Pensieri irrituali sulla Festa della mamma


Non amo parlare della Festa della Mamma. So di essere una mosca bianca, nel panorama clericale italiano, che proprio in questo giorno si dà da fare per tirar fuori il meglio dal proprio repertorio cultural-cultuale per offrirlo in pasto abbondante al popolo dei fedeli che va festoso alla Messa. Ma ogni volta che casi del genere si ripresentano, sempre mi tornano in mente le parole che per decine di volte mi son sentito ripetere nella mia vita in occasioni come queste:

“Ma che ne sapete, voi preti, di cos’è la famiglia? Del vivere in famiglia? Avete certo letto più di noi su questo come su altri argomenti che con questo hanno a che fare; ne sapete certo più di noi in via teorica o statistica, ma ve ne manca l’esperienza personale, diretta sofferta e, diciamolo pure, goduta. Di quanti peccati ci avete accusati nel passato, che peccati erano solo per voi, che certe cose non le avete mai vissute, tanto che a noi davate spesso l’impressione di volerci avvelenare il nettare che voi non potevate bere? Oggi magari non sarà più così, sia perché oggi nessuno più vi prende sul serio,come vi tenevano in conto le nostre mamme e le nostre nonne (i nostri maschi hanno fatto un po’ sempre di testa propria, su questo punto soprattutto) sia perché, finalmente, l’avete capito anche voi che vi sbagliavate di brutto”.

Prendendo sul serio sia le osservazioni e le critiche che da tanta parte ci vengono mosse, fedele al mio bisogno di franchezza,non canterò un inno alle mamme, ma un lamento funebre su “la mamma che fu”.

Anche da giovane, ancora viva mia Madre, non ho mai amato questa festa. La vedevo solo come un’operazione di mercato, un pretesto in più, con quella di San Valentino (festa degli innamorati), quella dell’8 marzo (festa delle donne), quella di San Giuseppe (festa del papà), per bussare a quattrini e fare un po’ di cassetta. Non ho mai fatto un regalo, nemmanco un fiore alla Mamma, in questo giorno. Non era per soldi: me ne scordavo proprio. La mattina della festa, mio fratello arrivava sempre col suo dono, io mai niente. Non ho mai saputo se Mamma ne soffrisse (a me diceva di no), perché lei sapeva che per me la sua festa era una sola, quella dell’era preconsumistica, cioè la festa di Sant’Anna (Anna era il suo nome), che io celebravo sempre nel modo più festoso con tutta la famiglia.

Anche oggi le feste imperversano, e crescono nel calendario come i funghi in autunno. Sono le mamme che non son più le stesse. Non parlo di tutte, beninteso, e grazie a Dio ne conosco anch’io tante che fanno onore a questo che è fra i nomi più sacri per tutti. Ma in un mondo in cui il matrimonio è ormai qualcosa di liquido, o di elastico come lo yoyo dei cinesi, c’è chi con esso si diverte un mondo: lo tira,  lo molla, lo richiama, lo riprende, lo rilancia in alto in basso, in terra, in aria, e il figlio sta in mezzo, al tempo stesso scopo e pretesto e parte del giocattolo: del ping pong fra i due che l’hanno messo al mondo: tic tac, tanto a me, tic tac tanto a te; tac tic, tanto io, tic tac tanto tu. E così per il tempo, per i soldi, per la casa, per le vacanze, per la scuola, per l’ospedale: che quando tocca a me, e io lavoro, io il bimbetto dove lo metto? A chi l’appioppo?

Ha voglia papa Francesco a dire: al n.9.«Varchiamo dunque la soglia di questa casa serena, con la sua famiglia seduta intorno alla mensa festiva. Al centro troviamo la coppia del padre e della madre con tutta la loro storia d’amore. In loro si realizza quel disegno primordiale che Cristo stesso evoca con intensità: «Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina?» (Mt19,4). E «per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne» (Gen 2,24).

Ora mettete queste parole davanti a certe donne e a certi uomini che tutti noi conosciamo, dovunque essi siano, mentre noi rimaniamo in ascolto e in osservazione. Ci sarà solo da piangere.

Vuol dire questo che noi dovremo smettere di credere e di lottare perché il modello evangelico del matrimonio si affermi nelle società e nel mondo? Ciò non potrà mai essere: Cristo ha inviato i suoi nel mondo a continuare la sua opera e ed essi dovranno continuarla finché quell’opera non sarà stata compiuta. Ma guai a farsi illusioni. Il mondo non sarà mai un altarino del Corpus Domini (G.Bernanos). E tutti noi, sbattendoci innumerevoli volte la testa, dovremo convincerci che questo sarà.

Ciò che è stato affidato alla Chiesa come missione e a lei verrà chiesto  come prova della sua fedeltà, non sarà tanto se avrà saputo salvare tutti gli uomini, ma se avrà saputo mantenere vivo l’annuncio, desta la fede, viva la speranza, forte e sicura la carità in chi ha creduto, Perché alla Chiesa non né stata affidata la salvezza del mondo (che sarà sempre opera di Dio) ma l’annuncio della salvezza portata da Dio. E solo del suo annuncio e della forza della sua testimonianza dovrà rispondere.

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