Come perdere in un amen milioni di consensi


Continuano, senza nessuna prospettiva di tregua le discussioni e le mutue accuse di intolleranza faziosità pregiudizio chiusura mentale monopolio della verità tra tutti i protagonisti dello scontro sulla famiglia, scontro che trova sempre nuovi focolai di risveglio dell’interesse, perché mai l’attenzione e la tensione abbia a sopirsi e l’interesse a distrarsi.
Cosi, dopo il clamoroso risultato del referendum irlandese che ha visto il prevalere sul No con uno schiacciante 61%, si sono moltiplicate le iniziative e le dichiarazioni di una parte e dell’altra: quelle dei fautori della gay family in nome dei sacrosanti diritti umani, e quelle degli apostoli della famiglia normale, un lui e una lei e “ogni più che viene dal maligno”.
Un referendum letto da una parte come uno spartiacque della storia, una pietra miliare, un fiume Piave nella grande guerra tra la famiglia tradizionale e la famiglia moderna, aperta e disinibita. Le celebrazioni, tutte all’insegna dell’entusiasmo delle grandi folle di uomini e donne, omo e etero allo stesso modo, giovani e vecchi e perfino giovanissimi a manifestare e a esprimere l’entusiasmo per una vittoria tanto desiderata quanto inattesa, che li lascia davvero sperare che la storia sia ormai a un bivio, a un “o di qua o di là”, a un “o con me o contro di me” veramente decisivo.
Dall’altra parte, al contrario, un suono di campane a lutto, forse addirittura a martello, di fronte all’incombere d’una minaccia che si sperava fosse ancora lontana e non già su l’altra sponda del piccolo fiume che fa da confine fra la civiltà cristiana e la rinascente civiltà pagana, nata sui solchi abbeverati di sangue (ricordate La Marseillaise?) esito imprevedibile e fatale del secolo dei lumi il quale, abbattuti i vecchi altari edificati al Dio degli odiati potenti, si ritrovò ingloriosamente inginocchiato davanti al nuovo padreterno, italo-francese questo, anche lui sacrificato su un Golgota, sperduto questo nei lontani mari del Sud, irraggiungibile agli uomini, ma non a Dio, (a voler credere all’Alessandro Manzoni del Cinque Maggio).
Il card. Parolin ha parlato di “sconfitta dell’umanità” e J.Waters, libera voce irlandese, ha scritto di “morte della democrazia in Irlanda”, ha dato del codardi ai vescovi irlandesi, dichiarando “ormai inutile” l’intera Chiesa d’Irlanda). Nel suo piccolo, il p. Amort, celebrato demonologo, sentenziò che «nell’omosessualità c’è di mezzo il demonio perché è un peccato contro natura» (cito a memoria).
Così mi è tornato alla mente uno scritto del 2008, di Jacques Attali, famoso e brillante intellettuale francese. In quello scritto egli « dava come prossima la fine della famiglia monogamica, ipotizzando una società con molteplici immagini o tipologie di famiglie, dalle più aperte alle più tradizionali; modelli nei quali i concetti di monogamia e monoandria e lo stesso concetto di fedeltà coniugale potrebbero divenire un optional fra i tanti possibili. Partendo dal fatto che storicamente l’umanità ha conosciuto e tuttora presenta innumerevoli modelli di famiglia: matriarcale e patriarcale, monogamico e poligamico, monoandrico e poliandrico, dissolubile e indissolubile; famiglie fondate sull’idea della gelosa esclusiva sul partner, Attali arrivava a decretare la definitiva cancellazione «dell’utopia cristiana e della norma borghese» dell’indissolubilità e della fedeltà coniugale.
«In cambio, parlava di un’era ormai non più lontana che riconoscerà un matrimonio “contrattualmente provvisorio”; un’era del “poliamore, della polifamiglia, delle polifedeltà in cui ciascuno sarà fedele a diversi membri di uno stesso gruppo dalle sessualità molteplici”.
