Libertà umana e cultura del provvisorio


È un idea che piace molto a papa Francesco, tanto che ne parla con una certa frequenza. Ne parla per la durata del matrimonio che, nella concezione cristiana non può che essere pensato se non indissolubile. E ne parla spesso anche per il sacerdozio cristiano che, per la teologia cattolica, è necessariamente per sempre, essendo il prete, come il Cristo, sacerdos in aeternum. Oggi parlerò del primo; domenica prossima del secondo.
Cominciamo dal primo, quello del matrimonio che, secondo Francesco e per la Chiesa tutta, non può che essere “per sempre”. In forza di questa idea maestra, Francesco esorta «a non lasciarsi vincere dalla cultura del provvisorio!». L’amore, egli dice, «non è solo un sentimento, uno stato psicofisico», ma «una relazione», che nasce per essere «per sempre».
Le parole che seguiranno sono state dette in piazza San Pietro davanti a 30 mila coppie di fidanzati già prossimi alle nozze, nel giorno di San Valentino, il giorno certo più adatto a riflessioni di questo tipo.
Francesco apprezza molto il coraggio delle scelte definitive, “per sempre”. E lamenta: «Oggi tante persone hanno paura di fare scelte definitive, per tutta la vita». Alla filosofia del per sempre, sta succedendo quella del “provvisorio”: «stiamo insieme finché dura l’amore». Francesco non si ritrova in questa concezione: l’amore, spiega, «è una relazione, una realtà che cresce» con noi: «L’ amore si costruisce come una casa. E la casa si costruisce assieme, non da soli!».
Non basta. Rifacendosi a una parabola di Gesù (Mt 7,26) la casa del matrimonio non va fondata «sulla sabbia dei sentimenti che vanno e vengono, ma sulla roccia dell’amore vero, l’amore che viene da Dio… Come l’amore di Dio è stabile e per sempre, così anche l’amore che fonda la famiglia… dovrà essere stabile e per sempre. Non dobbiamo lasciarci vincere dalla cultura del provvisorio!». Ancora: «Stare insieme e sapersi amare per sempre è la sfida degli sposi cristiani. Chiedete a Gesù di moltiplicare il vostro amore». E con finissima arguzia esorta fidanzati e sposi a “correggere” la stessa preghiera di Gesù: “Signore dacci oggi il nostro amore quotidiano“, perché l’amore degli sposi è il pane quotidiano dell’anima». Non contento del consiglio, ha fatto loro ripetere due volte la preghiera così da lui corretta.
A queste parole, dette con tanta grazia e arguzia il cristiano non può dire altro che sì.
M’è sembrato opportuno riproporre queste esortazioni di Francesco proprio all’indomani della definitiva approvazione della legge sul “divorzio breve”, accolta da espressioni del tipo «Finalmente è legge!»; «Italia più umana e più saggia”.
Non chiedetemi da che parte sto io. Io sono un cristiano e per me parola di Cristo vuol dire verità. E se Gesù ha detto: «l’uomo non divida ciò che Dio ha unito» (Mc 10,9; Mt, 19, 6), per me la questione è chiusa! Per me, però, quelle parole possono impegnare solo chi si riconosce in esse. Chi accetta l’autorità del Maestro. Chi osa dichiararsi cristiano. Dunque chi cristiano non è non è affatto tenuto ad accettarle, a farle proprie, ad adeguarsi a esse.
Detto diversamente, ciò vuol dire che chi cristiano non è e in coscienza ritiene che sia meglio il divorzio che una vita di coppia infelice, ha tutto il diritto di chiedere la possibilità di tornare su una scelta che egli ora considera sbagliata e di chiedere il divorzio. Quanto al divorzio breve o lungo, perché aspettare tre anni, prolungando un inferno che non giova né ai genitori né ai figli? Facciamola finita alla svelta. Sarà meglio per tutti. Non ha detto lo stesso Gesù qualcosa del genere? «Quello che devi fare fallo presto!» (Gv 13, 27).
È probabile che a questo punto qualcuno mi gridi dietro: “E tu saresti un cristiano? E un prete? E per giunta un teologo?Che ha perfino insegnato ai preti di oggi e di domani? Poveri loro e poveri noi che li avremo come parroci e confessori! A tutti mi sentirei di rispondere: “Tranquilli, amici, niente di così grave”.
