Il Grande Dittatore: Quando Il Trono Si Impasta Di Sangue


L’ho già scritto, e neppure una sola volta, che non esiste figura più odiosa e antipatica, sulla terra e forse nel cielo stesso, del “Grande Dittatore”.

Penso a quello di Charlie Chaplin? Ma per carità! Quello faceva, e fa, sempre, una tenerezza infinita con quel suo giocare col suo gran mappamondo gonfio d’aria soffiata, con cui il grande comico e genio assoluto del cinema d’ogni tempo, giocava di testa e di tacco, di spalla e di piede come i Maradona e i Pelè, i Sivori e i di Stefano: niente era impossibile a quelle teste, a quei piedi, a quelle spalle, quando si mettevano in testa la prodezza imbattibile, il miracolo assoluto. Era lo stadio impazzito che decretava il successo, anzi il trionfo del fuoriclasse e il tripudio dell’intero stadio impazzito.

Ma di Charlie Chaplin il mondo ne ha conosciuto uno solo, che seppe fare del pallone un mondo intero e d’un intero mondo seppe fare soltanto un pallone, non importa quanto grande. E nel momento stesso che non potevi non ridere, chi quelle scene le aveva già viste trasformarsi anche solo una volta nelle più atroci realtà, di fronte a quelle scene geniali non poteva, ieri come ora, fare nient’altro che sospirare ancora.

Questo è accaduto a me, in questi ultimi giorni, leggendo un interessante articolo dell’algerino Kamel Daoud, nato nel 1970, che cerca in un suo scritto mai condotto a termine, di dare espressione e alla delusione e alla frustrazione di sogni e di progetti che non sono mai arrivate a vedere la luce, pur nelle ormai tante e tanto vagheggiate e sognate e vissute e fallite primavere arabe.

Ciò che viene con tanta amarezza denunciato e rimpianto, può essere anche visto e vissuto come un irrimediabile avvertimento della realtà e del destino. È lo scontro fra l’illusione e la realtà: la prima che si esprime e s’incarna nella figura segnata dal cosiddetto Uomo della Provvidenza, il Grande Seduttore, il Dittatore, l’uomo che, da solo, sa far sognare e riempire di sé il suo tempo, la sua storia, la società in cui vive e s’esprime. Grazie ai suoi sogni e alla sua vanità, alla sua megalomania e furore di grandezza, le città si riempiono ben presto dei suoi ritratti, le vie sono infarcite del suo nome, balconi risuonano dei suoi proclami e dei suoi deliri, le folle impazziscono a ogni sua parola: a ogni suo vaneggiamento, a ogni suo proclama risponde la folla immensa e mai delusa dei suoi sostenitori .

Che poi la Storia sappia vendicarsi e farsi giustizia da sola, questo poco importa per quanti hanno giurato sul suo nome, per i suoi seguaci, i devoti, i patiti, gli adoratori del grande Mito che nel frattanto avrà già trovato il modo, i tempi e gli spazi per riempire di sé tutta la realtà che resterà sempre a testimonianza del suo avvento e del suo passaggio fra di noi. E di quest’arte d’illusione e d’artificio, egli sarà maestro insuperabile, a riprova della ubriacatura e della follia collettiva che lo avrà accompagnato e sostenuto.

Poi finalmente arriverà anche per lui il tempo dei crolli: le statue di Hitler a Norimberga e dovunque nel Reich, le statue di Saddam Hussein, impiccato,  quelle di Stalin e di Lenin abbattute dai loro piedistalli (a Kharkiv, Ucraina orientale, quella di Lenin), e quante!, a centinaia nel mondo, hanno dovuto subire la stessa infamia e la stessa vergogna.

Certo molti, in Italia, ricorderanno il film, ormai un vero monumento alla storia e alla memoria patria, di Ettore Scola, Una giornata particolare, con un Marcello Mastroianni e una Sofia Loren assolutamente superlativi: scene in gran parte indimenticabili, come quelle delle folle chiamate all’adunata per l’arrivo a Roma del Führer di buon mattino, e il ritorno a casa, la sera, di quanti, stanchi ma orgogliosi, sapendosi dei privilegiati essi stessi, si vanteranno di poter dire un giorno: “io c’ero”!

Tornate ora indietro nel tempo e fate bene i conti. Quante le statue del Führer ancora in piedi? Quante quelle di Mussolini? Quante di Saddam Hussein? Quante di Lenin? Quante di Stalin? Quanti dei tanti dittatori e dittatorelli di cui s’è già persa la memoria, o che è già in via di totale smarrimento?

Ecco, questa è la storia di cui l’uomo, ogni uomo farebbe bene a non dimenticarsi mai! La Storia che rimane e che non dura neppure “lo spazio d’un mattino”. Perché questo infimo spazio spesso gli sopravanza perfino, sì che, non sapendo più come riempirlo, ci si accontenta di vivere di miti, intanto che se ne rimpiangono i morti.

A che allora la Storia? Di chi fidarsi perché non s’abbia a rimanere delusi? A chi affidarsi,  perché qualcosa resti di tutto ciò in cui s’era creduto o si continua a credere ancora?

Io la mia risposta ce l’ho, e me la tengo ben stretta. Me l’ha data Dio, e nessuno potrà mai strapparmela. È l’unica risposta che non mi parla mai di morte e che, quando lo fa, ne parla sempre come d’una promessa di vita.

Mi parla di un Dio che, proprio perché io capissi quanto è stolto scegliere di vivere per morire, lui mi parla sempre di vita, e del come raggiungerla, e del come difenderla, e del come garantirla, a me e agli altri e tutti quanti della vita – e non del suo contrario – sono innamorati.

Che poi in tanti si sian serviti di quel nome per spargere e seminare morte a loro volta, ciò non può certo stupirmi. Basta che io mi domandi chi mai erano coloro che ne parlavano in tal senso. La risposta è una sola: uomini erano, e solo uomini, e sempre uomini sono quelli che parlano e predicano e seminano morte.

Ma a parlar di morte non era mai Lui, ma tutti noi, stolti cultori della morte.

Questo m’ha fatto venire in mente, anche se preso da lontano, il pensiero d’uno che come me ama la vita e detesta la violenza, ma che sa bene, ahimè!, che finché ci sarà vita umana sulla terra sempre, o quasi, la morte avrà ancora la terribile possibilità di poter prevalere sulla vita.

A me, personalmente, per vivere in pace, basta anche così. Ma al mondo pare non basti. E l’uomo ce la mette tutta per guastarsi la festa.

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