Per fortuna mi succede di rado. Ma quando capita è dura. Oggi è una giornata di quelle. Vorresti non vedere nessuno. Non sentire nessuno. Non parlare. Non scrivere. Ipocondria? In genere non ne soffro. Umor nero? Non mi è abituale? Dal caldo posso difendermi. Allora?
Credo che sia questa pioggia di notizie, una peggiore dell’altra che non se ne può più, che non mi fa più leggere giornali, né seguire telegiornali: uno al giorno al massimo, tanto son tutti uguali e le notizie tutte da far paura.
Oggi c’è quella della bambina morta di diabete perché un mostro di scafista le ha buttato in mare la busta con l’insulina. La seconda è anche peggio: una bambina di dieci anni esplode durante una festa di fine Ramadan. Almeno 15 morti. Non si sa se s’è fatta esplodere o se l’han fatta esplodere. Quisquilie: il prodotto non cambia. Una festa religiosa; islamica per di più. Basta così. BASTA!
Mi urla dentro una domanda: ma che belve mai sono questi uomini, e da quale serpe son potuti nascere o quale dio malnato ha potuto crearne di tanto perfidi e infidi e sanguinari?
Esattamente 32 anni fa, in un mio dramma intitolato Getzemani, mettevo in bocca a un Simon Pietro (dietro le cui parvenze parlava Satana, il tentatore), queste parole rivolte a un Gesù che sudava sangue nell’orto degli ulivi: parole che lo scongiuravano di mettersi in salvo. Era Satana che giocava grosso: se Gesù fosse scappato, la sua stessa venuta sulla terra sarebbe stata inutile e il regno del male non avrebbe più avuto nemici.
Queste le parole di Simone-Satana: «Vorrei sapere perché tutto quello che esce dalle mani di Dio si trasforma subito in dolore, fatica, lacrime, sangue! Se tutte le sue opere erano così buone, com’è che tutto è diventato subito così storto e sbagliato?». Per concludere: «Non costringerci a odiare un Dio sanguinario!».
È inutile negarlo: qualcosa di sbagliato ci dev’essere, o in Dio o in noi! Perché a me non fa certo problema che gli uomini siano quello che sono: belve! Incivilite quanto si vuole, ma sempre belve rimangono. Anche le tigri, se ammaestrate, ubbidiscono al domatore, ma ciò non impedisce loro, ogni tanto, di prendersi la rivincita. Solo che da noi la rivincita è la norma.
Non riesco a tollerare che queste nefandezze vengano compiute al grido di “Allah è grande!”. Come quando Pietro l’eremita spinse l’intera Europa cristiana alla crociata, al grido blasfemo di “Deus levolt!”. Fu, così che masse di poveri e di pezzenti partirono a portar morte e a morire loro stessi, ammazzati dalla fame e dalle malattie prima ancora d’arrivare sotto le mura di Gerusalemme.
A questo punto io non posso fare a meno di pormi una domanda a cui dovrò anche cercare una risposta che possa convincere prima me poi chi mi ascolta o mi legge.
E la domanda è questa: Dio è la soluzione o il problema?
Per esempio se l’Isis dichiara guerra al mondo perché Allah lo vuole, io mi chiedo: è Dio o Al Baghdadi che lo vuole? Così come nel 1096: era Dio o Pietro l’eremita che voleva la crociata?
Precisiamo: quando Dico Dio, io intendo parlare del Dio di Gesù di Nazaret, quello che lo stesso Gesù chiamava Padre.
Già perché dietro queste innocenti parole si nasconde un altro problema, formidabile esso stesso: siamo proprio sicuri che il Gesù Cristo dei cristiani moderni (cattolici o altro che siano) sia proprio il Gesù di Nazaret che incontriamo nei sinottici?
Quando esco per strada e sento la mia gente che bestemmia cristo e che lo impreca con parole che non darei a nessun nemico; il cristo davanti al quale si inginocchiano i nostri politici ladri, corrotti e corruttori; il cristo dei meccanici che nell’officina tengono uno vicino all’altra un crocifisso e una donna nuda; il cristo che i portatori fanno inchinare davanti al mafioso che dall’alto del suo balcone risponde con uno stirato gesto di degnazione; il cristo che balla il ballo di san vito tra i seni scollacciati della volgarissima ciccona: ecco, davanti a scene come queste io non posso fare a meno di chiedermi come potranno i miei contemporanei credere ancora che quel povero Cristo che io amo molto più di me stesso, ma che si lascia strapazzare così, da un’arpia che dove mangia sporca, sia proprio lo stesso Gesù che abbiamo incontrato nei vangeli e che miliardi di miei simili hanno adorato e a milioni sono morti fra i tormenti per rendergli testimonianza con il proprio sangue.
