Adoratori di un Dio sanguinario?

Domenica scorsa terminavo il mio intervento sull’orribile strage di Utoya ponendo alcune domande a cui promettevo di tentare di dare una qualche risposta con l’articolo di oggi. Una risposta che sarà necessariamente “solo una mia risposta”. Più di un lettore mi ha fatto sapere d’esserne in attesa. Per chi non avesse letto l’articolo o non ne ricor-dasse la conclusione, sarà opportuno richiamarla.
« Ma nella vicenda di Oslo e di Utoya c’è qualcosa che m’inquieta: che del folle (?) assassino si ripeta spesso: cristiano fondamentalista, ultra conservatore. Non sono gli stessi aggettivi che si usano per indicare gli islamici dediti allo stragismo? Quasi si volesse dire: che t’ammazzi Allah o il Dio di Gesù Cristo fa grande differenza? E se fosse l’idea stessa di Dio che vuole sangue? E dello stesso Gesù non si dice che ci ha redenti col suo sangue?».
Seguiva il rinvio “a domenica prossima”. Ebbene, “domenica prossima” è appunto oggi. Ed è da qui che intendo ripartire.
Cercherò di rendere i miei sentimenti e i miei timori così: non sarà che tra cristiani e islamici, o di qualunque altra religione si tratti, gira gira ti ritrovi sempre al cospetto d’una macchina (quella divina) che per funzionare ha bisogno sempre di sangue umano? E allora, che t’ammazzi Allah o il Dio di Gesù Cristo o la dea Kalì, che differenza fa? E se fosse l’idea stessa di Dio che si nutre di sangue? Se neppure del suo unico figlio Gesù Cristo ha saputo avere compassione…!
La risposta: c’era un debito da pagare.
Domanda: Quale debito?
Risposta: il peccato del mondo. Domanda
Domanda: Pagarlo a chi? Chi può pretendere, esigere, reclamare il sangue d’un figlio per riparare un torto?
Questa l’orribile risposta: Lo chiede Dio stesso, suo padre. Una questione di giustizia.
Perché è certamente vero: tutta la storia delle religioni trasuda, anzi trabocca di sangue versato. E i miti che chiedono sangue umano si sprecano. E non di sangue qualunque, come può essere il sangue del nemico, del traditore, dell’adultera, dello spergiuro, del ribelle: anche quel sangue dovrà essere versato, certo; ma almeno sarà in pena d’una colpa, un sangue da buttare perché non continui a contaminare il mondo con la sua sola presenza fra noi.
Non così sarà per il sangue del sacrificio. Il sangue del sacrificio ha da essere buono, puro, vergine, prezioso: il sangue di Isacco, figlio del giusto Abramo; o di Efigenia, la giovanissima figlia vergine del re Agamennone che l’immola perché la sua flotta possa salpare per la guerra che dovrà distruggere Troia; o dell’innocente figlioletta che Iefte, il padre, dovette sacrificare per mantenere un folle voto fatto in vista d’una battaglia.
La stessa Bibbia, nei suoi libri che raccontano le fasi più antiche della sua storia è un impressionante e spesso repellente racconto di stragi e di crudeltà che fanno accapponar la pelle a un lettore moderno, specie se educato alla scuola del Vangelo di Gesù.
Vi si legge di intere città, popoli, tribù condannati allo sterminio (termine tecnico per dire che nessun vivente, umano o animale che fosse, doveva essere lasciato vivere, che tutto doveva essere distrutto, che Dio non avrebbe né tollerato né perdonato una disobbedienza a questo suo preciso inviolabile ordine: Saul perse il suo trono per aver parzialmente risparmiato un popolo votato da Dio allo sterminio.
Episodi non infrequenti nelle pagine che raccontano quei secoli di ferro e di fuoco, quando Israele, di ritorno dall’esilio in Egitto, si impiantò su terre che gli erano state promesse, ma che non erano sue e lo fece con i soli metodi noti allora: le guerre, gli agguati, i tradimenti, le congiure, le stragi.
Certo non va dimenticato mai che i libri che ci raccontano quelle storie, molto più che all’intento di far conoscere come andarono le cose, rispondono a un scopo ben preciso: mostrare che in quell’epopea (in sé abbastanza miserabile perché tutta la Terra promessa poteva avere, nei momenti della sua massima espansione, una superficie di poco maggiore di quella della Sicilia), tutto rispondeva a un unico grande progetto di Dio: fare d’Israele il suo popolo, nel quale tutte le nazioni della terra sarebbero state benedette.
Di tutta quella storia il sangue è un protagonista: e sempre come sangue “versato”, immolato, anche nei suoi momenti più propriamente religiosi. Tutto il culto del Tempio di Gerusalemme era un culto principalmente di sangue: per ogni occasione si prevedeva uno, o molti, o moltissimi sacrifici. Il sacrificio cruento ne era la forma più compiuta. Qualcuno ha paragonato il tempio di Gerusalemme a un grande mattatoio. Si poteva andare dal sacrificio di un paio di colombe all’ecatombe, dove erano prescritti decine di sacrifici (letteralmente “cento buoi”).
Il sacrificio cruento non era certo un’esclusiva del popolo ebreo: esso si ritrova ovunque il sentimento religioso si tinga di devozione, di venerazione o di paura. Si conoscono diversi tipi di sacrifici.
