Lo confesso: non mi è piaciuto. Per niente. Né lui, né il partito che lo ha votato. Né nel modo, né nel merito. Smaniava dalla voglia. C’è riuscito. Ha sedotto tutti. E tutti ha preso su, sul grande carro del vincitore. Da trionfatore. Con tutti gli altri ai suoi piedi. Adoratori entusiasti. Il Nazareno come la basilica di Santiago di Compostela, ridotto a un Botafumeiro, l’incensiere più grande del mondo. Tutti a cantar le lodi all’enfant plus prodige du monde. Il giovanotto che ha bruciato tutte le tappe. L’uomo capace di trasformare il deserto in un giardino e la palude in un paese delle meraviglie targato Renzi: perché se non sei Renzi non sei nessuno (il Marchese del Grillo secondo Albertone avrebbe detto in altro modo).
136 sì, contro 16 no! Percentuali da basso impero sovietico che nemmeno fossimo in Bulgaria. A riprova d’una credibilità adamantina: aveva cominciato col dire che a lui andava bene così, a lui il partito all’altro il governo e che quell’altro poteva stare tranquillo almeno fino alla primavera del 2015, anzi no anche fino al 2018, purché si desse una smossa, meglio ancora una scossa. Un elettrochoc, par di capire. Intanto per rendergli più facile il compito lui andava risuscitando Berlusconi, vuoi mettere? Dove lo trovi un nuovo padre della Patria più credibile, più nobile di lui? Cene ad Arcore e riunioni noturne a Palazzo Grazioli? Semplici diversivi, mica bunga bunga! Qualche do ut des? Inevitabile: Regalino è morto da un pezzo e lo scambio di favori fra i politici è ciò che il baratto era per gli antichi pastori della sua cara Sardegna. Io ti rimetto in circolo e ti rifaccio una verginità e tu mi dai i tuoi voti, senza i quali che me ne faccio io di tutti i voti che ho preso alle primarie? Questo deve aver pensato Renzi preparandosi al salto della quaglia.
Dovrò affondare il coltello sulle spalle di Enrico, il nipote di Letta senior? Mi dirò che sono quelle del suo nobile zio, e attraverso lui, magari, d’arrivare al cuore del suo principale, il disarcionato cavaliere che io nel frattempo avrò saputo rimettere in sella fino a fargli rimettere piede in Quirinale.
E il patto di pace con l’Enrico? Ci sta tutto, ma gesuiticamente, una semplice restrizione mentale: una pace… armata. Da lunghi coltelli. Fino alla prossima vigilia di San Valentino. Del resto dai gesuiti (quelli del Sei-Settecento, certo, mica quelli come i Martini o i Bergoglio!) ho imparato anche l’arte delle doppie verità. Due frasi, due opposti, tutti e due veri, intercambiabili, usa e getta, assolutamente sovrapponibili. Un’arte. Non facilissima, d’accordo. Ma quando l’hai imparata, hai un arma segreta in più, micidiale. Che non perdona. Oggi ti devo promettere lealtà? Chi più di me? Oggi ti devo promettere collaborazione? Mi farò in due, anzi a pezzetti, per te. Di me puoi fidarti: avrò sempre il fazzoletto pronto per asciugarti il sudore o magari le lacrime. (Però attenzione, quando lo spieghi per usarlo: potrebbe esserci scivolata dentro una lama. Destinata al tuo cuore. Quando si presenterà l’occasione, sta tranquillo: non sbaglierò il colpo).
