Più d’un lettore mi ha chiesto, dopo l’ultimo articolo sulla morte di Dio, di dare un seguito a quello scritto.
Lo stimolo più interessante a tornare sull’argomento è certamente quello che mi è arrivato dal prof. Gianfranco Maddoli, che i miei lettori conoscono bene, oltre che per i suoi meriti accademici, anche per aver ricoperto la carica di Sindaco di Perugia (1995-1999) e di Assessore per i Beni culturali ecc. della Regione Umbria (2000-2004).
Così questa volta mi lascerò guidare dal suo intervento nel ritmare il seguito delle mie riflessioni sull’argomento in questione.
1. «Cos’è che deve morire?». Maddoli esordisce così: «Che una certa immagine del “vecchio Dio” muoia è solo un bene… Soprattutto quello che benediceva guerre e uccisioni…».
È fuori di dubbio che questa idea di un Dio guerrafondaio, che, qualche volta da solo, altre volte per interposta persona – profeti, re e sacerdoti – vuole chiede ordina guerre, stragi, vendette, olocausti di popoli interi non desta in noi oggi eccessiva simpatia.
Né questo stile d’altri tempi vien meno nell’era cristiana, quando saranno i pontefici romani a indire crociate (liberazione del Santo Sepolcro, albigesi, catari, caccia agli eretici, alle streghe, e la Santa Inquisizione): avevano tanto bene imparato dai pagani, che diventati maggioranza, avevano preso loro a perseguitare i vecchi persecutori.
Più tardi il gioco si trasferì nelle Americhe (Centro, Sud, Nord ugualmente). E tutto questo nel nome di Gesù e nel segno della croce.
Anche certe pagine dell’Antico testamento giocano a nostro sfavore. Io, o le salto del tutto, o le leggo solo per sentirmi confortato dalla vista della strada che si è fatta da allora, e di quanta fatica deve aver fatto il “buon vecchio Dio di Abramo” per tirarci fuori da quel mondo di violenza e di mitologia della Stirpe Eletta che neppure oggi può dirsi del tutto superata, se quel popolo continua ancora a occupare sempre nuovi fazzoletti di terra usurpata ai suoi legittimi proprietari che l’hanno abitata per più di un millennio.
Un diritto che verrebbe loro dalla promessa di Dio ad Abramo di dare alla sua discendenza una terra che scorre latte e miele. Un Dio, si noti bene, nel quale ben pochi ormai nell’Israele dell’establishment politico finanziario ed economico credono e si riconoscono più. Ma noi c’eravamo vissuti fino ai primi del secondo secolo d.C. è l’obiezione. Mi piacerebbe sapere come risponderebbero i governi degli Stati americani (dal Nord al Sud, passando per il Centro) a chi volesse dir loro: fino a 600 anni fa per il Centro-Sud e fino 200-140-130 anni fa qui abitavano i nostri avi: rivogliamo le nostre terre; tornatevene tutti da dove siete venuti a trucidarci e a cacciarci via dalle nostre terre con il piombo, con l’alcole e col sangue. Quando penso che spesso ci siamo presentanti a loro brandendo una croce come una clava e una spada come una croce, mi viene da inorridire!
2. Il prof. Maddoli continua osservando che il mio discorso è «incompleto e non dà speranze». Soprattutto «non prospetta altre immagini di Dio e di credenti che pur ci sono e che magari non fanno rumore».
Egli ha certamente ragione, se si riferisce, come certo fa, a quel solo mio articolo in questione. Era il discorso che non mi ha portato a fornire un’immagine del Dio nel quale io credo e spero; che, soprattutto, io amo.
