Tante Teste, Tanti Cuori, Tanti Matrimoni


In questi giorni, con la consueta puntualità e chiarezza, l’Istat ci ha informati che in Italia si contano sempre meno matrimoni, siano essi civili, siano essi, soprattutto, religiosi. Dal 2008 sono raddoppiate invece  le unioni di fatto. Sempre l’Istat ci fa sapere che matrimoni di fatto, separazioni e matrimoni civili superano ormai quelli religiosi, mentre resiste l’attaccamento del Sud al modello tradizionale.

Quasi un matrimonio su due non è più religioso, e crescono le convivenze.  La famiglia italiana formato Istat lascia pochi dubbi sul futuro dell’istituzione matrimoniale sul piano religioso.

Cosa dovrebbero suggerirci i dati sulla tenuta del matrimonio religioso? Intanto stupisce l’imprevista tenuta del matrimonio religioso rispetto a quello civile. Si direbbe che più che la fretta, prevalga, di norma, almeno in chi si è sposato in chiesa, la ricerca della stabilità del matrimonio che sembra prevalere ancora nel giudizio di una larga fetta di candidati alla formazione di nuove famiglie, riconoscendo alla famiglia religiosa tradizionale una maggiore maturità di scelta, di fedeltà di coppia e di attaccamento alla prole.

Ciò non di meno, il futuro del matrimonio religioso, in Italia non si presenta affatto né roseo né favorevole. Secondo le stesse proiezioni, parecchio azzardate a mio giudizio, la data di morte del matrimonio religioso in Italia viene già “fissata” per il 2031. Ciò significherebbe che in questi pochi anni, una quindicina in tutto, il matrimonio religioso cesserebbe d’essere statisticamente rilevante, per continuare a essere una presenza più larvale che significativa. Ciò che seguirebbe, sarebbe uno scenario matrimoniale religioso a tasso zero. Riporterò qui alcuni stralci di un ampio contributo che, partendo proprio dall’Indagine del Censis, fotografa la crisi dei matrimoni in Italia.

“Se continua così, presto le nozze in chiesa saranno solo un ricordo. Alla base, la disaffezione per la religione e le nuove tutele per le coppie di fatto” (M.N. De Luca).

“Sorpassati, ignorati, in via di estinzione. Né garanzia d’amore, né di famiglia felice. Così in decadenza da far temere che per i matrimoni si stia avvicinando l’anno zero. Almeno per le nozze religiose. Non essendo ritenuto più necessario né per abbandonare la casa di famiglia, né per mettere al mondo dei figli, né tanto meno per dare dignità intima e sociale a un amore, il matrimonio troverebbe la sua ragione unicamente nel dare evidenza pubblica a un fatto privato.
“Partendo dai dati Istat sul crollo complessivo delle nozze (erano 291.607 nel 1994, sono scese a 189.765 nel 2014) il Censis elabora uno scenario futuribile nel quale “nel 2020 si avranno più matrimoni civili che religiosi, e nel 2031 non sarà celebrato un solo matrimonio nelle nostre chiese”. Il motivo? Semplicemente le nozze non sono più il “baricentro della vita”. Tutto si può fare anche senza quel contratto che, ancora vent’anni fa, vincolava invece tutte le scelte di una vita.
“Un po’ come dire: sposarsi non serve più a niente, i figli nati dentro e fuori dal matrimonio sono tutti legittimi allo stesso modo, i patti di convivenza appena approvati sono un ulteriore passo in avanti, e l’equiparazione tra coppie sposate e coppie di fatto è qualcosa di acquisito”. Quello che colpisce però nello studio del Censis è la morte annunciata del matrimonio religioso, in un Paese in fondo tradizionalista come il nostro, anche se forse i dati già noti sulla “disaffezione” per la religione cattolica, e sulle chiese vuote soprattutto di giovani, lasciavano già intravedere la rivoluzione secolare. Nel 2014 in Italia si sono celebrate 108 mila nozze in chiesa, 61.593 in meno del 2004, ma soprattutto 127.936 in meno rispetto al 1994. In vent’anni, cioè, c’è stato un crollo del 54% dei riti religiosi.
Da ciò che noi conosciamo, risulta che ogni anno si perdono per strada 6400 matrimoni religiosi.  Ecco: se, partendo da questo dato, togliamo ogni anno 6.400 cerimonie, il risultato è che in 17 anni, cioè nel 2031, i matrimoni benedetti dal prete saranno azzerati”. Conto che aritmeticamente non farà neppure una grinza, ma che metodologicamente ha tutta l’aria di valere assai poco.

