Viva viva l’allegra brigata!


È proprio vero, viaggiare aiuta. Vuoi mettere tutto quello che impari, viaggiando, visitando, vedendo, ammirando, confrontando…! Versailles, Windsor, Caserta, l’Ermitage, le Piramidi, il Cremlino, l’Escurial…! Davvero non si finisce mai d’imparare, di stupirsi, di farsi venire nuove idee. Se questo capita a Berlusconi, uno che di mondo ne ha visto, qualcosa di vero in quell’assunto ci dev’essere proprio.
Ce lo ha rivelato lui stesso: «È una casa di sogno, nemmeno io ho mai visto tante meraviglie in una volta». Recita il Corriere della Sera: «Definirla una casa d’oro non è forse esagerato… D’oro zecchino sono rivestiti i piedi di alcune sedie, dei tavoli; bisogna ragionare di carati anche per i rubinetti dei bagni. Ma «udite, udite, o rustici”! «al posto delle pareti (ci sono) vasche di acquari con pesci tropicali». Come lui sono rimasti colpiti per il lusso fuori misura anche gli altri membri dell’allegra brigata, tutta gente di nostra lunga conoscenza, che per tanti anni ci hanno allietato con i loro ameni conversari sulla giustizia sociale, sui diritti dei più deboli, sulla sollecitudine ai più poveri, etc.etc.etc. I loro nomi? Ma certo: i ‘carissimi amici’ Chirac, Schroeder, e Berlusconi, tutta gente che tante volte aveva assicurato il loro impegno per un mondo più giusto ed equo.
Di che stiamo parlando? Naturalmente della dacia che sorge in luogo di sogno, sulle rive del lago Valdai, di cui il Patriarca ortodosso Nikon, che lo volle nel 1633 per costruirvi un monastero: «In cielo esiste il paradiso, in terra c’è il lago Valdai». Lui lo scelse per i monaci, per favorirne la solitudine e la vita spirituale; Stalin lo scelse per farci il suo ‘buen retiro’. Ma non ci passò più d’un paio d’ore. I nuovi padroni del Cremlino ritentarono l’impresa e sembra che i nuovi architetti abbian saputo fare meglio dei vecchi. Senza badare a spese.
Chi ha letto fin qui queste righe avrà già capito che la dacia del capo del Cremlino, non rientra propriamente fra le cose che apprezzo di più. Da molto tempo ho smesso di apprezzare tutto ciò che ‘sa’ di lusso. Sono molti anni che nei miei viaggi evito di visitare i grandi castelli, le grandi dimore regali o principesche, concepite e volute come esibizione di ricchezza e di potenza. So bene che spesso vi sono racchiusi ingenti tesori d’arte e spesso sono essi stessi tesori d’arte (architettonica, bellica, civile): in gioventù mi facevo un dovere di andarli a visitare non appena ne avevo l’occasione: pregevoli prodotti dell’ingegno umano. Epperò, da molti anni a questa parte, quando mi trovo al cospetto di opere siffatte, mi sento nascere dentro un senso di rigetto, perché non posso fare a meno di pensare di quanta ingiustizia quelle imprese sono state il prodotto, di quanto lavoro mal pagato, di quante lacrime, di quante schiene spezzate, di quante vite travolte sotto quelle pietre o sotto le ruote dei carri che li trasportavano. Pagati giusto quel tanto che permetteva loro di ripresentarsi l’indomani al lavoro, a spezzarsi le reni di nuovo, a tagliarsi le mani tirando quelle funi, a rimanere schiacciati sotto quei massi, a precipitare da quelle impalcature precarie, mentre i committenti si godevano i lavori (e spesso le donne e le figlie) dei contadini, dei servi, dei minatori, degli artigiani a cui essi, proprio con quel lavoro, ‘davano da mangiare’ (dicevano).
Un rigurgito di Sessantotto? No, almeno non va in questa direzione il mio sentimento. Questi pensieri sono il frutto d’una nuova consapevolezza che s’è andata imponendo alla mia coscienza: nuova per me, purtroppo, ma antica e costante nel mistero profondo della Chiesa che, nei suoi figli migliori, i Padri e i Santi, ha costantemente insegnato che ciò che eccede le necessità del singolo (anche inteso nella sua massima estensione: famiglia, professione, impresa, azienda…) non può più essere detto proprietà dell’individuo, ma deve essere considerato patrimonio della comunità umana. E nell’affermare questo, non penso né a Marx né a nessuno dei suoi epigoni o dei suoi profeti, ma unicamente a Cristo, al suo Vangelo e ai suoi profeti (i suoi Santi). La terra è di Dio ci ricorda la Scrittura: «Mia è tutta la terra» (Es19,5); una Parola che a noi risulta indigesta ma che nessuno di noi può cancellare. «I cieli appartengono a Dio, ma la terra egli l’ha data ai figli dell’uomo »(Sal 115,16). E Dio non stava scherzando, dicendo quelle cose, come non scherzava Gesù quando queste cose le disse al giovane ricco e questo «se ne andò triste perché era molto ricco»; non lo richiamò mica per dirgli “dove vai, vieni qui, grullo, guarda che io scherzavo”. No, non scherzava Gesù. Chi ha reso uno scherzo quelle parole, siamo tutti noi, suoi fiacchi discepoli, noi che non abbiamo né il coraggio di prendere sul serio quelle parole, né il coraggio di ritirarci, e allora le rendiamo innocue. Noi, che non mangiamo per non perdere la linea, ma quello che risparmiamo col nostro ‘digiuno’ non lo diamo ai poveri, ma lo spendiamo per la coiffure dei nostri cani, che Dio ci perdoni!
E intanto in Africa e nel mondo muoiono di fame e per mancanza di medicine uomini e donne a milioni ogni anno, a decine di migliaia ogni giorno, soprattutto bambini e vecchi che quasi ti vien voglia di dire’ beati loro’! Perché a chi non muore, va anche peggio. E intanto i Quattro dell’Allegra Brigata mangiavano leccornie servite su tavole con i piedi d’oro zecchino. E andando a dormire hanno dormito da re, e nessuno di loro ha vomitato. Intanto che in Africa, in quelle stesse poche ore, alcune migliaia di figli dell’uomo e di Dio, morivano di fame.

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