Tolleranza zero OK, ma chi risarcirà quei preti?


Amo Francesco, vescovo di Roma e di ogni cristiano nel mondo e dunque anche mio, e proprio per il gran bene che gli voglio, vorrei dirgli qualcosa che a me sembra importante. So bene che lui mai leggerà queste parole, ma gliele dico/scrivo lo stesso, forse sperando che un’eco gliene porti il vento (pneuma, vento, soffio, Spirito Santo) per vie o finestre o porte aperte, o spifferi che solo lui conosce, che solo lui può praticare.
Oggi i giornali riportano che il nuovo vescovo di Roma ha ribadito la dottrina di papa Benedetto XVI sul tristissimo caso dei preti pedofili, quella dottrina che la stampa ama chiamare della “tolleranza zero”: espressione che io detesto come poche altre dell’eloquio corrente, presa di peso dal linguaggio del sindaco di New York Rudolph Giuliani, il procuratore di ferro o anche lo sceriffo della Grande Mela.
Dai “virgolettati” della grande stampa, di quella poca che io posso consultare ogni giorno, non mi pare però che l’espressione incriminata sia mai stata pronunciata da lui, ieri almeno. Se così fosse, mi sentirei molto consolato. Da chi parla come parla il nuovo vescovo di Roma, sembrerebbe stonato sentir dire parole che negano perdono e indulgenza a chicchessia.
Sia chiaro però: indulgenza verso il peccatore, non verso il peccato, che è e resta quanto di più odioso si possa immaginare. Resta pur vero che Gesù stesso ha detto che chi dà scandalo a uno dei suoi piccoli, sarebbe meglio per lui se si legasse al collo una macina di mulino e si gettasse in mare (cfr. Mt 18,16). Se il concetto in nulla deflette dalla linea di governo di Benedetto XVI, diversi sono il tono e l’asprezza, minore l’impressione che se ne ricava d’una sentenza senza appello.
Certo nessun peccato è più odioso di quello che insozza l’innocenza dei ragazzi, che inizia (introduce) al vizio la purezza, che insegna allo stupore incantevole e indicibile dell’ innocenza le pratiche più disgustose e rivoltanti della bestia umana, che coglie i gigli solo per gettarli nel buco della fetida latrina del postribolo.
Perché vedi, amatissimo Padre in Cristo, anzi mio “dolce Cristo in terra” (Santa Caterina da Siena), per quanto mi ripugni quell’orrido peccato, io non riesco a non provare un senso di pietà anche per loro, per questi mostri che la coscienza, sia civile sia religiosa, oggi ci addita come ultimo limite, ultima vergogna per la quale mai la pietà, ma solo la giustizia si dovrebbe invocare.
Io non sopporto quelli che gridano: “i preti pedofili alla gogna!”. Allontanarli dal ministero sì, è doveroso, ma non si dovrà dimenticare che quelli che gridano così, sono alla fine gli stessi che chiedono piena licenza di mostrare tutto anche ciò che invoglia al vizio. Che guai se gli neghi la libertà di navigare nel mare di —– della rete o delle tivvù del tutto è sempre lecito: perché siamo tutti adulti e vaccinati. No, che non lo siamo tutti, e loro lo san bene: né tutti adulti né tutti vaccinati.
Nessun dubbio che da parte tua, amatissimo Padre amante della tenerezza, non sia nemmeno pensabile che sia tua intenzione negare misericordia ai colpevoli. So che ti basterà impedire che nocciano ancora.
E ora lasciami dirti, Padre mio, che ogni volta che si parla di preti e dei loro peccati, io non riesco a far tacere in me una voce che mi induce a domandare per loro uno sconto di pena; che sia riconosciuta loro almeno una qualche attenuante generica o specifica, che faccia di loro, certamente colpevoli, altrettante almeno possibili vittime di un abuso pregresso: non sessuale stavolta, ma di altro genere, forse meno odioso, ma non certo meno gravido di dolore.
