Un luogo, una metafora, un sogno, una stupenda realtà

C’è qualcuno che non sa che cos’è la Madonna del Bagno?
O forse meglio: c’è qualcuno che sa che cos’è la Madonna del Bagno?
Sì, quella chiesetta laggiù, proprio dove la valle del Tevere sembra farsi più fonda: tutta colpa di quello strano pendio d’una montagnola che dai sei-settecento metri della cima tondeggiante che gli abitanti del posto chiamano ancora Perugia Vecchia, (l’antica Diruta – distrutta – che ospitò i Perugini che, nel 40 a.C., vi cercarono rifugio e scampo alla distruzione della superba città etrusca per mano dell’esercito di Ottaviano scende dolcemente per circa dieci chilometri, fino ai sessanta-settanta metri del salto che per poche decine di metri trasforma un dolce pendio in un precipizio a piombo sul Fiume, il fatale Tiber che ha dato il nome all’antica strada romana e a tutta la valle che il Fiume stesso ha creato e che tuttora percorre dal Monte Fumaiolo, dove nasce, fino a strozzarsi fra le gole che lo porteranno alla Città Vecchia (Orvieto, la Urbs Vetus) quasi ad ammonire il visitatore che qui solo cose antiche vedrà, e belle come raramente gli capiterà ancora di trovarne e di vederne altrove.
Eccoti descritto, gentile Lettore, in uno stile che sa esso stesso di epoche andate e che spesso ci vien da rimpiangere, lo scenario in cui si va a collocare la piccola storia che ti voglio oggi raccontare: la mirabile, piccolissima storia d’un francobollo di terra che ha un nome strano, tanto strano che, non sapendoselo spiegare, gliel’hanno perfino storpiato: Madonna del Bagno era il nome, col tempo diventato Madonna dei Bagni. Ma i Bagni non ci sono mai stati.

Una metafora.
Al Santuario della Madonna del Bagno (questo il suo vero nome, dovuto alla presenza, a poca distanza dalla quercia del miracolo, d’una sorgente d’acqua che, scaturendo dal suolo, vi creava una piccola zona umida che i nativi chiamavano Il Bagno), ho dedicato già molti articoli, che forse qualche mio lettore ricorda. Recentemente (Natale 2010) ne ho curato un imponente catalogo di tutti gli 800 ex voto in ceramica: un pregevole contributo alla conoscenza di quel vero tesoro d’arte, di fede e di storia locale che ora è a disposizioni di tutti gli amanti del genere. Importanti studiosi vi hanno collaborato.
Oggi vorrei parlarne da un punto di vista del tutto inedito e di quel piccolo grande gioiello di fede e di arte, fare un punto di partenza per raccontarvi un’altra storia. Con la speranza che la Madonna del Bagno mi assista in questo difficile intento.
Questa scheda ha un titolo che forse per qualche lettore risulterà difficile, per altri, più abituati alle letture di un certo impegno ricorderà un famoso “Postino”: quello di Pablo Neruda, magari nell’interpretazione intensa e commovente di Massimo Troisi, che chiede al grande poeta: «Una metafora? Che è una metafora?».
Bene, la metafora è una parola, un’immagine, che tu la dici o la usi, ma mentre che tu la usi o la dici, pensi a un’altra cosa: un esempio? Cuore: lo dici e pensi all’amore; senti uno squillo di tromba, o forse solo una sua eco, e pensi alla caducità della potenza e della fortuna umane (Giosuè Carducci).
Ebbene: questa piccola mirabile chiesetta sul limitare d’un bosco molto gradito agli uccelli, agli scoiattoli, alle istrici, alle lepri, ai cinghiali e, in un tempo non lontano, anche agli amanti clandestini e alle “volontarie” (o forse alle “forzate”) del sesso a pagamento, è proprio la metafora di quei valori che oggi non sono più di moda perché soppiantate, scavalcate, spodestate, detronizzate dai loro perfetti contrari: cosa vedete oggi attorno al collo delle signore eleganti? Immensi coralli, avori, perle, ambre, smeraldi, brillanti, rubini, ametiste, zaffiri: tutti falsi; anzi, “rigorosamente” (va tanto di moda dirlo!) falsi. Perché quelli veri sono nei cassetti, anzi nelle casseforti, o nei caveau delle banche. Ecco questo è il Santuario della Madonna del Bagno: tu ci passi davanti mille volte, lo senti nominare; ti dicono che è bellissimo ma tu dici ancora “non ho tempo: sarà la prossima volta”. Una prossima volta che mai non arriva.
Perché è bellezza vera, purissima, raffinata, preziosa, e oggi piacciono solo i falsi, che costano così poco e paiono tanto veri! Così quella chiesetta che intravedi dalla superstrada mentre il tuo bolide sfreccia violentando il silenzio del bosco, rimane lì, da sola, ad aspettare, quelli che mai non si fermano: come una sorgente d’acqua purissima su un sentiero che mai nessuno percorre.
Così era fino a ieri.
Oggi grazie a Dio, non più.