Comunque un fatto è sicuro; da tempo il matrimonio religioso ha smesso di rappresentare il punto d’arrivo d’ogni coppia che ambiva a diventare “famiglia”. Ciò che aveva rappresentato un mito per innumerevoli generazioni; che ognuno aveva vagheggiato a suo modo, e per cui ognuno, sposi e genitori ugualmente,  erano disposti a fare follie e a indebitarsi pesantemente pur di assicurare ai propri rampolli, ma soprattutto alle figlie, l’abito da sempre sognato, la chiesa più ricercata, il ristorante più “in”: ebbene, di tutto questo oggi non resta praticamente nulla.

La stessa celebrazione in municipio, pur risultando sempre più richiesta e appetibile, viene vista spesso come una “seconda scelta”, cui si ricorre sempre più spesso, ma non tanto e non solo perché più “abbordabile” economicamente, ma anche e forse soprattutto, per dare “coerenza morale” alla scelta del matrimonio laico: quasi un voler avere le mani libere per altri “no” successivi, altrettanto chiari e precisi, alle conseguenze di un eventuale matrimonio religioso, (rinuncia  al battesimo dei figli, alla frequenza obbligatoria del catechismo, rifiuto di obbligo di accedere a cresima e prima comunione). Scelte non semplici da prendere, come quella di chiedere di celebrare, nello stesso rito, sia il matrimonio religioso, sia il battesimo dei figli.

Troppo ampia la diversità dei giudizi in materia, per poterci illudere di poter risolvere tutto con un “volemoce bene”. Quanto ai sacramenti successivi – cresima e prima comunione –, saranno sempre mine vaganti fra chi al rito non chiede che una facciata e chi a un rito crede profondamente. Torna allora la domanda: come giudicare il momento presente? Come un passo avanti nella formazione di moderne coscienze, aperte a tutte le voci di progresso, o un desolante abbandono di valori per i quali fino a ieri si era pronti a dare la vita? Una domanda questa a cui sarà sempre più difficile dare risposta. E come dovrà atteggiarsi la Chiesa davanti a simile scelte, ogni giorno più diffuse e condivise e perciò più difficili? Essa potrebbe certamente attestarsi su posizioni di estrema difesa della tradizione, come anche mostrarsi aperta a ogni tentativo di dialogo con le nuove tendenze. I due recenti sinodi sulla famiglia, voluti da papa Francesco, hanno forse potuto solo tendere il dito verso una possibile meta. Una meta che, senza nulla rinnegare della tradizione, ha saputo indicare altre strade per andare “oltre” il già conosciuto e il già osato. Senza paura, nella ricerca dell’incontro, ben sapendo che in questa ricerca, sarà possibile anche mettere il piede su un terreno sbagliato.

Esemplare resta la lettura che alla fine ne ha offerto papa Francesco nella sua Relazione apostolica: per ogni no da ribadire, (e ne ha ribaditi!), egli ha indicato almeno un possibile da calare sul piatto di chi dirige il gioco.

Debolezza della posizione papale, o colpo di genio di chi sa che se vuoi ottenere l’ottenibile, devi anche essere disposto a cedere qualcosa, o anche molto, di ciò che fino a ieri t’era sembrato irrinunciabile?

Sarà possibile questo anche in tema di matrimonio? Per chi ha fede non c’è dubbio che tenga. Ma poiché non sono io il papa, farò bene a fermarmi qui.

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