Ci furono tempi (e tu lo sai molto bene) neanche tanto lontani – diciamo fino all’età del Concilio – in cui una famiglia numerosa si liberava volentieri di una bocca da sfamare mandandolo in seminario: specie se aveva già uno zio prete. Bastava dimostrasse qualche attitudine allo studio. Di un fatto del genere sono io stesso, personalmente, a conoscenza.
Il bambino aveva appena compiuto il decimo anno che fu mandato in seminario. In estate le vacanze non le passava con la mamma, ma con lo zio prete; le sue poche ora di libertà erano sempre controllate (doveva conservarsi puro). Non aveva mai l’occasione di incontrare una donna con cui parlare, confrontarsi con lei, così da potersi fare un‘idea di cos’è, di cosa vuol dire una donna per un uomo, per un prete. E cosa vuol dire il privarsene. Così fino all’ordinazione. Se avesse voluto ripensarci e magari tornare indietro, avrebbe dovuto mettere in conto che la mamma ne sarebbe potuta morire di crepacuore. Che non sarebbe più uscita di casa. Civilmente morta.
Non che fosse sempre così, anzi questo caso (che è assolutamente storico) poté anche essere un caso limite, ma non fu certo unico. Quel figlio divenuto prete, soffrì poi di gravi turbe psichiche e finì in manicomio; uscitone, rifiutò per anni di dire messa in pubblico. Si fece adattare una cappellina in casa; ottenne il permesso di dire la messa da solo; per anni non tollerò neppure la presenza della madre alla sua messa. Solo dopo molto tempo accettò di celebrare in pubblico, in una vera chiesa, ma solo con un prete accanto a lui sull’altare. Fu un prete casto, sicuramente. Ma fu vero prete? O solo la vittima d’un abuso? Non fece abusi su nessuno: gli era bastato quello che aveva subito lui dallo zio prete e dalla mamma.
Ho conosciuto anche un frate che da bambino fu portato in un convento dal padre. Al momento di separarsi il bambino s’attaccò alla giacca del padre perché non se ne andasse senza di lui. Dopo più d’un’ora di inutili tentativi per convincerlo a restare e a lasciare andare il padre, questi chiese un minuto per poter andare in bagno. Il bimbo non lo rivide più. Se n’era andato, lasciandolo in convento. Per giorni e giorni quel bambino non mangiò. Alla fine «più che il dolor poté il digiuno» (Inferno, XXXIII, 75). Divenne frate, poi se ne andò per sposare una donna. Vive tuttora da ottimo cristiano.
Quante migliaia, milioni forse, di casi come questi? Grazie a Dio, molto più numerosi quelli come il primo che quelli come il secondo. Non per nulla, forse, i casi di pedofilia sono statisticamente assai più numerosi fra i vecchi preti che fra i giovani. Ecco perché non mi piace sentir parlare di tolleranza zero. Perché provo pietà per loro.
Sicché ho anch’io un desiderio, carissimo Padre Francesco, vescovo di Roma e d’ogni singolo cristiano del mondo e perciò anche mio: un desiderio che ora ti dirò. Eccolo.
Mi piacerebbe che tu facessi una visita anche a tutti i preti pedofili del mondo (si fa per dire: basterebbe ne incontrassi due o tre) e gettando loro al collo le tue braccia, tu chiedessi loro perdono a nome della Chiesa, per averli messi in quella condizione, strappandoli da casa all’età di dieci anni per rinchiuderli in un simil-lager di nome seminario, tenendoli lontani da un mondo nel quale un giorno sarebbero stati sbalzati senza conoscerlo, esposti a pulsioni a cui non avrebbero potuto far fronte senza peccare. Molti ce l’hanno fatta. Alcuni no. A questi vorrei vederti chiedere perdono: per non aver capito prima che l’uomo cui è negato di poter essere uomo, potrebbe un giorno risvegliarsi trasformato nel gorilla di De André.

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