Quello strano bisogno di un Dio cattivissimo

Martedì 10 agosto u.s., la Chiesa universale sparsa nel mondo, celebrava la festa di San Lorenzo, diacono e martire. Uno dei santi più conosciuti e amati della storia cristiana. Morto, come tutti sanno, su una graticola, sotto l’imperatore Valeriano, essendo vescovo di Roma Sisto II: era l’anno 258 dell’era cristiana. Essendo stato straziato e ucciso col fuoco, Lorenzo è oggi patrono dei pompieri e di molta gente che ha a che fare con i pericoli del fuoco e delle ustioni. Una grande festa per tutta la Chiesa, in modo speciale per i perugini che a san Lorenzo hanno dedicato la loro bella cattedrale.
Era dunque la mattina di san Lorenzo.
Tutte la mattine, quando apro La Stampa, il bel giornale di Torino, la prima cosa che guardo è se trovo il “Buongiorno” di Massimo Gramellini. Purtroppo in questi ultimi tempi, manca molto spesso. Le ferie? Forse, però è un peccato. Quella mattina c’era: ma il buonumore, se c’era, me l’ha tolto. Ecco le sue parole.
«Il vescovo ausiliario di Salisburgo ha scritto, nero su bianco, che la morte di quei ventuno ragazzi alla Love Parade del luglio scorso è stata una punizione divina. Ballare impasticcati e seminudi per le strade costituisce attività peccaminosa, sostiene il vescovo, ed è perfettamente naturale che Dio colpisca chi tenta di sovvertire l’ordine da lui creato».
Il simpatico giornalista non ci sta: «L’attribuzione, a un Ente Supremo, di pulsioni umane come la riparazione di un torto attraverso la vendetta ripugna a chiunque sia in cerca di spiritualità autentica e contiene una falla che nessun teologo è ancora riuscito a colmare. Se Dio aveva deciso di castigare i baccanti della Love Parade, perché ne ha sterminati solo ventuno, risparmiando gli altri? Ma soprattutto: perché ha preso di mira una moltitudine di giovanotti che, per quanto sballati, non stavano dando fastidio a nessuno, mentre non si accanisce con altrettanta precisione su assassini, ladri, stupratori e tutto ciò che di ben più orribile e “peccaminoso” di una danza sfrenata, che viene messo in scena ogni giorno della tragicommedia umana?».
Adesso il discorso di Gramellini si fa deliziosamente pungente: «Un parroco della mia infanzia diceva che il Dio Paura è una invenzione degli uomini per spaventare, inibire e dominare altri uomini. Gesù, aggiungeva, ci ha insegnato che Dio non è un vecchietto arrabbiato con la barba bianca e il forcone; ma l’energia d’amore di cui è composto l’universo. Peccato che quel parroco illuminato ci abbia lasciati da tempo. Altrimenti avrei umilmente suggerito al vescovo tonante di andare a lezione di catechismo da lui». Clap, clap, clap: (nei fumetti sta per applauso. Anzi è poco: qui ci vuole una “standing ovation” (che diamine!, vuoi mettere un po’ d’inglese?).
L’ho voluto riportare per intero, perché Gramellini se lo merita, e poi perché anche il vescovo di Salisburgo si merita bene la sua parte di disdoro. Perbacco, è il pastore di una delle più incantevoli, gloriose, nobili, felici città del mondo; ha dalla sua le sublimi musiche di Mozart e una delle più prestigiose istituzioni musicali del pianeta, un paesaggio che non ha nulla da invidiare a quelli di Heidelberg o di Firenze, e ha ancora voglia di difendere e anzi propagandare una visione di Dio contro cui, giusto un anno fa, si era scagliato, poco prima di andarlo a raggiungere e a vederlo da vicino, l’ateissimo Saramago che lo ha descritto come un dio piccolo piccolo, dispettoso, odioso, invidioso, meschino e perfino un po’ tonto e, quel che è peggio, anche geloso della felicità dell’uomo (di lui ho già parlato un paio di mesi fa su questo giornale). Chissà se, ora che lo ha visto “in faccia” avrà mantenuto il suo giudizio, o se l’avrà addolcito almeno un poco?
