Un evangeliario come sfida


Esattamente nel centro geometrico, nel cuore stesso dell’ Umbria, seminascosto tra il verde di querce, cipressi e olmi, a ridosso di una stretta ansa del Tevere che dista non più di cento metri in linea d’aria, sorge un piccolo prezioso gioiello d’arte e di fede, di quelli per i quali l’Umbria è famosa nel mondo.
Il gioiello ha un nome che sembra strano a molti: Madonna del Bagno, già conosciuto come Madonna dei bagni, corruzione popolare del titolo originale.
L’oggetto del suo culto sono due minuscoli frammenti, non più grandi complessivamente d’una ventina di centimetri quadrati, d’una antica e umile tazza da bevere recante sul fondo un’immagine della Madonna col Bambino .
Il Bambino, che con la mano destra sorregge una sfera (il mondo), è sulle gambe della Madre nell’atteggiamento di chi si sta alzando per correre in soccorso di qualcuno che forse lo sta chiamando. Gli occhi del Figlio cercano gli occhi della Madre, a giustificarsi e a riceverne il permesso di andare.
Questi frammenti, ricomposti in qualche modo a restituirci il fondo della tazza perduta, pendono oggi da uno scheletro di giovane quercia (cerqua per quel tempo, 1657): troppo piccoli e troppo lontani per essere nitidamente visti dagli occhi dei fedeli.
Lo scheletro di quercia è accolto nel bell’altare barocco, di pochi decenni posteriore, mentre il tutto è contenuto in un interno di sorprendente nobiltà e bellezza: una chiesa greca con piccola leggiadra cupola culminante in una lanterna che dall’ esterno è, insieme con la piccola vela che accoglie le due piccole campane, l’unico segno, oltre alla facciata, che dice al visitatore che la guardi da settentrione o da mezzogiorno, di trovarsi in presenza d’una chiesa.
In questa chiesa tutto è piccolo. Chi verrà in questa chiesa dovrà dunque accontentarsi di piccole cose.
Il suo tesoro più grande è la collezione di quasi 800 formelle votive (ex-voto) a ricordare il gran numero di grazie attribuite all’intercessione della Madre di Dio riprodotta nei frammetti della tazza da bevere. Un tesoro che ha fatto gola anche ai ladri. Ora le formelle sono al sicuro. Volerle asportare vorrebbe dire distruggerle. Estremo rimedio a un pericolo sempre più grave.
Aggirandosi fra le pareti e i grandi pilastri della chiesetta si ha l’impressione d’aver aperto una finestra su un mondo in evoluzione. Davanti a noi passano briganti e barcaioli, preti e briganti, puerpere e calzolai, prigionieri e soldati, diavoli e santi; e i pericoli sono fiumi in piena e pagliai che bruciano, fulmini e terremoti, cavalli e tori infuriati, campi di concentramento e sale operatorie, pozzi e soffitti che crollano, macchine treni motorini che s’urtano o si capovolgono: il nostro mondo di ieri e di oggi.
Domenica prossima, oggi per chi mi legge, questo prezioso tesoro si arricchirà di un’altra gemma: il nuovissimo Evangeliario di Sant’Ilario, pregevole pubblicazione dell’editrice perugina Ars Edizioni d’Arte Perugia, che è stata già presentata ufficialmente al mondo della cultura nelle principali città. L’Editore stesso, il signor Pasquale Giannoni, che nella casa accanto al santuario è nato, lo offrirà alla Vergine al termine della processione della parrocchia di Casalina.
Quest’opera nasce dell’incontro fra diverse genialità: il genio della moderna iconografia, quello della tecnologia più avanzata in materia di riproduzione d’opere d’arte e quello d’un geniale prete romano, che ha saputo trasformare il più anonimo garage seminterrato di Roma in una straordinaria, improbabilissima, “pregabilissima” chiesa nella periferia romana.
In affreschi a grandezza pressoché naturale vengono rappresentate le scene dell’Antico e del Nuovo Testamento che formano la sostanza dei misteri della nostra fede e che costituiscono una parte essenziale del patrimonio culturale dell’Occidente cristiano e di ogni singolo fedele. Ricordo lo stupore che mi colse e la sensazione di ammirazione che ne ebbi nel vedere il risultato di quell’audacissima operazione di trasfigurazione d’un garage in una chiesa nella quale la Bellezza aveva scelto di abitare.
Sarà presente alla piccola cerimonia di consegna, con l’Editore che mi consegnerà l’Evangeliario al Rettore proprio sulla soglia della Chiesa, anche il protagonista di quell’ impossibile metamorfosi, mons. Antonio Matrone.
A me spetterà di intronizzare l’Evangeliario nel minuscolo presbiterio della chiesetta. Lo farò con un’intenzione precisa.
Ed ecco come vorrò vivere l’umile, eppur solenne, gesto dell’intronizzazione d’un Evangeliario.
Sarà come il chinarsi a raccogliere il guanto di sfida che il mondo contemporaneo getta alla Chiesa, e un dichiararsi pronti, a nome della stessa Chiesa, a resistere all’odio e al disprezzo che gran parte del mondo oggi ci rovescia addosso. Una resistenza che si serve solo dell’unica arma di cui può disporre, l’unica che le è stata data in dotazione: l’amore.
Perché il solo comandamento che il cristiano conosce è il Suo comandamento: amatevi come io vi ho amati, amate e pregate per i vostri nemici, benedite chi vi maledice, porgi la guancia destra a chi ti colpisce la sinistra.
Porre l’Evangeliario sul suo trono (il bel leggio che lo sosterrà, dono, anche quello, dell’Editore) sarà allora un gesto veramente “politico”, e questo nel senso più alto che si possa concepire: «In hoc signo vinces».
In quale segno la Chiesa di oggi, sommersa com’è dagli scandali che essa stessa ha generato, potrà vincere la sfida che le è stata lanciata?
Esso è tutta contenuta in tre scelte: la scelta dell’umiltà nel servire, nel parlare, nel presentarsi (basta con certi simboli che sanno solo d’archeologia e di potere); la scelta delle diverse povertà, antiche e nuove (sempre dalla parte dei poveri, vuoi di quelli non ancora nati, vuoi di quelli già invecchiati o costretti a invecchiare nella povertà e nello squallore); e infine, la più difficile di tutte, la scelta della libertà, con tutti i suoi problemi e i suoi rischi: perché libero Dio ha voluto l’uomo, creandolo. E come per la sua libertà Adamo ha peccato e in lui tutti noi, altrettanto liberamente Cristo lo ha redento. Questa strada ci è stata tracciata una volta per sempre.