«È matematico, è una grande legge della fisica dell’anima, così come la legge della meccanica dei fluidi sull’equilibrio dei vasi comunicanti». Sono parole del teologo (e) moralista Vito Mancuso. Il quale aveva appena affermato: «più si sale nella dimensione spirituale, più cresce il bene, e più, contestualmente, cresce il male.
Di questa legge della fisica dell’anima» il teologo trova la conferma in «una chiara attestazione nella storia recente. Si ripete spesso che il ‘900 ha rappresentato il vertice del male toccato dalla storia: due guerre mondiali (tre se ci mettiamo quella fredda), genocidi, lager, gulag, due bombe atomiche, milioni e milioni di morti innocenti. Come è possibile non vedere tutto ciò come il vertice del male?». Difficile dargli torto, indubbiamente.
Mancuso continua: «Ma occorre dire, insieme, che il ‘900 (almeno dal punto di vista dell’occidente) ha rappresentato anche il vertice del bene finora mai raggiunto dalla storia dell’umanità. Mai come nel ‘900 il benessere è stato diffuso, i diritti civili e politici condivisi, la giustizia sociale applicata, la medicina veramente per tutti…». Cita la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (10 dicembre 1948) e conclude «anche questo è il ‘900»» (V.Mancuso, Rifondazione della fede, Milano, p.207-208).
Vero, ma con un dubbio: come sarà il XXI secolo? Era appena nato, che al suo primo vagito crollarono due torri, le celeberrime Twin Towers di New York, all’ultimo piano di una delle quali avevo cenato una sera. L’impatto della notizia fu tale da risultare secondo solo a quello delle due bombe su Hiroshima e Nagasaki. Ma con un’aggravante: della prima catastrofe si poterono vedere a quel tempo solo poche immagini sulla stampa o in qualche spezzone di filmato ancora in bianco e nero: il famoso fungo atomico su tutte le altre, lo spettacolo shoccante delle due città completamente annientate dopo l’esplosione e le immagini orrende dei volti e dei corpi straziati a causa delle radiazioni, dei gas e delle fiamme provocati dall’esplosione. L’attentato delle due Torri, invece, il mondo intero l’ha potuto vedere in gran parte in diretta e in molti pensarono allo scoppio della terza guerra mondiale.
Del resto il XXI secolo non sta mica a guardare: la guerra in Iraq (2003), l’eterna guerra in Afghanistan e le stragi etniche nell’Africa nera; si aggiungano le innumerevoli stragi dei kamikaze musulmani, l’eterno conflitto israelo-palestinese, i tanti cristiani uccisi in Asia e in Africa, i bombardamenti della Nato in Libia, le stragi di questi giorni in Siria che fan seguito a quelle di primavera in Egitto, e, di orrore in orrore, la strage dell’isola di Utoya. Quasi non bastasse, anche se su un altro piano, abbiamo già dovuto sopportare una rovinosa tempesta finanziaria (2007-8) e una se ne annuncia proprio in questi giorni, spaventosa (la doppia AA+ degli USA): e speravamo d’esserne appena usciti “salvi”, anche se non indenni. Così ci ritroviamo ancora a trepidare sul futuro del pianeta.
Più d’uno, dei miei lettori, l’ho già scritto un’altra volta, mi rimprovera un pessimismo eccessivo. Non escludo che il rimprovero possa essere giustificato, ma vorrei precisare che il mio non è mai un pessimismo che conduce al nichilismo o alla disperazione; al contrario esso vuole essere un invito a prendere coscienza che la storia è da leggere come una eterna competizione tra il bene e il male, che non di rado si tinge dei colori di una vera guerra: guerra per la sopravvivenza, per il potere, per la ricchezza, per il primato. Una lotta continua per eliminare o almeno rendere inoffensivi i concorrenti.
È lo stesso universo, tutto l’universo, macro e micro, che si regge su questa legge: il più forte attrae il più debole, e secondo i diversi casi, a volte lo fagocita, a volte se ne serve, a volte lo distrugge.
