Che prima o poi ci si arrivasse era fatale, ma che l’ora fosse già arrivata, questo non era stato ancora scritto. Sicché il disappunto non ne risulta in alcun modo attenuato.
Di che sto parlando? Dell’ora in cui il sopruso sarebbe stato compiuto, naturalmente. E quell’ora è scoccata, e il sopruso è già stato consumato.
Di quale ora, dunque, e di quale sopruso si sta parlando? Per favore, bando agli enigmi e solo parole chiare. E che “amen” sia!
E allora cominciamo dal fatto, nudo e crudo: qualcosa di pretestuoso e di ridicolo, tipo “La secchia rapita” di Alessandro Tassoni, che narra, com’è noto, d’una guerra fra Bologna e Modena, al tempo di Federico II, in aspro contrasto fra loro. L’avvio è semplicemente epico:
“Vorrei cantar quel memorando sdegno
ch’infiammò già ne’ fieri petti umani
un’infelice e vil Secchia di legno
che tolsero ai Petroni i Gemignani”.
Il caso e il pretesto della risibile guerra sono offerti da una secchia di cui si servirono i modenesi per dissetarsi a un pozzo, durante un’azione di guerra. Ahiloro, i modenesi non avevano messo in conto che Bologna si sarebbe adirata tanto da scendere in guerra per la secchia d’un pozzo di confine. Ma questo avvenne. E guerra fu. L’esito fu tutto da ridere: Modena si tenne la secchia e Bologna si tenne come preda di guerra la malinconica figura di Re Enzo.
Ma insomma di che si sta parlando? Chi (o che) è la secchia, chi è o che rappresenta re Enzo, nel nostro caso?
Rompendo l’arcano, usiamo parole più semplici e chiare.
È cosa ormai saputa da tutti che è stata finalmente inaugurata la strada statale 77, detta della val di Chienti, spesso da noi detta più semplicemente di Colfiorito. Naturalmente l’inaugurazione è stata un’occasione importante per i politici: per mettersi in mostra, farsi un po’ di pubblicità (che a loro fa sempre comodo) e forse anche per farsi anche qualche reciproco dispetto.
Stavolta per il dispetto più grosso è stato scelto una specie di agnello sacrificale, la vittima più innocente inerme, l’ideale per ricordare al mondo chi rappresentava, nell’occasione, il marchese del Grillo, e cosa sono tutti gli altri.
Dalla festa comune, infatti è stato tenuto fuori proprio il Vescovo di Foligno, mons. Gualtiero Sigismondi, al quale, per carità, la cosa era stata detta, ci mancherebbe!, ma avendo al contempo avuto cura di togliergli di mano “secchiello e pennello” (G.Guareschi, Piccolo mondo antico) cioè senza permettergli di fare l’unica cosa che tutti si sarebbero aspettati da lui, cioè la benedizione del nuovo attesissimo tratto di strada che avrebbe collegato Foligno e l’intera Umbria centrale, a Civitanova Marche e a Loreto, lungo quella che è stata chiamata per secoli “la Via Lauretana” cioè la via che conduce a Loreto.
Il Vescovo proprio questo si aspettava, e su questo faceva conto, ma non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato obbligato a lasciare a casa l’acquasanta perché, senza mezzi termini, gli han fatto sapere che l’acqua santa nel frattempo è evaporata e nessuno ne sente più il bisogno. Basta la fatica umana a benedire (laicamente) ogni lavoro dell’uomo. E poi, in sovrappiù, ci sono i non cristiani da tutelare, e i diritti della loro coscienza e il rispetto delle loro fedi. Del resto si rifletta bene: se abbiamo già tolto (o stiamo ancora bonificando da crocifissi e da madonne le sale dei tribunali, le scuole, le camere d’albergo, gli uffici statali, i comuni ecc, perché dovremmo ancora benedire con acqua santa strade e ponti, ferrovie e aeroporti ecc. ecc.?