Attali si spingeva a immaginare un tempo in cui la riproduzione sarà affidata alle macchine, mentre la sessualità avrà come unica finalità il piacere. Grazie alla clonazione “si potrà arrivare all’ ermafroditismo universale”.
Per terminare con un dilemma: “Si deve resistere a un tale avvenire o ci si deve limitare a rimanere stupiti davanti a tanti mutamenti?”.
Su questa pagina di Attali avevo scritto qualcosa anni addietro e lo tengo presente anche in un mio testo sul matrimonio che spero uscirà presto.
Attali, sia chiaro, fa il suo mestiere: egli vuole provocare. Provocare non tanto una discussione, quanto una reazione da parte dei benpensanti, uno scandalo diremmo noi; vuole che delle sue parole si parli, sia in bene sia in male. E forse chi mi legge dirà che gli sto dando una mano.
Io invece non parlerò di lui. Ho solo raccolto la sua provocazione che mi fa comodo per parlare di ciò che a me sta a cuore: una cosa che non dice Attali, ma la Chiesa. E lo fa in un modo, purtroppo, secondo me, sbagliato. Non lo dico con il tono soddisfatto del bastian contrario che gode quando mette in difficoltà l’interlocutore: lo dico con il rammarico del discepolo quando deve convincersi che il suo maestro, su un dato punto, sbaglia. E su questo punto, la mia maestra, la Chiesa, sbaglia.
Sbaglia quando intende blindare il discorso/dibattito sulla famiglia sotto il sigillo del diritto naturale. Hic sunt leones, sembra dirmi: dunque attento, non spingerti oltre, è pericoloso. A meno che tu non sia proprio un cacciatore di leoni. Cioè di guai. Allora potrai andare avanti, ma con infinita cautela. E a tuo rischio e pericolo.
Bene sono avvertito: procederò con cautela. Ma se voglio cacciare il leone, avanti devo andare.
Il primo ostacolo è un’obiezione che ha tutta l’aria d’essere insuperabile: come potrebbe essere considerata “di natura” una legge che nei fatti conosce infinite variabili, tutte ugualmente legittime e legali, spesso inconciliabili fra loro, ma tutte riconosciute e praticate come “naturali” dai diversi popoli sotto le diverse latitudini? Ciò che interi popoli, composti talvolta da centinaia di milioni o da miliardi di individui (è il caso di Cina e India), hanno già sperimentato e praticato per secoli, in alcuni casi per millenni, con tutti i crismi della legalità umana e spesso anche religiosa? Si pensi alla poligamia, al ripudio, al divorzio, ai sotterfugi relativi al sesso, presenti anche nella Bibbia e con tanto di approvazione divina: Abramo e Isacco che fanno passare le rispettive mogli per loro sorelle, disponibili e trattabili, e questo al solo fine di evitare delle noie a sé stessi (Gn 12, 11-30; Gn 26,1-11); alle figlie di Lot che concepiscono dal padre dopo averlo ubriacato ben bene (Gn 19,30-36); alle mogli di Saul, le quali passano, tutte, al suo successore, al santo re Davide, e questo è presentato da Natan come un dono grazioso di Dio a David (2Sam 12,8), il quale da parte sua non se ne sentirà neppure appagato e si prenderà altre mogli e concubine a Gerusalemme (2Sam, 5,13), e che non saranno neppure le ultime.
Ebbene come potranno essere considerati “contro natura” comportamenti che lo stesso unico vero Dio ha potuto prevedere e tollerare e perfino metterli lui stesso a disposizione dei suoi eletti (la storia di Agar e Sara)? E si pensi ancora alla prostituzione sacra esercitata per secoli nelle regioni dell’area mediterranea e alle sue innumerevoli varianti anche rituali; e questo non solo nell’induismo e nelle civiltà del Pacifico nelle quali il sesso era interpretato anche come un normalissimo spasso dell’età puberale e adolescenziale, fino a riservare nei villaggi spazi riservati agli adolescenti proprio a questo scopo?
