Natale: la storia, il mito, la poesia, la liturgia

La prima notizia sicura sulla celebrazione di una festa liturgica dedicata al Natale è del sec.IV. Essa ci riporta una descrizione, ritenuta fedele dagli storici, di come veniva celebrata la memoria del natale a Gerusalemme e a Betlemme:
Il Natale a Gerusalemme
«Benedetto colui che viene nel nome del Signore»: E poiché, a causa dei monazontes (monaci) che vanno a piedi, bisogna camminare lentamente, si arriva a Gerusalemme all’ora in cui si incomincia a potersi riconoscere, cioè quasi a giorno, ma tuttavia prima che sia giorno.
Quando si è arrivati, il vescovo entra subito alla chiesa della risurrezione e tutti vanno con lui». La chiesa è illuminata e addobbata sfarzosamente: «Si dice un salmo, si fa una preghiera, il vescovo benedice prima i catecumeni, poi i fedeli. Il vescovo si ritira e ognuno va a casa sua per riposare. Ma i monazontes rimangono fino a giorno e dicono degli inni. Quando la gente si è riposata, all’inizio della seconda ora, tutti si raccolgono nella chiesa maggiore, che è sul Golgota…(sul luogo dove Gesù fu crocifisso).
Si celebra dunque la messa e sia che si predichi, sia che si facciano letture o si dicano inni, tutto è appropriato al giorno; poi, dopo che la funzione in chiesa è finita, si va, cantando inni, all’Anastasis (la chiesa della risurrezione), come di solito: e così la funzione ha termine circa l’ora sesta».
«…A Betlemme per tutti gli otto giorni, quotidianamente, si celebra con la stessa pompa da parte dei sacerdoti e di tutto il clero del luogo e dei monazontes che vi sono addetti.
…i monaci del luogo, quanti sono, continuano a vegliare fino al giorno nella chiesa di Betlemme, dicendo inni o antifone… A causa della solennità e della pompa di quel giorno si radunano a Gerusalemme folle innumerevoli, da ogni dove, non solo monazontes, ma anche laici, uomini e donne.
(Diario di viaggio, della pellegrina Eteria, secolo IV, 2° metà).

Natale: il nome, la data
Epifania è stato il primo nome e il 6 gennaio è stata la prima data del Natale. Già il suo nome greco ne indica l’origine orientale.
Le testimonianze più antiche vengono infatti dall’Egitto. Ma nel Paese del Nilo, il 6 gennaio riveste una simbologia assai complessa: già nel sec. II i seguaci dello gnostico Basilide passavano la notte tra il 5 e il 6 di gennaio in veglia di letture e preghiere, ricordando il Battesimo di Gesù. A loro si deve il nome di Epifania di questa festa (manifestazione gloriosa): è la voce stessa del Padre che proclama Gesù suo figlio prediletto.
Più tardi e sempre in Oriente, nella stessa data si ricorda anche il Natale del Signore. Anche al giorno natalizio di Gesù si adatta bene il nome di epifania: gli angeli stessi, infatti, si incaricano di darne notizia (la manifestano) ai pastori «Vi annuncio una grande gioia che è per tutto il popolo, oggi è nato per voi un salvatore, Cristo Signore».
Questo abbinamento è già una realtà nel sec. IV: un papiro, scoperto nel deserto egiziano ci informa infatti che la festa dell’Epifania celebrava insieme il battesimo di Gesù nel Giordano e la sua nascita a Betlemme.

Il Natale a Roma e in Occidente
Quando il Natale arriva a Roma, 2° metà del sec. IV esso si riferirà soltanto alla nascita di Gesù a Betlemme, riservando alla Epifania (6 gennaio) gli altri riferimenti storici (battesimo di Gesù, nozze di Cana, cui si aggiungerà, fino a diventare prevalente, anzi pressoché unica, anche la memoria dei Re Magi).

Perché il 25 dicembre in Occidente e il 6 gennaio in Oriente?
Paradossalmente, ma fino a un certo punto, la differenza di data fra il Natale di Roma e quello di Alessandria d’Egitto risponde al medesimo principio: tutti e due vogliono sottolineare la stessa idea: Cristo, vero Sole del mondo, nasce alla terra nello stesso giorno in cui il sole, astro vittorioso celeste, riafferma la sua potenza e la sua vittoria sulle tenebre nel giorno in cui, con il solstizio d’inverno, comincia a risalire sulla linea dell’orizzonte, allungando le giornate e annunciando il ritorno dell’estate ancora lontana. Solo che le due date non coincidono più da quando il calendario gregoriano, in uso nella liturgia romana, si è distaccato dal calendario giuliano, che pone il solstizio invernale al 6 gennaio.