E poi il mondo e l’Italia stessa e le nostre città e i nostri cittadini non sono più gli stessi d’una volta: c’è chi crede, ma c’è chi non crede e, fra chi crede, c’è chi crede in Cristo e chi crede in Allah, chi in Budda e chi in Maometto, chi a tutto e chi a niente: e in questa babele di credi a chi si dovrebbe dare ragione? Meglio allora parti uguali per tutti e cioè niente a nessuno, dal momento che davanti allo Stato non c’è distinzione di persone. Per di più ci sono sempre fatti strani che non sai né da chi né da dove traggano origine.
Così, per esempio come e da dove è venuta fuori quella voce che voleva la decisione adottata come approvata, e forse raccomandata dal Presidente del Consiglio in persona, il fin troppo ciarliero Matteo Renzi? E da dove poi la smentita? E a chi si dovrebbe credere per non rimanere vittime di meschini giochi di potere da tanto al chilo?
Ma poi sai che ti dico? Basta di fasciarci la testa, tanto lo sai che tutto questo vale meno che niente. Qui c’è, grande come un grattacielo, una volontà precisa: a noi non interessa niente di nessuna cosa che diciamo noi né di quello che dite voi. Noi diremo tutto ciò che ci serve, che ci fa comodo, e tanto peggio per chi ci dà credito. Poi negheremo tutto ciò che ci fa conviene smentire, peggio per chi giura su quello che noi abbiamo giurato: che anche se non dirò “dio mi ciechi” ogni volta che io affermerò o negherò come capo del governo, o come ministro, o come qualche altra autorità istituzionale, le mie parole dovrebbero essere pesanti e sacrosante come un giuramento, perché tutti quelli che hanno compiti istituzionali sono tenuti a giurare fedeltà alla Costituzione o alla Legge. Perché poi Dio, ormai, in una società laica, mettetevelo in testa, è un fuori legge: incerti perfino sulla sua esistenza, egli non ha più diritti, non ha difese, non ha più autorità veruna. Questa è la verità Madama la Marchesa. Ti stia bene o non ti stia bene, così vanno le cose. Il sole divino è giunto al suo tramonto: fatevene una ragione, datevene pace.
E poi, per concludere: è ormai più d’un secolo che dal suo ritiro sul lago di Sils Maria, scese un uomo , si chiamava Friedrich Nietzsche, uno dei più grandi geni del suo tempo e non solo, che annunciò al mondo che “Dio è morto”. E dopo 117 anni dalla morte di quell’uomo, noi siamo ancora qui a discutere se Dio c’è o non c’è, se è vivo o se è morto e a che punto è la guerra tra umani sulla morte effettiva o presunta di Dio. Roba da non credere!
Perché se oggi il cristianesimo ha un nemico mortale, esso va cercato per certo fra il miliardo e mezzo (e passa!) di battezzati cattolici che a quel nome e a quella fede fanno tutt’altro che onore. E tra questi, direi, che un posto di rilievo lo hanno le diverse centinaia di milioni di uomini che dicono di credere in lui, mantenendo però una sostanziale identità di giudizio e di valori fra il credere e il non credere, tra il fare il bene e il fare il male. Un doveroso rispetto verso tutte le altre fedi, ci raccontano.
Menzogna! Essi agiscono così solo per loro meschino opportunismo, sì da risultare “a Dio spiacenti ed a’ nemici sui” (Inferno, 3,64): cristiani cui si applica altrettanto bene il verso seguente della stessa cantica, dove Dante li chiama “sciagurati che mai non fur vivi” (v.65). Non se ne dispiaccia troppo Eccellenza: le hanno risparmiata una maschera che per loro avrebbe fatto solo parte del folklore. Lascio ancora la parola a Dante: “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa” (ivi, 3, 51). E Lei passi, Eccellenza!
Antonio Santantoni
teologo
antoniosantantoni (chiocciola) gmail (punto) com
Commenti
Una risposta a “Il tradimento d’una storia e d’una vocazione”
Magnifico il noto fine giornalista ha ritrovato tutta la sua eloquenza. Siamo in attesa di vedere o qui o da un altro mondo la fine della disputa che noi per fede riteniamo scontata.