Quel Dio è il Dio di Gesù di Nazaret, e soprattutto, vorrei dire (e spero che non sia un abuso) è il Dio che sta dietro al Discorso della Montagna: è il Dio che mi chiede di amare i miei nemici, e di offrire la guancia sinistra a chi mi colpisce la destra; che dice che guardare la donna d’altri con desiderio è già un commettere adulterio, ma al tempo stesso risparmia all’adultera le pietre della lapidazione; che dà al figlio scialacquone la libertà di scialacquare tutta la sua parte di eredità nei bagordi e con le prostitute, ma poi lo solleva dalla terra dove s’era gettato e lo abbraccia e gli fa festa perché è tornato; che dichiara beati i poveri in un mondo per il quale la povertà è la peggiore delle iatture; che dichiara beati i piccoli in un mondo fatto dai grandi per i grandi, dove i piccoli trovano spazio solo perché servano i grandi; che dichiara beato chi piange, in un mondo nel quale si vorrebbe che tutto fosse una festa; che lava i piedi ai suoi discepoli, lui, Signore e Maestro, e dà loro il mandato di fare altrettanto; che promette il paradiso al ladrone pentito; che chiama “amico” perfino chi lo tradisce e con quella parola e con lo sguardo accorato che gli riserva nel momento del tradimento, fa nascere in lui il pentimento che probabilmente gli ha salvato l’anima (e poco importa se decide di finire la sua vita appeso a un albero di fico: poveretto! Come avrebbe potuto convivere non so quanti anni con un ricordo e un rimorso come quello!).
Questa l’immagine del Dio, nel quale io credo, che io amo, che io predico dall’altare e che, come i personaggi “sbagliati” di Diego Fabbri in “Processo a Gesù”, insorgo a difendere da chi vorrebbe cancellarlo dalla mia storia. Un Dio che – in un mondo dominato dalla forza dal potere dalla ricchezza dalla bellezza dal successo dalla furbizia dal piacere – dichiara beato chi piange, chi ha fame e sete della giustizia (secondo Matteo) e chi ha semplicemente fame e sete anche di pane e di acqua di cui son privi (secondo Luca): un Dio così non ce lo toccate, non ce lo togliete, non ci private di Gesù di Nazaret e della speranza che lui ci ha donato: quella di essere compresi, perdonati, accolti, malgrado tutti i nostri peccati.
3. Maddoli: «E’ tempo di purificare il variopinto contorno immaginifico attorno a Dio (al vecchio) che si continua a perpetuare e a trasmettere anche da parte di certa Chiesa, fatto di immagini, di riti, di cosiddette preghiere, ecc. ecc., (per non dire di comportamenti e di scelte politiche) che da sempre ma soprattutto oggi non rende credibile il messaggio cristiano. Il paganesimo non è mai morto».
Non potrei non dirmi d’accordo. Se solo penso al male che ci siamo fatti da soli, in questi ultimi decenni, con certe scelte, magari molto sfumate, sottintese, camuffate, annaffiate (o lavate) con l’acqua santa, nei confronti di certe politiche e soprattutto di certi politici che di cristiano non avevano altro che la sfrontatezza di dichiararsi tali, sento crescermi dentro un intollerabile senso di frustrazione e di ribellione. Come può un seguace di Gesù, un ammiratore di san Francesco, ritrovarsi dalla stessa parte dei plutocrati, dei faccendieri, degli arraffaposti e dei salvapoltrone a tutti i costi?
4. Maddoli: «Ascoltando solo certe predicazioni o certe radiomarie anch’io diverrei subito ateo… Immagini e catechizzazioni di quel tipo generano necessariamente rifiuto e accantonamento definitivo del problema, soprattutto nella gran parte dei giovani che vi si affacciano dall’adolescenza in poi.»
Ancora una volta sono d’accordo con te, caro Gianfranco, ma sento la mia impotenza e ne soffro. Anche perché da anni ormai mi rimprovero d’essermi lasciato mettere il silenziatore, d’avere accettato questa specie d’esilio a cui da sempre mi sento (o mi sono) condannato. Malgrado questo spero che nulla potrà mai impedirmi di credere in quel Dio che “allieta la mia giovinezza”. Lo scrissi sul ricordino della mia tonsura nel 1954, e quella gioia che mi aspettavo da lui me la sa garantire ancora. A me questo basta.
Dio è morto?! Evviva Dio
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