Giusto una settimana dopo la lettura di quel “Buongiorno”, mi è capitato tra le mani un breve scritto di un religioso che conosco da quando sono ragazzo, perché era anche lui di Marsciano, come me, e anche lui prete, come me: solo che lui è un religioso e io sono un prete diocesano, più giovane di lui di una dozzina d’anni o giù di lì. Il suo nome è P. Mario Gialletti. Ricordo d’aver preso parte alla sua prima messa solenne a Marsciano, e d’averlo avuto prefetto per un anno in seminario. Egli prese poi la via di Collevalenza, seguendo il carisma e il “bonus odor” di Madre Speranza.
Il breve scritto, apparso su Shalom, il periodico della ben nota casa editrice, diceva che Benedetto XVI lamentava il fatto «che c’è chi può arrivare a “considerare il male come effetto della punizione divina”, ma di fronte a questa “facile conclusione” il Vangelo “proclama l’innocenza di Dio che è buono e non può volere il male”».
P. Gialletti continua riportando ancora le parole del papa: «Di fronte alla facile conclusione di considerare il male come effetto della punizione divina, Gesù restituisce la vera immagine di Dio, che è buono e non può volere il male. In presenza di sofferenze e lutti – continua il papa – vera saggezza è lasciarsi interpellare dalla precarietà dell’esistenza e leggere la storia umana con gli occhi di Dio, il quale, volendo sempre e solo il bene dei suoi figli, per un disegno imperscrutabile del suo amore, talora permette che siano provati dal dolore per condurli a un bene più grande».
P. Gialletti va avanti con la citazione di Benedetto XVI: «Le sventure, gli eventi luttuosi, non devono suscitare in noi curiosità o ricerca di presunti colpevoli, ma devono rappresentare occasioni per riflettere, per vincere l’illusione di poter vivere senza Dio, e per rafforzare, con l’aiuto del Signore, l’impegno di cambiare vita». E questa è la conclusione del papa: «di fronte al peccato, Dio si rivela pieno di misericordia e non manca di richiamare i peccatori ad evitare il male, a crescere nel suo amore…».
Mi ha dato molto conforto sentire il papa che parla così. Quante volte mi sono detto che Dio non si merita il trattamento che gli riserviamo quando noi, preti o vescovi lo predichiamo, quando lo preghiamo, quando lo presentiamo come i carabinieri di Pinocchio. Abbiamo dunque tanto poca fiducia nell’uomo, che non ci viene mai in mente che forse potremmo ottenere molto di più predicando un Dio che è Amore, anziché un Dio soprattutto giudice e vindice dei peccati degli uomini?
Io sento di poter dare di me stesso e della mia fede questa testimonianza: da quando la Signorina Petrarca, una ottantenne “signorina” (come a quei tempi ancora si diceva alle/delle donne nubili, anche se molto anziane), mi disse (io ero invece un giovanissimo prete): “Vede don Antonio, io prego ogni giorno per lei, mattina e sera. Vado alla mia finestra, da dove vedo la cappella. So che lì c’è Gesù. E gli dico, mattina e sera, solo questa preghiera, sempre la stessa: “Trattalo con delicatezza”. Da allora ho preso anch’io a pregarlo così: “ Signore, trattami con delicatezza. Solo così potrò amarti: se mi tratterai con delicatezza. So che non potrei amarti se mi trattassi in modo ruvido, duro. Signore tu sai che anch’io “amo amare”, ma amo anche essere amato. E mi piace vedere, sentire che qualcuno mi ama. Trattami con delicatezza, sempre: ti prego”. Credo di poter dire di aver avuto molte volte l’assoluta percezione di questa infinita delicatezza di Dio. Tanto da aver saputo passar sopra, Lui, a tutti i miei peccati.


da

Tag: