Loro”


Chiesa santa di Dio, che ti sta succedendo? Erano almeno 50 anni che non ti succedeva più, da quell’8 dicembre 1965 in cui il sole tramontò su uno dei giorni più radiosi della tua storia. Quella sera, in piazza san Pietro, si chiuse il Concilio Vaticano II, e tutti pensarono che la Chiesa aveva ormai tutto quello che le sarebbe servito per dar vita a un rilancio tanto profondo e fecondo quanto quella solenne celebrazione di chiusura permetteva di sperare.
Invece durò poco. Già nella seconda parte del pontificato di Paolo VI s’era potuto vedere che il tempo magico del pontificato di Giovanni XXIII, il papa buono – come tutti lo chiamavano – era definitivamente tramontato. Ci fu un altro bagliore col papa-star Giovanni Paolo II e i suoi papaboys tutti divenuti globetrotter al suo seguito. Qualcosa di quei bagliori ancora dura nelle GMG, le Giornate mondiali della Gioventù, la sua creatura. Poi fu il triste autunno di Benedetto XVI, che faceva presagire a molti un ancor più rigido inverno e che fu invece l’esplosione della più inattesa, insperata e invocata primavera: l’elezione del papa venuto “quasi dalla fine del mondo”, quel papa Francesco che fu subito un “caso” e parve a tutti un miracolo, una boccata d’aria pura e fresca nell’aria consumata e polverosa dei gloriosi palazzi vaticani. Fu così che la scelta di papa Benedetto si è rivelato un gesto che rimarrà scritto nella storia come un monumento più perenne del bronzo. Qualcuno, ritenendosi più “sveglio” degli altri, azzardò la battuta “dura minga, non può durare. Ma ormai sono due anni e mezzo che Francesco è papa e la sua azione continua a stupire, anzi si intensifica sempre di più.

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Questa invece è storia recente, anzi di questi giorni. Sono di questi giorni le notizia di convegni o seminari tenuti a Roma e dintorni (si fa per dire) in estrema riservatezza (forse segretezza?) in cui teologi di nome si sono per alcuni giorni confrontati su diversi punti, convenendo poi su alcune proposte pubblicate dalla Libreria Vaticana, che saranno presentate al papa e al sinodo del prossimo ottobre, relative ai problemi che in quell’occasione troveranno la sede appropriata per una approfondita discussione in vista del documento finale del sinodo, nel quale il papa, forte della sua insindacabile autorità, farà conoscere le sue decisioni in materia. Vi si parla di comunione ai divorziati risposati: ipotesi, vi si dice, da non scartare a priori: dopo un percorso penitenziale fatto sotto la guida d’un prete esperto nelle cose dello spirito e della  famiglia, non si dovrebbe escludere la possibilità di farli accedere alla comunione, almeno a pasqua. La cosa è presentata come cosa d’avanguardia: per me, se fosse così, sarebbe una durissima delusione. La solita montagna che stavolta partorisce solo la codina d’un topo. Altre informazioni sono ancora peggio. Vi si scrive, per esempio, che anche parlare di comunione spirituale per i divorziati risposati potrebbe essere improprio e rischioso, perché non andrebbe dimenticato che per fare vera comunione spirituale bisogna essere in grazia di Dio, perché se non sei in grazia di Dio che comunione puoi fare con Lui?. Se questi resoconti fossero corretti ci sarebbe da restare quanto meno perplessi. Un teologo, specie se di nome, non dovrebbe mai dimenticare che Paolo di Tarso ha scritto, una volta per tutte, parole come queste: «Perciò vi dico che come nessuno, che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire “Gesù è anatema!”, così nessuno può dire “Gesù è Signore!” se non sotto l’azione dello Spirito Santo (1Cor 12,3). Se questo è vero, e nessuno può metterlo in dubbio, come potrebbe mai uno che stabilmente vive in condizione di peccato mortale (così si è letto in questi giorni) produrre un atto di dolore tale da meritare il perdono di Dio e la riconciliazione con la Chiesa? E come potrebbe concepire e desiderare il perdono se lo Spirito di Dio non fosse già in lui? Ora se un divorziato e risposato vive stabilmente in peccato mortale, come potrà desiderare una maggiore comunione con Dio? Non sarà già questo desiderio, da solo, la prima e più grande, anzi unica vera prova che il perdono è già stato concesso, magari al di fuori della mediazione della Chiesa ufficiale e gerarchica? Ciò che a noi oggi può sorprenderci, era già chiarissimo nel sec. IX, quando i padri sinodali di Chalon-sur-Saône scrissero: «noi possiamo ottenere il perdono sia confessando i nostri peccati al sacerdote, sia confessandoli a Dio solo;  li confesseremo al sacerdote perché lui ci insegni come ottenere il perdono dei peccati, ma li potremo confessare (anche) a Dio solo, perché solo Dio ce li può perdonare». Notata la differenza? Il sacerdote (il confessore) ci insegna il come) ma chi ci perdona è solo Dio. Ciò poté andare avanti fino all’XI secolo, poi la scolastica rovesciò completamente le carte in tavola. Inutile girarci intorno: ciò fu un vero errore teologico. Nessuno si ricordò più che san Paolo ci aveva fatto capire che non è né Paolo, né Cefa, né Apollo che battezzano, ma in tutti agisce lo stesso Cristo (cfr. 1Cor cap. 1 e 4).  Questo errore di prospettiva avrà vita lunga  e fra i secoli  XII e il XVI farà i suoi danni peggiori. Fu quando alle formule impersonali del tipo Paolo, Francesco, Giovanni è battezzato nel nome del Padre… si sentì il bisogno di dire «io ti battezzo… io ti confermo… io ti ungo… io ti assolvo… io vi congiungo in matrimonio…». Da allora ci si dimenticò che a fare tutto questo era sempre lui, Cristo Gesù risorto e vivo: lui che battezzava, che confermava, che assolveva dai peccati, che ungeva il malato. Due soli sacramenti scamparono all’infestazione da “io”: l’Eucaristia e l’Ordine sacro. Ora, dopo il Concilio, le cose stanno tornando a posto pian piano  e l’io è già scomparso dall’unzione degli infermi, dalla confermazione e dal matrimonio: restano ancora da bonificare il battesimo e il sacramento della penitenza. Un giorno, però, prima o poi, avverrà.  Tornando a noi, e alle voci relative alla preparazione del sinodo di ottobre, ciò che sta emergendo da interviste, articoli di giornali e libri ad hoc, sembra che la voglia di riforme   cresca continuamente. Se prima si parlava quasi solo della comunione ai divorziati risposati, ora si propone anche di benedire le seconde nozze dei divorziati,  sull’esempio di ciò che avviene nelle Chiese orientali non cattoliche. Nozze benedette, sulle quali e per le quali si prega, anche se nessuno propone che sia loro riconosciuto lo statuto sacramentale. Seconde nozze dunque, non ancora (e forse mai) sacramento, ma nemmeno più peccato non perdonabile, sulle quali anzi sarà possibile invocare la benedizione divina. Un passo formidabile se sarà fatto davvero. A noi non resta che aspettare e sperare. E magari pregare anche, perché ciò avvenga. Ho già fatto presente, sopra, che si comincia a riflettere sulla liceità dei contracettivi, non solo permettendoli, ma addirittura avanzando che l’idea che forse sono anche meglio  dei cosiddetti metodi naturali, risultando essi più “mirati” e meno “indiscriminati” di questi. Ci sarebbe da sorridere se non ci fossero stati già tanti drammi e tante ansie ingiustificate, inutilmente inflitte alle coscienze degli innocenti sposi cristiani . Mi si consenta una divagazione per strapparvi un sorriso: s’era sempre detto l’arcivescovo Ferdinando Lambruschini fosse stato mandato a Perugia per avere egli detto, presentando ufficialmente nella sala stampa vaticana l’enciclica Humanae vitae di Paolo VI, che quell’enciclica non doveva essere vista come un pronunciamento infallibile della suprema autorità della Chiesa. Si diceva che ciò aveva contrariato molto Paolo VI che lo avrebbe dirottato a Perugia. Questa la leggenda metropolitana perugina. Ieri però Paolo Rodari, su la Repubblica, ha firmato un articolo nel quale è scritto che fu  lo stesso Paolo VI che «volle fosse dichiarato pubblicamente da mons. Lambruschini, che l’Humanaevitae, non era atto di magistero definitivo e infallibile». Quale  versione è quella vera? Io non sono in grado di rispondere. Ma son passati quasi 40 anni dalla morte dei due protagonisti della vicenda. Requiescant in pace.