Un Natale di San Francesco
Un ministro dei frati era venuto da Francesco, che soggiornava a Greccio, per celebrare il Natale del Signore insieme con lui. I frati dell’eremo, in occasione della festa e per riguardo all’ospite, prepararono la mensa con cura, coprendo le tavole con belle tovaglie bianche che avevano acquistato e guarnendole di bicchieri di vetro.
Quando Francesco scese dalla celletta per desinare, vedendo la mensa alzata da terra e allestita con tale ricercatezza, uscì senza farsi notare, prese il cappello e il bastone di un mendicante venuto là quel giorno e, dopo aver chiamato sottovoce uno dei compagni, andò fuori dalla porta del romitorio.
I frati non si accorsero di nulla. Si misero a tavola tranquillamente, perché era volontà del santo che, se non veniva subito all’ora della refezione, i frati cominciassero a mangiare senza di lui. Intanto il suo compagno chiuse la porta e rimase dentro, accanto all’uscio. Francesco bussò, e quello subito gli aprì. Entrò con il cappello sul dorso e il bastone in mano, come un pellegrino. Affacciatosi all’entrata della stanza dove i frati desinavano, egli disse al modo dei mendicanti: «Per amore del Signore Dio, fate l’elemosina a questo povero pellegrino malato!».
Il ministro e gli altri frati non lo riconobbero immediatamente. Il ministro gli rispose: «Fratello, siamo poveri anche noi, ed essendo numerosi, le elemosine che stiamo consumando ci sono necessarie. Ma per amore del Signore che hai invocato, entra e divideremo con te le elemosine che Dio ci ha mandato». Francesco si fece avanti e si accostò alla tavola. Il ministro gli dette la scodella da cui stava prendendo cibo, con del pane. Il Santo prese l’una e l’altro, sedette a tavola vicino al fuoco, di fronte ai fratelli che stavano a mensa in alto.
Disse allora sospirando: «Quando vidi questa tavola preparata con tanto lusso e ricercatezza, ho pensato che non era la mensa dei poveri frati, i quali vanno ogni giorno a questuare di porta in porta. A gente come noi conviene seguire in ogni cosa l’esempio di umiltà e povertà del Figlio di Dio più che agli altri religiosi: poiché a questo siamo chiamati e a questo ci siamo impegnati davanti a Dio e davanti agli uomini. Adesso, mi sembra, io sto a mensa come si addice a un frate».
Quelli ne arrossirono, comprendendo che diceva la verità. Alcuni presero a lacrimare forte, vedendo Francesco seduto per terra e ripensando a come li aveva corretti con tanta santità e ragione.
(da M. Masini, Natale: Racconto memoria poesia, Città nuova, 1998, p.38-39).

Il Natale nel canto e nella poesia

Il tamburo (Canto popolare messicano)
La strada che porta a Betlem
scende alla valle che la neve coprì,
i pastorelli vogliono vedere il loro re
portano doni nella loro vecchia bisaccia.
Ropopom, ropopom
Alle porte di Betlem è nato
Il Dio bambino.

Io vorrei porre ai tuoi piedi, Signore,
qualche dono che ti sia gradito.
Ma tu sai che sono povero anch’io,
e non possiedo che un vecchio tamburo:
in tuo onore sulla soglia della tua capanna
suonerò il mio tamburo.

Ropopom, ropopom
In tuo onore sulla tua soglia
suonerò il mio tamburo.
La strada che porta a Betlem
Lo vo marcando col mio vecchio tamburo.
Non ho niente di meglio da offrire
ma la sua roca voce è un canto d’amore,
Ropopom, ropopom
Quando Dio mi ha visto suonare davanti a lui
Mi ha sorriso.

Un posto per Gesù (Canto popolare brasiliano)
Un giorno in una piccola capanna
Avvenne un fatto grande:
un bambino meraviglioso
è nato da una vergine.
Molto molto lontano da là,
in mezzo alla foresta
c’è posto per te, Gesù,
nella mia povera casa.
La mia mensa è povera
Soltanto fagioli cotti in acqua e sale
Ma c’è posto per te Gesù
nella notte del tuo Natale.
Il Bambinello meraviglioso
è venuto per una grande missione:
liberare i suoi fratelli
da una tetra prigione.
La mia povera casa è piena
di figli da mantenere,
ma ancora c’è posto per te, Gesù,
un piccolo posto nella mia famiglia.
Il mio letto è una vecchia branda,
nell’angolo della stanza,
ma c’è posto per te, Gesù,
nella mia branda rattoppata.

Ecco io faccio nuove tutte le cose (Antonio Santantoni)
Sul vecchio arido bronco
è spuntata una gemma
nuova

Nel deserto più arido
è sbocciato un fiore profumato
bianco come la neve

Sul dolore più atroce
s’è posata una carezza
tenera

Nella notte più scura
s’è levata una stella
luminosa

Nella stalla più squallida
è sbocciata – imprevista –
una vita

Sulla paglia più ruvida riposa
il Dio Bambino.

Non mi resta che augurare a tutti i lettori di questa pagina il più sereno, felice, santo Natale.


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