Se duemila anni vi sembrano tanti


Mi succede a volte di parlar di Dio e di sentirmi dire che chi non crede in Dio lo fa per la sola validissima ragione che di quella fede non si sente alcuna necessità e, cosa ancor più decisiva, alcuna utilità. Per spiegare tutto il bene e tutto il male del mondo, basta l’uomo.
L’esistenza dell’universo? E perché non dovrebbe esserci? Che bisogno c’è di spiegarne l’esistenza con una creazione. C’è e basta. «State contente umane genti al quia». Non si dava già Dante questa risposta (Purgatorio, III, 37)? Perché creare enti senza necessità, dicevano i grandi Scolastici? Da allora sono passati settecento anni: dovremmo proprio noi, tornare indietro dopo i sensazionali avanzamenti del sapere moderno e così venir meno ai grandi princìpi del sapere umano e della scienza?
Quanto alla fede in Gesù Cristo perché dovremmo continuare a credere in lui e nella sua parola? Non hanno già fatto danni abbastanza il suo nome e la sua parola, perché noi dobbiamo ancora legare il carro del nostro progresso e della nostra stessa esistenza agli stanchi buoi, già tanto lenti di suo, di quei principi morali e di quel messaggio che, dopo Nietzsche non hanno più niente da insegnarci?
Queste obiezioni meritano rispetto e non possono essere liquidate in due parole, anche perché, chi me le oppone, non si accontenta in genere di due parole. E ognuno di loro porta ogni volta qualche nuova obiezione, qualche nuovo argomento (che poi magari tanto nuovi non sono) per dimostrare l’inutilità dell’esistenza d’un Dio e del suo stesso concetto.
A loro devo una risposta: e nel darla sono portato, anzi sono costretto ad affinare sempre più le mie risposte, anche se poi sono un po’ sempre le stesse; solo ogni volta più agguerrite, non nel senso di essere sempre più bellicose, dure, intolleranti, ma nel senso d’essere sempre più attente a cogliere gli elementi essenziali del problema per offrire risposte sempre più pertinenti.
Altre volte, anzi il più delle volte, le obiezioni me le pongono, anzi me le impongono, i fatti di cronaca: fatti d’una tale brutalità, d’una tale durezza e oscenità che l’obiezione nasce immediata in me che li leggo o che li sento raccontare dai media. Come quella di stamattina su La Stampa, il quotidiano di Torino: 85.000 gli italiani che ogni anno praticano turismo sessuale, e un milione i bambini che ogni anno finiscono nel giro del turismo sessuale, per soddisfare le richieste dei turisti pedofili. E se questo vale per i soli turisti italiani, quanti saranno nel mondo?
Ci può essere notizia più tragica e rivoltante di questa? Un milione di bambini strappati alle famiglie o da queste messi a disposizione (che è ancora infinitamente peggio, ma spesso quelle hanno almeno la miseria a giustificazione) dei mercanti di carne fresca, anzi freschissima: gente schifosa disposta a pagare anche 30-35.000 dollari (ai lenoni, si badi, non alle famiglie) per una bimba di 7-8 anni, purché vergine.
Capisco bene allora l’obiezione: che ci fa un Dio che permette simili schifezze? O aveva ragione Hawking quando diceva che Dio, se esiste, tutto è meno che onnipotente? Che farcene d’un Dio che non sa né impedire né prosciugare il diluvio di male che ha da sempre travolto il mondo? E che motivo potrebbe esserci per invocarne o predicarne l’esistenza? Non è, invece proprio la sua dichiarata impotenza un motivo quanto mai serio, anzi assolutamente cogente, per negarne l’esistenza? Di fallimenti l’uomo ne ha già le tasche piene di suo: che bisogno c’è che, a rovesciarcene altri addosso, ci mettiamo anche Dio?