Dunque: io sono un cittadino italiano che crede che la democrazia sia la migliore forma di governo fra quelle finora sperimentate. Un po’ meno positivo il giudizio per ciò che riguarda la democrazia italiana, che ritengo sia una delle peggiori fra le democrazie evolute del pianeta. Lasciamo stare la Costituzione e la mitologia benignana sulla più “bella Costituzione del mondo”. Parlo invece della sua classe politica, per la quale userei volentieri la formula fauna politica. E di giungla per quel mondo. Pochissimi esclusi.
In questa giungla mi muovo malissimo. Non sono particolarmente attrezzato per sopravviverci. Specialmente da quando è venuto chi mi ha tolto la possibilità di scegliermi chi mi doveva rappresentarmi, presentandoci liste blindate. Lasciandomi scegliere solo il pachiderma sul quale sedermi, ma non il mahout (il conduttore) dal quale farmi condurre. Sicché mi sono spesso ritrovato là dove non volevo proprio andare.
Ora sono in crisi e se le cose non cambieranno (ma sembra proprio che l’attuale mahout, non voglia proprio saperne di cambiare la legge in questo senso) penso proprio che la prossima volta resterò a casa a guardare.
Che c’entra questo col discorso di papa Francesco sulla bellezza dell’amore per sempre? Io credo proprio che c’entri, e molto anche. C’entra perché, come io mi ribello a chi oggi vuole impormi un suo modo di votare, tanto più mi ribellerei a chi volesse impormi un modello di vita, un modo di pensare che non rispetti il mio credo. Ciò mi permette di capire l’animosità dei laici nei nostri confronti in questi giorni. Perché dovrebbero rispettare chi non rispetta i loro punti di vista e li accusa di volere lo sfascio delle famiglie, di incoraggiare l’egoismo del più forte (i genitori) contro il diritto dei più deboli (i figli)? Chi vorrebbe obbligarli a vivere come vogliono loro? Chi dimentica che ogni legge (dal latino lex, affine al greco lègo, dire, parlo con autorità, perché la mia parola diventi legge) è solo una scelta fra diversi comportamenti possibili, sì che la differenza fra religione e laicità sta proprio in questo: la prima ne riconosce un solo comportamento corretto e quello vuole imporre, mentre la seconda fa molto più spazio ai diversi diritti, senza negarne nessuno. Con un’altra differenza di non poco conto: la religione non prevede nessuna possibilità d’errore (Dio non può sbagliare), il laico non l’esclude affatto, anzi prevede sempre la possibilità di ripararlo, modificando la legge dopo un congruo tempo di prova. Fatta la legge, se non funziona si cambia.
Contrasti ce ne saranno sempre e in ogni caso. Meno nel regime religioso (la legge di Dio non può cambiare), molti di più fra i laici, i quali riconoscono un valore assolutamente determinante all’evoluzione delle idee, evoluzione che comporteranno fatalmente un cambio della legge. Cambiando le idee, cambiano i valori, cambiano i giudizi, cambiano le leggi.
È proprio da questo diverso rapportarsi fra l’uomo e la legge che nasce il perpetuo contrasto fra l’assolutismo (religioso e/o politico) e la democrazia: il primo tenderà sempre a restringere la scelta, la seconda ad allargarne il campo.
A chi va data l’ultima parola? Questa volta vi sorprenderò: come nell’economia, nel metodo democratico l’ultima parola andrà sempre al “mercato”! Cioè alla libera scelta. Vinca la migliore proposta.
Concluderò dicendo alla mia Chiesa, alla quale ho dato senza rimpianto tutta la mia vita e oggi più che mai il mio cuore: non affidarti alla legge dell’uomo. Ma guardati dall’imporre anche ai non credenti la legge del tuo Dio. Egli è dalla tua parte, ma ha rinunciato per primo a imporci la sua legge. Egli la propone, ma non ha mai fretta. Noi abbiamo Dio dalla nostra parte. La superiorità del nostro modello d’amore non va affermata. Va dimostrata. Il tempo ci darà ragione. E forse anche l’uomo.

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