Quello che è vero nel macro e nel microcosmo è vero altresì nell’universo umano, dove, lasciati a sé stessi, gli umani sono portati a comportarsi fra loro allo stesso modo: se mi servi ti uso, se mi ostacoli o mi minacci ti neutralizzo o ti elimino.
Questo in un universo dove tutto è lasciato a sé stesso, cioè alla legge del più forte. Una legge che serve egregiamente all’evoluzione della vita sul pianeta, dove non esiste né bene né male, ma solo la legge della necessità: io non pretenderò mai che una leonessa pensi di risparmiare la vita alla giovane gazzella che dovrà servire da pranzo ai suoi cuccioli, come non penso di risparmiare il pollo che dovrà servire da pranzo a me. In un mondo di pura necessità non ha senso parlare di bene e di male.
Avrà senso invece parlarne proprio là dove si realizzano le condizioni per una scelta fra la pura necessità e un qualcosa che vada oltre la necessità come sopravvivenza, sicurezza, cibo, riproduzione. Una vita dove al di là e perfino al di sopra della necessità riesce a farsi strada qualcosa di assolutamente nuovo rispetto all’antico eterno unico principio della necessità: la gratuità o, con un termine ancor più impegnativo, la “grazia”. È questo prodigio che noi chiamiamo “il bene”. Questo nuovo ordine è quello dello “spirito”.
È stato questo il momento in cui qualcosa di veramente nuovo è apparso sotto il sole, smentendo così le famosissime parole di Qoelet, divenute proverbio e, per tanti, ahimè, quintessenza della stessa saggezza umana: «Non c’è niente di nuovo sotto il sole» (Qo 1,9). Grazie a Dio non è proprio così.
Quelle parole, del resto, non furono mai vere; già quando furono scritte erano un falso clamoroso, dal momento che la “grazia” aveva già cominciato a operare, e già c’erano stati, e c’erano tuttavia, uomini e donne capaci di sacrificare qualcosa, o qualcuno, per puro amore, in pura perdita. Già c’erano stati Rut, e Giuditta, e David che aveva risparmiato la vita a Saul che lo voleva morto.
E più false ancora quelle parole suonano per noi che abbiamo conosciuto Gesù, l’uomo che per puro amore dei suoi fratelli, gli uomini “costruttori” di male e dunque di dolore e di morte, e dunque peccatori, accetta di morire sulla croce, permettendo a tutti noi di conoscere la parola che tutto compendia: Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34).
Fu questa la novità assoluta sotto il sole: quando qualcuno imparò a rinunciare a qualcosa a vantaggio d’un altro, a sacrificare qualcosa di sé, magari la sua stessa vita, verso chi non gli era niente (né figlio, né compagno).
Quando si verificò per la prima volta questo “inauditum a saeculis”? Nessuno sa di “quella” prima volta, ma ognuno di noi può saperlo per quanto riguarda sé stesso: fu il momento (e lo è ogni volta) che ognuno di noi è stato capace di fare o di dare qualcosa di assolutamente “non dovuto” a qualcuno da cui non dovrà aspettarsi niente, o forse solo ingratitudine. Questo ci pone d’acchito sul piano “sovra-naturale” del gratuito assoluto. Del divino, appunto.
Se qualcuno mi chiedesse: cosa ti fa essere così sicuro che esista un Dio?, la mia risposta sarebbe semplice: potrebbe mai un mondo tutto fondato sulla legge della forza e della necessità, produrre un frutto come il dono in pura perdita? Come donare la vita per chi te la toglie?
Questo ha fatto Gesù. Perciò io credo che o lui è Dio, o in lui c’è Dio. Mi chiedi, “e se non fosse”? Risponderei, non me ne importa. Sai quante cose gli uomini hanno creduto che non erano vere e questo gli è servito per vivere meglio? E a me basta crederlo, per dare un senso a tutta la mia vita.
O Lui è Dio, o Dio è in Lui
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