No, devo confessarlo. Anzi devo testimoniarlo (che è molto diverso).
Non mi è piaciuto per niente lo spettacolo penoso del rais libico, davanti al quale il gotha della politica e dell’imprenditoria italiana, si è inchinato, o forse inginocchiato, deferente e servile, davanti alle telecamere e ai teleobiettivi di mezzo mondo.
Era la riprova che tu “sei” esattamente quello che “puoi”: l’unica cosa che conta è quello che “tu oggi puoi”. Di fronte a quello che oggi puoi, null’altro conta: né quello che sei, né quello che sei stato, né quello che hai fatto, né come ci sei arrivato, né l’uso che stai facendo di quello che oggi hai.
La mia di oggi, è una testimonianza segnata dall’amarezza; cinque giorni fa sarebbe stata rabbia. Appena letto qualcosa delle cronache della domenica e del lunedì italiani del dittatore libico, mi sono istintivamente seduto davanti al computer per buttar giù il pezzo per oggi.
Poi mi sono imposto una calmata. Mi son detto che sarebbe stato solo uno sfogo. Lascia sbollire la rabbia, mi son detto; aspetta sabato. Così eccomi qui.
Oggi (ieri, per chi mi legge) la rabbia è già diluita in amarezza. Forse in vergogna. L’amarezza, la vergogna di far parte d’un popolo sempre pronto a salire sul carro del vincitore di turno, sempre disposta a testimoniare la propria solidarietà a chi è stato baciato dalla fortuna. Qualcuno forse ritroverà qui Enzo Biagi.
Uno spettacolo avvilente, perfino umiliante, per la coscienza di chi crede che può esistere qualcosa di più importante delle poltrone, dei soldi, e perfino dei pozzi di petrolio; per chi mette tra i valori primari la dignità, la libertà, la storia, la fede di un popolo.
D’accordo, l’Italia aveva dei torti da farsi perdonare e dei danni e dei lutti da indennizzare; con l’accordo di due aani fa un’intesa in questo senso era stato raggiunto e delle scadenze erano state fissate.
Ma non mi pare che tra quegli accordi fosse compreso anche l’annuale ricorrenza del carnevale libico romano, alla presenza delle massime cariche della Repubblica italiana, indossanti il sacco dei penitenti, eterno ostaggio delle malefatte del regime fascista e della inetta monarchia savoiarda.
E invece eccoci qui, anno dopo anno, condannati a veder montare nel parco di qualcuna delle più belle ville romane, la tenda del rais beduino che non s’adatta neppure per un paio di notti a dormire nelle camere d’un grande albergo o d’una delle residenze ufficiali dello Stato che lo ospita, forse temendo qualche micidiale complotto ai suoi danni. Sospetti del tutto legittimi in chi ha praticato per anni il terrorismo. E si sa che il terrorismo non tira le caramelle.
Ma se tutto si fosse limitato a queste stravaganze, non starei certo qui a scrivere di Gheddafi, “l’omino tozzo e inadeguato, la caricatura del feroce Saladino” (Francesco Merlo su laRepubblica), in una Roma che di lui si dev’essere accorta solo per qualche intasamento intorno ai palazzi del Potere.
Se ne parlo è perché quelle sue sceneggiate, quelle sue carnevalate è venuto a farle in una città che, oltre che essere capitale d’Italia, è anche il centro della cristianità. E di fatto egli ha dimostrato davvero d’essere un “omino inadeguato”, in tutti i sensi: diversamente non avrebbe mai dimostrato un tale supremo disprezzo per questa qualifica della Città che lo ospitava; una tale noncuranza da permettersi di proclamare, proprio a Roma, la superiorità del Corano sul Vangelo, e di annunciare, magari non come prossimo, ma certo come ineluttabile, il sorpasso dell’Islam sul Cristianesimo anche in Europa. Una sicurezza che gli viene da almeno due motivi: la superiorità del Corano innanzitutto e, in secondo luogo, da un semplice calcolo demografico: la natalità fra gli islamici è in forte espansione, mentre fra i cristiani o è ristagnante o tendente alla riduzione.