Quanto a quel buon uomo – più che altro un povero illuso – di Gesù di Nazaret, lasciatelo pure dov’è, su quella croce dove molto opportunamente gli uomini l’hanno appeso e dove sembra trovarsi perfettamente a suo agio, se dopo duemila anni non s’è ancora stancato di pendere?
Che poi gli uomini siano delle bestie, non è una novità. È biologicamente appurato: nato da bestie, bestia lui stesso, la più pericolosa e la più insidiosa delle bestie che pullulano su questo scomodo pianeta; la più pericolosa perché dotata di un potere che nessun’altro animale ha al di fuori di lui, per lo meno nessuno quanto lui dotato di poteri: potere di esaltare la sua perfidia, la sua scaltrezza infida, la sua volontà di potenza, la sua insaziabile fame (o sete, scegliete voi) di possesso, di dominio, di ricchezza e, aggiungeteci pure, il suo gusto per il sangue e per la sofferenza altrui come ingrediente raffinato di godimento per la sua noia: la tortura, il sadomaso, l’harem che assicura il massimo dello sfizio dell’utilizzatore finale per il tormento delle decine e delle centinaia in attesa della volta buona che, dopo le prime vampate, potrebbe anche non arrivare mai più…
L’uomo è l’unico (o quasi) animale che non uccide solo per sfamarsi e per paura, ma per il solo gusto di ammazzare, come segno di potenza (il cultore di caccia grossa, il sadico, il sanguinario alla Vlad III di Valacchia, l’impalatore, che amava consumare i suoi pasti con ospiti di rango, mentre qualche decina di impalati vivi lanciavano urla strazianti tutto intorno ai commensali). L’uomo è anche l’unico a collezionare case, ville e castelli nel mondo, forse per dare a sé stesso l’ebbrezza che doveva provare l’imperatore Carlo V nel dire che sul suo impero non tramontava mai il sole. Questi sono i fatti, tutto il resto sono solo parole.
Cosa rispondo a chi mi oppone tali argomenti? E soprattutto: posso rispondere qualcosa? Ebbene, malgrado la sfida sia difficile e rischiosa accetto sempre la sfida. Con questi argomenti.
Ebbene: 2000 anni sono pochi. Troppo pochi. Incommensurabilmente pochi. Di quanti anni ha bisogno l’evoluzione delle specie per passare da uno stadio all’altro? Ciò gli fu possibile per la sua capacità di scoprire e di inventare e di acquisire conoscenze e strumenti, componendo insieme il tutto fino a farne un sistema trasmissibile ai suoi simili e ai suoi posteri.
Il passo fu enorme e decisivo per la storia del nostro pianeta e dell’umanità. Il progresso divenne possibile. La storia, da storia naturale si fece storia umana. Le acquisizioni si moltiplicarono. All’uomo si aprì la strada verso una sempre maggiore umanizzazione. L’uomo poté scegliere. Anche se proprio qui cominciarono i guai. Perché scegliere vuol dire guadagnare e perdere, prendere e lasciare allo stesso tempo: uno prendi e uno lasci. E se scegli il male, perdi il bene. E sai quante volte l’uomo sceglie il male? Questo fu il peccato originale: l’aver amato assai più il male che il bene. E così fu, finché non apparve l’Uomo di Nazaret.
Guardatevi bene attorno: l’umanità di oggi vi pare la stessa di quella del tempo di Gesù? Un esempio solo: non ci divertiamo più a vedere leoni sbranare uomini nei circhi. Ma da allora troppo poco tempo è passato. Perché la libertà rimette sempre tutto in discussione e le scelte del passato io posso rinnegarle, in bene e in male. E se il male è cresciuto, anche grazie alle accresciute possibilità di nuocere (da Nerone a Vlad III l’impalatore, da Stalin a Hitler) anche il bene è cresciuto, con Benedetto e Francesco, con Damiano de Veuster (o dei lebbrosi), e Albert Schweitzer, col Mahatma Gandhi con Teresa di Calcutta: i discepoli di Gesù, il figlio di Dio.