Avendo avuto licenza di sfruttare un po’ più di spazio, vorrei aggiungere qualcosa anche sull’unione civile fra omosessuali. La posizione della Chiesa è ben nota. No: da qualunque parte la si guardi. Anzi peccato contro natura: il peggio del peggio, cose da Sodoma e Gomorra. Qualcuno lo pensa ancora. Ne sto trattando in un mio libro che dovrebbe vedere presto la luce. Io vi svolgo questa considerazione: tutto il bene dell’uomo, può volgersi al male: la forza fisica come la grande intelligenza. Nella nostra realtà nulla è mai definitivamente bene o male. Il grande male lo fa la grande intelligenza, non il cretino. Ogni dote positiva può volgere in tragedia. Quando ero bambino, uno scolaro  mancino doveva imparare a scrivere con la sinistra. È un vizio di natura dicevano i maestri. Il mondo è dei destri. Devi esserlo anche tu. Nessuno allora sapeva che la coppa Davis di tennis la vincono più i mancini che i destri. Guai, allora, essere omosessuale: deriso, schivato, rifiutato, emarginato. Guai se toccava un bambino. Oggi il vento sta cambiando e in molte parti del mondo è già cambiato. La Chiesa al solito, arriverà con qualche ritardo. Guai se ciò fosse anche ora.

Non ho più spazio se non per una preghiera che rivolgo alla Chiesa che amo più di me stesso: l’omosessualità può essere una condizione natale o un vizio acquisito. Come nell’antico mondo greco-romano. Se è un vizio acquisito va condannato come tutti i vizi. Se è una condizione naturale, fonte di sofferenza ingiusta se sei costretto a subirla, va affrontata con comprensione e le si deve andare incontro. Oggi i medici possono capire da dove ha origine la “tua” personale tendenza. Se la sua origine è il vizio, la si lasci a sé stessa. Ma se due persone che sono nate così si incontrano e si vogliono bene, io, se fossi la Chiesa, senza farne una famiglia (la famiglia cristiana è un’altra cosa), una benedizione la darei anche a loro. Non sono nozze, assolutamente: chiamala pure “patto di solidarietà” o come vuoi. Ma con la benedizione di Dio. Si sentiranno meno soli, ciò consentirà loro di essere mano amari, meno nemici del genere umano. E sapranno che Dio ama anche loro.  E che essi possono ricambiagli quell’amore.