Le molte amarezze dei poveri ricchi


In questi ultimi giorni due notizie mi hanno raggiunto, facendomi male. Tutte e due riguardano l’ormai mitico Flavio Briatore, l’inossidabile punto di riferimento del jet-set internazionale. Il suo Billionaire sulla Costa Smeralda è ormai il miraggio verso cui anelano tutti i vip e i parvénus del pianeta. Non sei mai stato al Billionaire? Allora sei del tutto out. Non sei nessuno. Non esisti proprio.
È di due o tre giorni fa la desolante notizia: il grande Flavio avrebbe dichiarato: «In Italia vengo a fare il turista; gli affari li faccio all’estero». Eccoci in faccia la solita torta di crema rancida. Siamo solo un paese di spaghettari e di mandolinari. Seconda inquietante notizia: incontra difficoltà il suo progetto di costruire a Malindi, sulle coste del Kenia, in società con una delle sue ex, la divina Naomi Campbell, un superhotel a 6 (sei!) stelle, per super milionari in euro o almeno in dollari, meglio ancora se in sterline, per la più cremosa crema dei paperon de’ paperoni del pianeta.
Anche qui però il divus Flavius incontra inaspettatamente delle difficoltà: pensate, il suo fantastilionico progetto (130 milioni di euro se non ho letto o se non ricordo male: a occhio e croce 250 e rotti miliardi di lire), incontra difficoltà nell’ottenere i necessari permessi perché la spiaggia sulla quale dovrebbe sorgere la faraonica struttura è un luogo severamente protetto perché in quelle spiagge vanno a deporre le loro uova ben tre specie di tartarughe giganti. Sottraendo loro quei chilometri di spiaggia quelle povere bestie rimarrebbero senza ‘incubatrici’ per le loro uova e il rischio di estinzione si farebbe gravissimo. Così il nuovo Billionaire rischia il flop a causa di quegli stupidi animali, incapaci perfino di capire che basterebbe loro di spostarsi giusto un po’ più su o un po’ più giù, e tutti sarebbero contenti. Con tutti i chilometri di spiagge deserte che ci sono in Kenia…
L’ho messa così, un po’ sul sarcastico e sullo scherzoso per non cominciare quest’amara riflessione con un vero grido di sdegno verso alcune delle più venerate e odiose icone della moderna (in)civiltà della moneylatria, o, più pedestremente, del culto del denaro e della ricchezza. È probabile che a questo punto qualcuno dei miei lettori abituali e ancor più degli occasionali, possa trovarsi a disagio. Parlare di queste cose, proclamarsi insofferenti alla plutolatria, può voler dire alienarsi in un colpo solo molte simpatie. Pure, dal momento che per me scrivere è rendere testimonianza, non posso far altro che esporre nel modo più pacato e sereno possibile ciò che io ritengo essere vero.
Partirò da un assunto di cui nessuno che condivida la mia fede cristiana potrà mettere in dubbio: «Nessuno può servire a due padroni; non potete servire Dio e mammona (denaro)»(Mt6,24). In questa celebre sentenza di Gesù è dichiarata l’insanabile incompatibilità tra il ‘culto’ di Dio (dal latino ‘colere’ coltivare, curare, rendere culto; e anche venerare, adorare, servire) e il ‘culto’ del denaro. Si metta subito bene in chiaro: ciò non vuol dire dichiarare maledetto o impuro o intrinsecamente malvagio il denaro. Ciò che Gesù esclude categoricamente per i suoi discepoli non è né l’uso del denaro, né l’onesta applicazione nel procurarselo in misura confacente e sufficiente a una vita dignitosa decorosa confortevole e perfino moderatamente agiata, tale da consentirti non solo la sussistenza ma anche quel qualcosa in più che contribuisce a rendere piena e ricca la vita. Se conoscere è un bene per l’individuo, avere denaro per procurarsi le conoscenze capaci di dare senso e passione alla vita, diventa indispensabile: acquistare libri, andare a teatro, ascoltare musica, viaggiare, vestirsi in maniera adeguata, abitare in una casa confortevole e anche bella e molto altro ancora saranno desideri non solo leciti e consentiti, ma possono, o forse devono, diventare molle efficaci per aumentare l’impegno nel lavoro, nel commercio, nell’avanzata sociale dell’individuo.
Ma ci sono limiti che non sarà mai consentito alla coscienza di chi si dice cristiano di superare (e si noti che io sto parlando principalmente per chi condivide quest’ottica e solo secondariamente per spiegare quest’ottica a chi non la condivide). Ebbene, non rientra nell’ottica cristiana, la visione del ricco stolto della parabola: «Hai messo da parte molti beni, ora godi e divertiti anima mia: allarga i tuoi granai e i tuoi forzieri, mangia, godi, divertiti». La condanna di Gesù è nettissima: «Stolto, proprio stanotte morirai, e quanto hai messo da parte di chi sarà?» (cfr.Lc 12,18.20). Immagino l’obiezione: ma io ho i figli, devo pensare anche a loro. Pura ipocrisia: il capitalismo moderno non è affatto funzionale alla sussistenza e ai bisogni dell’individuo e neanche della famiglia; ci sono fortune che neanche tre o quattro generazioni potrebbero esaurire. La logica del capitalismo è funzionale solo all’accumulo di ricchezza come strumento di potere. Più ricco > più importante > più influente > più potente > più rispettato > più temuto > più obbedito > più protetto ecc. ecc. E soprattutto: più ammirato > più stimato > più desiderato (dalle donne, dagli uomini) > più invidiato.
Ecco sì, questo è il punto: sapersi ammirato, desiderato, invidiato: perché se nessuno m’invidia che gusto c’è ad essere ricco? Se dovessi guidare in un deserto, dove nessuno mi vede, che me ne farei d’una Ferrari? No, la Ferrari mi serve in città (a 50 all’ora), in autostrada (a 130 all’ora): ogni tanto una sfugata tanto per far impallidire quei poveracci in Mercedes.
Si può avere questi gusti e poi dirci cristiani? La mia risposta è NO, semplicemente. Perché tutto questo costa la morte per fame di decine di milioni di poveri ogni anno, di decine di migliaia ogni giorno. Non sarà la tua Ferrari né la tua notte al Billionaire a diverse migliaia di euro per notte a provocarli; ma quel sistema che permette a te la tua Ferrari e la tua notte al Billionaire, è lo stesso che condanna a morte per fame o per mancanza di cure quei milioni di disgraziati. E tutto questo non ha nulla di cristiano.