Ora l’occasione si è presentata e il Fiorentino furioso (anzi pressé, sempre di fretta, lo ha chiamato l’autorevole Le Monde) ha sferrato il suo colpo, centrandolo in pieno. Non si sa se per confortarlo o se per farsi perdonare, dice che il magnanimo Maramaldo vorrebbe offrire allo sconfitto rivale una poltrona, anzi una delle più belle e comode del suo ristrettissimo club ministeriale (vuoi mettere il gusto di avere il tuo rivale ai tuoi ordini?). Ma il cuorgentile Enrico Letta ha già fatto sapere che non accetterà né poltrone né strapuntini; semplicemente lui su quell’omnibus non salirà mai. Sembra di capire che dovrà faticare molto per riaversi dalla botta. Lo si può capire. Ha fatto del suo meglio: un altro giorno, e avrebbe fatto in tempo a rivedere il segno più sul PIL dopo 9 trimestri di segni negativi e perfino la correzione di stima che l’acida agenzia di rating Moody’s ha dedicato all’Italia: non più negativa, ma stabile. Ahi, mala sorte!, un giorno troppo tardi, a frittata già fatta! Aveva anche finto di fidarsi delle cento promesse dell’amico rivale e ora dovrebbe accettare il dono di consolazione? Con qualche giorno di ritardo qualcuno gli deve aver spiegato che già Omero, qualche 3000 anni fa, aveva scritto che di certi amici non ci si deve fidare, neppure quando portano doni. Omero parlava degli antichi greci, ma i fiorentini, si sa, godono in giro più o meno della stessa fama. Almeno dai tempi di Machiavelli in poi. Così Letta ora se ne starà buono per un po’ di tempo, aspettando che gli passi la sbornia da sberla. Aspettando l’ora della rivincita. Che potrebbe arrivare anche molto presto: se appena Berlusconi lo pianta; se appena il prezzo che l’ex cavaliere di Arcore pretenderà dall’ex sindaco di Firenze dovesse rivelarsi troppo alto anche per lo spregiudicato e funambolico inquilino uscente di Palazzo Vecchio in procinto di trasferirsi a Palazzo Chigi. Se appena Alfano manterrà le sue condizioni. Se Vendola non si lascerà convincere. Se Scelta Civica dovesse presto schifarsi dell’avventurismo renziano. Se non ci sarà travaso di voti dalle Cinque Stelle. Se, se, se…
Ma va detto, purtroppo, che il vero problema, qui, non è di Renzi, e nemmeno di Letta, o di Berlusconi, o di Alfano, o di Grillo e delle sue Cinque Stelle: il problema è del Paese, di questo povero sciagurato Paese che da quando ha perso la mano buona, la Sinistra, quella vera, e s’è dovuto accontentare d’una protesi, non sa più come manovrare la barra del timone. Ma non è neanche sul Paese che voglio piangere, qui oggi, ma su di me, povero orfano di ogni punto di riferimento politico, vedovo di ogni compagno di viaggio; che ha perso anche la bussola, proprio in un inverno come questo che piove sempre, stramaledette nuvole gonfie d’acqua, che neppure la Stella Polare ti resta più a indicarti la via, quella che per millenni è bastata a guidare navi sul mare e carovane sui deserti, i luoghi più poveri di punti di riferimento, perché eternamente immobili e mai uguali a sé stessi.
Quanto a me, mi restano solo occhi per piangere, ma nei miei occhi rischiano di seccarsi presto anche le lacrime a sapermi nelle mani di uno che si fa un merito di nutrire «una smisurata ambizione», come fosse una garanzia di successo e non di semplice volontà di potenza; come se la stessa smisurata ambizione non sia la semplice componente comica di ogni aspirante duce o ducetto da operetta, come anche dei più feroci e letali tiranni dei cui nomi i libri di storia sono pieni.
Renzi, l’arte del tradimento, titolava la sera stessa di San Valentino, la puntata di Otto e mezzo su la7. Dice che il sindaco più famoso d’Italia abbia detto, «è un rischio pazzesco, ma dovevo rischiare». Gli è bastato assicurare a tutto il PD la permanenza in parlamento fino al 2018 e Palazzo Chigi fu suo (Massimo Franco).
Ora egli ha una carta sola da giocare, e state certi (anzi speriamo!) che la giocherà: proporre leggi tanto buone, cui nessuno, se non gli aspiranti suicidi, possa dire di no. E lo farà tanto presto da toglierci il fiato. Se così fosse grideremo tutti: Evviva Renzi! E la Patria avrà trovato il suo salvatore.
Quanto a te, gentile Enrico, dico: “Coraggio! Vivi quest’ultimo giorno, come fosse il primo”. Sappi aspettare. L’Italia avrà ancora bisogno di te. Tieniti pronto!
Renzi Letta Berlusconi e il gioco delle parti
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