La risposta ufficiale della Chiesa è ricalcata sulle parole stesse di Gesù: «È per la durezza dei vostri cuori» che Mosé ha potuto consentirvelo (Mc 10,5). Ma sarà lecito qui porre una domanda: ma siamo proprio sicuri che Dio avrebbe potuto consentire cose assolutamente intollerabili ai suoi occhi? Una madre o un padre di retti sentimenti, potrà anche accontentarsi di mollare una sberla al figlio che spara con la pistola ad acqua su un’anziana signora, ma reagirebbe in ben altro modo se la pistola fosse caricata a piombo.
Non sarà allora che Dio ha potuto accettare e consentire di chiudere gli occhi sulle tante concessioni e le tante aberrazioni dell’Antica Legge sul matrimonio e sulla sessualità (tali almeno sembrano ai nostri occhi) anche perché, in ultima analisi, quelle deroghe non andavano a colpire in maniera mortale la natura stessa del disegno divino sulla sua creatura?
Qui ritorna il discorso sulla famiglia e sui diversi modi di vederla, intenderla, interpretarla, viverla. Perché è evidente che sarà difficile conciliare l’immagine di famiglia quale esce dai primi due capitoli della Genesi («i due saranno una sola carne, Gn 2,24) e che si ritrova nel Cantico dei cantici, con quella che poi incontreremo più tardi in tante altre pagine della stessa Bibbia.
Così, mentre Eva ci appare come lo splendido dono che completa l’opera creativa di Dio – opera perfetta essa stessa, dono presentato già scartato (nuda) dalla mani stesse di Dio all’uomo, al fine di dar vita a una coppia destinata a essere tale per sempre –, ciò che invece troveremo più tardi nelle concrete realizzazioni di cui la Bibbia ci dà conto, sarà ben lontano dal luminoso modello proposto in quelle pagine. Del resto, sebbene sia certo che mai l’uomo riuscirà ad attuare in pienezza il progetto di Dio – troppo sublime quel sogno per poter essere realizzato su scala universale – esso dovrà continuare ad alimentare la profezia della Chiesa, senza nulla sacrificare della perfezione del sogno.
Ma la Chiesa dovrà altrettanto realisticamente prendere atto che nella realtà complessa di una storia alle prese con una molteplicità quasi incredibile di civiltà e di fedi, di culture e di leggi, di politiche e di regimi, la Chiesa, se mai dovrà rinunciare alla perfezione del modello divino dal quale essa stessa è nata e alla quale deve tendere, allo stesso tempo dovrà sempre ricordare che quella perfezione non è di questo mondo e che, pertanto, mai dovrà rinunciare alla clemenza, alla mediazione, alla concessione di tutto ciò che può essere concesso. Ne va della sua stessa ragion d’essere. E della sua stessa vita. Perché nel momento stesso in cui essa vorrà imporre il suo pur splendido sogno, si alienerà l’amore di tutti coloro che sono sempre vissuti con un altro sogno e popoli interi potranno voltarle le spalle e uscire dai suoi templi e dalle sue case. Il meglio può essere nemico del bene. Anche per la Chiesa.
Quante cose sono cresciute e quante sono andate perdute, di bene come di male, da quando «l’uomo è entrato nel mondo senza far rumore…» (P. Theilard de Chardin, Le phénomène humain). fino al giorno in cui il Libro sacro ha fissato per iscritto la Parola ispirata?
Da allora, e per decine o centinaia di migliaia di anni, mai nessun discorso sulle famiglie fu fatto, ma solo milioni e milioni di famiglie si erano succedute sulla faccia della terra, senza che nessun discorso sulla famiglia fosse mai stato fatto. Perché prima furono le famiglie poi vennero tutti i discorsi sulla famiglia, proprio come fu per la vita. E per l’amore. E per la morte. E le famiglie si contentavano di fare le famiglie. Vivendo e in parte vivendo. Contente di fare, loro, famiglia e di lasciarle fare alle altre. Che sia ancora la ricetta migliore?