Sinceramente non me l’aspettavo. Per lo meno non così presto. Sono pochi mesi che Mons. Paglia è succeduto al card. Ennio Antonelli al vertice del Pontificio Consiglio per la famiglia, e ha già battuto il suo primo colpo: e un gran bel colpo, anche, bisogna riconoscerlo! E per di più inatteso.
Dunque: mons. Vincenzo Paglia, per 12 anni vescovo di Terni, è stato nominato Presidente del suddetto Pontificio Consiglio, un organismo internazionale, operante nella Chiesa a livello planetario. Finora ben pochi se ne erano accorti fra i non addetti ai lavori, ma stavolta il botto è stato fragoroso, e con un pugno solo ha abbattuto un muro di gomma che resisteva da decenni, da quando cioè si cominciarono ad avanzare nel mondo le prime richieste di regolamentazione giuridica delle convivenze di fatto fra due persone non importa se di sesso diverso o dello stesso sesso, che intendevano vivere insieme, senza però necessariamente passare per la porta stretta del matrimonio, sia esso soltanto civile sia esso di valenza ugualmente civile e religiosa (matrimonio concordatario).
Del problema si parlò a più riprese in anni recenti (secondo governo Prodi), a proposito dei DiCo (Diritti dei Conviventi), e dei PaCS (Patto Civile di Solidarietà fra conviventi): generosi tentativi di regolamentazione mestamente finiti nel capace limbo delle Buone Intenzioni Abortite (BIA: chissà se esiste questo acronimo, o se posso rivendicarne il brevetto?).
Allora non se ne fece mai niente: la chiusura delle gerarchie ecclesiastiche fu sempre totale e le parti più conservatrici dello schieramento politico fu loro di decisivo aiuto.
Oggi qualcosa si è mosso, e anche fra le parti dello schieramento che da anni porta avanti questa battaglia se ne sta prendendo atto (non da tutti con lo stesso favore, naturalmente).
Per parte mia ne prendo atto con grande soddisfazione. Anche allora mi schierai tra i fautori del sì, e per le identiche ragioni proposte oggi da mons. Paglia: «No alle nozze gay, ma sì al riconoscimento dei diritti per le coppie di fatto e omosessuali secondo il Codice civile e all’ammissione dei divorziati risposati alla Comunione». «Nella Chiesa cattolica tira aria di rivoluzione in materia di famiglia e diritti dei gay» commenta Orazio la Rocca su laRepubblica di oggi 5 febbraio. E già questa notizia è una bomba, se la si confronta con la dichiarazione del Presidente della Conferenza episcopale italiana, card. Angelo Bagnasco, solo pochi giorni fa: «siamo vicini al baratro» aveva messo in guardia l’arcivescovo di Genova facendo accompagnando queste parole con un esplicito appello ai parlamentari cattolici perché si preparino a una fiera resistenza in sede legislativa.
E neppure basta: lo stesso mons. Paglia ha informato anche che «il papa ci ha chiesto di approfondire ancora la questione (della comunione eucaristica ai cristiani divorziati e risposati, ndr) perché vuole trovare una soluzione. Il problema gli sta molto a cuore». Che dire? Ora posso morire contento mi verrebbe da dire parafrasando il vecchio Simeone. Ma poi, dico subito “no, no, Signore, aspetta ancora un poco. È tutta la vita che mi son sentito dire che voglio fare sempre il bastian contrario, perché dicevo cose che dicevo io solo (apertamente, s’intende, perché in privato troppe altre se ne dicevano!), che ora che le stesse cose incomincia a dirle pubblicamente anche la gerarchia (e non mi pare il vero!) non voglio certo perdermi la rivincita! Qualcuno forse ricorderà un mio articolo di tre mesi fa sulla comunione ai genitori di due bambini nel giorno della loro prima comunione. Non a tutti piacque.
Ma adesso mi fermo qui. Sarò più esauriente domenica prossima.
Comunque sia, grazie Mons. Paglia
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