A questo sorpasso egli non manca di dare il suo zelantissimo apporto con le sue ripetute lezioni di Corano alle giovani italiane che a centinaia sono reclutate (e pagate! difatti le chiamano hostess) per andare ad ascoltare le sue affascinanti e convincenti prediche: 500 ragazze a 64 euro al giorno.
In più è stata data loro, a perenne ricordo dell’evento che cambierà loro la vita, una copia del Corano in bella lingua italiana. Chissà, deve aver pensato quel geniaccio del rais, che qualcuna fra le tante, prima o poi non finisca per darci un’occhiata e magari col convertirsi all’islamismo?
Signori, chapeau! Un vero colpo maestro del dittatorello libico: quelle 500 – pensate cinquecento! – copie del Corano nelle mani di altrettante signorine che uscendo dalla sala dove il rais ha fatto sfoggio della sua arte oratoria (in arabo) e dato sfogo alla sua ansia di far proseliti ad Allah e al suo profeta, si sono poi riversate in strada con una copia del Corano in mano. Vi par poco? Quante migliaia di persone avranno avuto modo di vederne una (ognuna di loro può avere incontrate centinaia di persone prima di rientrare a casa. Chi le avrà viste camminare per la strada, cosa credete che abbia pensato? “Guarda un po’: un’altra che legge o studia il Corano”. Per decine di migliaia di persone quelle 500 copie del Corano hanno potuto significare 500 italiane che forse meditano di convertirsi all’Islam! Se anche il grande Sant’Agostino diceva «se questi e queste, perché non anch’io?» – e lo diceva proprio per spronare sé stesso a convertirsi anche lui a Cristo – la stessa idea può essere venuta a qualcuno che ha visto passare quelle ragazze col Corano in mano.
Ecco: la mia amarezza, succeduta alla mia rabbia, viene proprio da qui. Dalla consapevolezza che chi ha voluto, concepito, organizzato l’incontro nei modi e nelle forme in cui esso si è svolto, consapevolmente ha provveduto a offrire al rais un pulpito e una cassa di risonanza che Tripoli non avrebbe mai potuto offrirgli.
Gli hanno permesso di inondare Roma di Corani: provate voi ad andare al Cairo, a Teheran, a Damasco e fatevi vedere in giro con un Vangelo e vedrete se ve la cavate con niente! Provi il papa, o uno qualunque dei vescovi, ad andare alla Mecca a predicare Cristo e a invitare gli arabi a convertirsi al cristianesimo e conoscerà in diretta la tolleranza islamica in materia religiosa.
Chi scrive queste cose non è un nemico dell’Islam: già una ventina d’anni fa, quando di queste cose ancora nessuno parlava, io ho messo a disposizione degli ancora pochi islamici che allora vivevano sul territorio (comune di Deruta), una chiesetta sconsacrata che la parrocchia usava come sala di riunione, perché vi potessero celebrare in tutta tranquillità la loro grande festa di fine-Ramadam. La cosa ha avuto termine solo quando l’animatore del gruppo ha lasciato Casalina. Non mi hanno mai dato fastidi, mi hanno sempre mostrato gratitudine, non ho mai accettato compensi, e con il capo del gruppo il mio rapporto era molto cordiale. La comune fede nello stesso Dio deve solo unire, mai dividere.
Non mi scandalizzo se un musulmano fa proselitismo in Italia per la sua fede. Ma che venga a farlo in casa nostra chi mette in galera chi di noi fa la stessa cosa in casa loro, beh!, questo proprio no! E mi secca che un Potente venga a farlo in Italia con l’interessato beneplacito dei potentati locali, che pur sbandierano a dritta e a manca il loro cattolicesimo di facciata.
Gheddafi? Non mi è piaciuto affatto
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