Perché io solo di quel Gesù sono innamorato, del Gesù che mi parla in parabole, che mi parla con parole che anche mia madre che aveva fatto solo la quarta elementare, riusciva ad amare e a capire, e che, quando sentiva parlare i preti come me che pure ero suo figlio, mi diceva sempre: “sarà come dite voi, ma a me basta la mia fede”. Voleva una fede che i problemi l’aiutasse a risolverli, non a crearglieli. Dal Vangelo lei si aspettava gioia, non angoscia dato che tutto il vangelo, per lei, era in quelle poche, chiarissime parole: Dio mi ama. Al di là del suo non capire, al di là dei suoi difetti, al di là dei suoi peccati Dio la amava. Anche quando non esaudiva le sue preghiere Dio la amava. In cambio di che? Della sua grande fede. A lui bastava, lei ne era sicura. Anche a lei bastava.
Questa fede è oggi la mia fede. Ora ho bisogno di semplificarla, la mia fede. Di “bonificarla” da tutto ciò che la rende difficile, astrusa, problematica, esigente, mai contenta di ciò che io so dare, mai soddisfatta di ciò che le so offrire. Sempre troppo poco, mi dicono. Dio ha diritto a “sempre più”. Ma io non ho niente più di ciò che sono. E ciò che non ho non posso neppure darlo. Non ce l’ho e basta. Io sto cercando un Dio che sappia accontentarsi di ciò che ho. So che è poco.Ma è anche tutto quello che ho.
O non sarà proprio perché non siamo più capaci di capire l’estremamente semplice che tutto va così male? Perché non riusciamo a capire che è proprio per questa smania di spiccare sempre il papa dal suo trono che la Chiesa si ritrova come si ritrova? Vuote le sue chiese, vuoti i suoi confessionali, deserti e trascurati i suoi tabernacoli, i suoi ragazzi che scompaiono appena fatti prima comunione e cresima?
O non sarà perché non sappiamo più parlare ai cuori, impegnati come siamo a parlare ai cervelli? Perché non sappiamo più donare, impegnati come siamo ad amministrare? (E non parlo solo di soldi, ma soprattutto di forze). Che non sappiamo più pregare se non abbiamo un testo davanti? Perché non abbiamo più quella voglia di sporcarci le mani, di mettercela tutta: roba che ormai solo i movimenti ecclesiali sanno fare (sono anche gli unici che dimostrano vitalità). E se lasciassimo i teologi alle loro dispute, e se cominciassimo a convincerci una volta per tutte che il mondo lo salverà chi fa, non chi discute?
Alla Chiesa cattolica in genere servono quattro secoli di discussioni per capire cose che chi fa ha già capito quattro secoli prima di lei. Ma intanto che lei arriva , il mondo ha fatto già altri quattro secoli di strada e quando la Chiesa arriva, sarà ancora quattro secoli indietro. Malgrado questo, noi avremo ancora il coraggio di dire che quel papa o quel concilio sono all’avanguardia… un’avanguardia che cammina quattro secoli indietro. Non è tutto da ridere? No, non c’è niente da ridere! Ci sarebbe solo da piangere!
Mi viene un sospetto: Che ci sia anche qualcosa di nostro nelle sfascio che abbiamo visto all’inizio? Che ci parli della nostra assenza dai campi dove si lotta, si uccide, si ruba, si corrompe e si muore?
Ora è arrivato un papa di cui si dice che è un rivoluzionario solo perché predica e fa cose che i papi avrebbero dovuto dire e fare sempre. Che almeno Dio ce lo conservi e gli dia vita. E coraggio! E tanto. Perché se no, dove ne troveremo un altro? Ho interrogato lo Spirito su questo. “Coraggio ”mi pare m’abbia risposto;“Se non lo troverete a Roma, lo troverete forse fra quelli cui Bergoglio sta tirando la volata. Guardate quanti nuovi cardinali ha creato: vuoi che non ce ne scappi neppure uno? Intanto io mi sto trasferendo laggiù, nel terzo mondo. Anche se la cattedra resta a Roma. Ma sarà il viaggio, mi pare mi venga da vomitare: proprio come 2000 anni fa, a Patmos”.
Vecchie Chiese, attenzione: siete avvertite.
Voglia di silenzio. Ma parlar bisogna
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