Un sogno.
Di questo gioiello d’arte e di questo monumento di fede io sono rettore ormai da trentatre anni, solo tre anni meno della metà della mia vita.
Ho sempre sognato una casa isolata, il silenzio all’intorno, il verde degli alberi, il bosco e le sue voci, la solitudine abitata dei mondi nascosti e fatti nascondigli essi stessi.
Non l’ho mai avuta. Avrei potuto procurarmene una proprio qui al Santuario? Certo: l’avessi veramente voluto, avrei potuto. Ma forse non l’ho mai voluto veramente: per paura, credo. La solitudine mi piace, ma mi spaventa. Non saprei difendermi. Da niente. Così sono rimasto a Casalina.
Però quel Santuario era un pensiero fisso. Un tesoro d’arte con un rudere accanto, cosa di più invitante per sognare?
Sognarvi un luogo di vita intensa, forse di studio, forse d’arte, forse di preghiera, forse d’accoglienza, o di qualsiasi altra cosa.
Ma non seppi farne nulla. Anche perché venne subito la sua “più lunga e triste settimana di anni” come dice la piccola targa in maiolica che ricorda la riapertura del Santuario dopo i sette anni di chiusura che seguirono al furto e che si conclusero con la solenne cerimonia del 1987, proprio nel terzo centenario della conclusione dei lavori per l’ampliamento – alle dimensioni attuali – della piccola edicola che trent’anni prima era stata edificata per accogliere, al suo interno, la giovane quercia testimone del primo miracolo della minuscola Madonnina dipinta sul fondo “d’una tazza da bevere”. Quella giovane quercia fu condannata a morte, ma è l’unica che ancora resta “viva” di tutto quel bosco. Così è, spesso, con le cose di Dio.
Con la fine del restauro, si dovette cercare una custodia per la chiesetta e per il suo tesoro d’arte, di cultura e soprattutto di fede. E fu trovata in una congregazione di suore spagnole che vi rimasero dieci anni. Poi dovettero lasciare: mancavano le suore, crisi che accomuna tutte le chiese dell’Occidente cristiano. A volte mi sembra di vedere ancora aggirarsi per quei prati e sotto quelle volte, il viso asciutto e austero di Suor Dora, la più autorevole, e quello simpatico e un po’ sornione di Suor Anna, la più amata dal popolo.
Poi fu di nuovo l’inverno per la chiesetta: un fallimento dopo l’altro, uno più doloroso dell’altro, finché non venne il momento della grazia. Certo, perché anche le grazie, proprio come la Grazia, hanno la propria ora.
Era un momento brutto, bruttissimo: il Santuario era assai mal custodito, le disavventure erano seguite alle disavventure, volgendo sempre al peggio, finché una sera d’agosto non venne l’ispirazione, giusta, vincente: perché non sentire la Caritas… don Lucio (lui si chiama anche Gatti, ma per tutti basta dire don Lucio). Solo che non lo trovi mai al telefono. “Io ci provo – mi dissi – chissà? Lo chiamai al cellurare, mi aspettavo il solito tutututu… E invece no, NO, NO! risponde ! RISPONDE!
«Ciao Lucio, come va? Ascolta ho una proposta da farti: forse è un segno della Provvidenza che tu m’abbia risposto subito. Ascolta: che ne diresti di impiantare nel mio Santuario una delle tue case Caritas? Il posto è bello, ampio, e il lavoro non mancherà mai ai tuoi ragazzi: che ne dici?».
Ci fu un momento di silenzio che a me parve lungo almeno un secolo, ma furono solo un paio di secondi: poi venne la risposta: «Se ne può parlare». Ne parlammo due giorni dopo. La risposta fu un sì di massima. Bisognava solo sentire il vescovo.
Io mi sentii leggero come quando avevo volato sopra al Santuario in mongolfiera. Da allora non ne sono più sceso.