Il sacrificio come cibo per la divinità: non mancano testi antichissimi che ne parlano. Il sacrificio come “decima” (restituire a Dio una parte dei doni che lui ci ha dato); come patto di alleanza: io ti ado-ro e tu, Dio, mi proteggi; come espiazione: ho pec-cato e ti offro questo in riparazione perché tu mi perdoni; come comunione: per stabilire una vicinanza, una partecipazione della creatura alla divinità e alla santità di Dio; come impetrazione: ti offro questo perché tu mi dia quest’altro; come ringraziamento: tu mi hai dato questo e io ringrazio pri-vandomi di questo.
L’idea che soggiace a questo uso, è complessa: il sangue è simbolo della vita e della sua forza. Proprio per questi suoi valori simbolici nessuno, nell’antico Israele poteva nutrirsi di sangue, di nessun sangue, né del sangue sacrificale che spettava solo a Dio, né del sangue dell’animale ucciso per il nutrimento: sarebbe stata bestemmia, sacrilegio.
Questo sta anche alla base di altri usi del sangue in religioni, antropologie, culti diversi: bere il sangue del nemico ucciso significherà impossessarsi della sua forza, forse anche della sua anima; potrebbe anche essere un modo per aumentare la pena del nemico ucciso, sottraendolo al riposo della sepoltura; o il massimo sfregio possibile.
Così il sangue espia e placa, purifica e propizia, allontana i castighi e ottiene protezione, introduce a una religione (circoncisione)e ne sancisce la scomunica (il rogo). Del sangue si conoscono anche molte metafore: il sangue ribolle, il sangue va alla testa, il sangue ti arrossa le gote (ira, vergogna), il sangue si fa di gelo (per la paura), sentirsi ardere di passione, di desiderio, di voluttà… Il sangue, con l’acqua, il fuoco, la luce (sole luna) entra nel novero dei simboli archetipi più ricchi e diffusi sul pianeta.
Trasferiamoci ora sull’isolotto di Utoya e torniamo a occuparci del caso del “folle” Anders Behring Breivik. Mi limiterò alla considerazione delle implicazioni religiose del gesto insensato.
Nel suo delirante memoriale (così lo descrive chi lo ha letto) egli si dice cristiano, conservatore, fon-damentalista, tradizionalista ecc… Vi parla di un pericolo islamico da cui egli vuole preservare l’Europa e si dice un “crociato”. Simpatizzante del nazismo. Punta al massimo dell’orrore perche spera di venir ricordato come il “mostro più mostro” di tutti. Ma ora basta di lui!
Ora voglio interessarmi di Dio e di quel povero Gesù Cristo di cui il folle si dice seguace.
Penso con angoscia a quello che avranno scritto o che potrebbero scrivere su questo orribile fatto uo-mini come Dawkins e Hawking e quelli che come loro sono convinti che proprio Dio (anzi l’idea di Dio) sia all’origine di tutti i nostri mali. Perché è proprio a quell’idea di un Dio sanguinario e crudele che essi attribuiscono la gravissima responsabilità di fomentare intolleranza e ferocia assassina. In particolare il Dio dell’Antico Testamento, un Dio che chiede sangue in quantità industriali e che di sangue sembra non averne mai abbastanza.
Deve liberare alcune decine (o centinaia?) di mi-gliaia di Ebrei dalla schiavitù dell’Egitto? Ecco che ti scatena ben dieci piaghe contro la terra dei faraoni, tra cui la morte di tutti i primogeniti maschi dell’Egitto, altre migliaia ne farà morire sotto le ac-qua ricomposte del Mar Rosso; libera un popolo dalla schiavitù per farli morire “tutti” nel deserto perché in Israele entri un popolo “vergine”; ad uc-ciderli penseranno gli stenti, i serpenti, i nemici le epidemie.
Un Dio così sanguinario e feroce, ci rinfacciano i profeti dell’antiteismo, come potrebbe mai amarlo l’uomo moderno, che è passato attraverso la Rivoluzione francese, la dichiarazione dei diritti umani dell’ONU, e perché no? la rivoluzione antropolo-gica del Sessantotto? Non aveva allora ragione Nie-tzsche, quando annunciò al mondo che Dio era morto, e contestualmente la nascita del Superuomo?
Lo credo anch’io: nel cuore e nel pensiero dell’ uomo moderno, ci sarà sempre meno spazio per il Dio di Mosè e dei Giudici e la Chiesa farebbe bene a marcare la differenza fra quel Dio il cui grande merito sarebbe stato quello di cominciare a guidare la lunga marcia che avrebbe portato Dio e l’uomo, insieme, a conoscere e ad amare il DIO di GESÙ CRISTO, il Dio che ha un solo comandamento: ama-tevi come io vi ho amati, siate una cosa sola in me, come io e il Padre siamo una cosa sola; amate chi vi odia, benedite chi vi maledice, pregate per chi vi augura il male, rispettate i passeri del cielo, sappiate considerare lo splendore del giglio del campo.
Conoscete qualcosa di più attuale, di più moderno, di più UMANO?
Ecco, a voi che mi leggete, ciò che mi sento di dire: Gesù ci ha lasciato un solo dogma: «Dio è Amore»; un solo comandamento: «Amatevi»; un solo modello di paragone: «come IO vi ho amati».
«Come Signore»? «Fino a dare la mia vita per voi».
Tutto il resto sia silenzio.


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