Una stupenda realtà.
Chi non conosceva la realtà del Santuario della Madonna del Bagno prima dell’avvento della Caritas, oggi non può rendersi conto di ciò che quella presenza ha significato per questo luogo benedetto da Dio e dalla Vergine, dove tre secoli e mezzo prima s’era celebrato e consumato un felicissimo matrimonio fra Arte e Natura, celebrante la Fede.
Assai più contrastato, per quel luogo, è sempre stato il rapporto con l’uomo. Se per alcuni la Madonna dei Bagni era luogo sacro per eccellenza: un nome sempre sulla bocca dei suoi devoti, da invocare in ogni momento, lieto o triste, della giornata e della vita, in supplica o in ringraziamento, per altri era semplicemente “lamadonnadeibagni”: il luogo delle feste e dei pranzi sui prati il lunedì e il martedì di pasqua, e soprattutto un luogo tranquillo e protetto dai cespugli e dai complici rovi dove portare la moglie del vicino di casa o magari del figlio lontano per lavoro; dove le lucciole le trovavi anche di giorno, (una di loro, un giorno disse al vecchio parroco – che proprio vecchio era! – e che minacciava di denunciarle: “Faccia il buono, reverendo, che per lei è gratis”).
Dieci anni è durata la lotta per liberare il posto da quella scomoda imbarazzante presenza; ma col pericolo sempre di un ritorno possibile appena venisse meno la guardia. Ora però, con i nuovi inquilini, quel luogo non si riconosce più: i cortili e i prati sono “abitati” da fiori nobili come hibiscus gardenie e azalee; grandi vasi accolgono piante da fiore le più varie; i prati, sempre ben rasati e perfettamente curati; il bosco, finalmente liberato dai rovi e dal sottobosco appare arioso e luminoso come non mai; i tronchi di quercia di pino e di cipresso appaiono in tutta la loro forza e bellezza, liberati come sono dalle edere parassite; i campi, da lungo tempo incolti, accolgono oggi olivi e viti, e un piccolo curatissimo orto vi fa bella mostra di sé.
“Dulcis in fundo”: in mezzo a questi fiori e a queste piante rigogliose, vedi rifiorire giovani e meno giovani vite compromesse, provate, ritrovate, curate e sostenute con cura e attenzioni molto maggiori di quelle destinate alle piante: sono le vite di chi fra quei muri è ospitato, per pura carità; e se fra quelle vite ce ne sono anche alcune che a quel clima di severa disciplina non reggono (come sempre e dovunque accade in case come questa) molte vi ritrovano fervore e slancio per ricominciare e per riuscirne “recuperati”.
È questo l’ultimo miracolo della Madonna del Bagno, alla quale va il mio ringraziamento e il mio canto, nel ricordo gioioso di quella notte d’agosto in cui due preti si dissero al telefono «Lucio che ne diresti?» ottenendo per tutta risposta un promettente «Se ne può parlare». Oggi se ne vedono già i primi frutti.


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