La vita è bellezza, ammirala.
La vita è un sogno, realizzalo.
La vita è una sfida, accettala.
La vita è un gioco, giocalo.
La vita è dolore, superalo.
La vita è un’avventura, osala.
La vita è un canto, cantalo.
La vita è un mistero, scoprilo.
La vita è vita, amala e preservala.
E dopo aver letto questa poesia di Madre Teresa, che a me non passa neppure per la testa di chiamarla poesia, ma piuttosto un puro distillato di sapienza – nel senso profondo, biblico del termine – fermatevi un poco a guardare queste immagini della Santa, di questa Madre Teresa che tutto il mondo ha ammirato, che tutta la Chiesa celebra oggi come una delle sue glorie più fulgide, più ammirate, più amate dell’intera sua storia.
Guardate quelle rughe, profonde come solchi; guardate quelle labbra piccole, sottili, screpolate che sembrano l’esito di centinaia di anni di sete ardentissima di anime mortificate dall’abiezione, di corpi consumati dalla fame e dalla miseria.
Ebbene, davanti a quella donna – che se ne incontrassimo una simile per strada, diremmo di lei “guardala, poveretta, che miseria!” –; davanti a quelle rughe, a quegli occhi consumati dalle veglie di preghiera e dalle notti passate accanto ai suoi malati e ai moribondi, il mondo intero s’è fermato a guardare e ad acclamare.
Scrosciante e interminabile fu l’applauso scoppiato nel prestigiosissimo Konserthuset (Sala dei Concerti) di Stoccolma quando le conferirono il Premio Nobel per la pace, e lei che si chiedeva probabilmente “ma chi glielo fa fare?”, ché non la finivano mai d’applaudire e lei stava lì, senza l’ombra d’un sorriso o di qualsiasi compiacimento, paziente come un asino sotto uno scroscio di pioggia torrenziale, che si consolava solo col pensiero che prima o poi doveva pur finire quella bufera d’applausi, perché lei non aveva tempo da perdere e doveva correre dai suoi poveri che l’aspettavano; e intanto si consolava che almeno le era riuscito di far annullare il pranzo, ottenendo che i soldi risparmiati del pranzo fossero aggiunti a quelli, già tanti, del Premio Nobel .
Né la passarono liscia quei sapientissimi giurati e il pubblico osannante: perché oltre a non aver mai neppure accennato a un benché minimo sorriso sotto quello scroscio di battimani e di voci, il suo discorso fu un durissimo attacco all’aborto legalizzato, con la celebre proposta: “quando qualcuno vi chiede di farla abortire, voi fatela partorire e quel figlio portatelo da me: me ne prenderò cura io”. Parole che cito a memoria, ma che sono fedelissime al senso della dichiarazione della Madre in quella specie di Parnaso che è la Konserthuset di Stoccolma. Il buono di tutto questo era nel fatto che tutto si sarebbe esaurito in qualche ora e che quel sacrificio le avrebbe procurato una cascata di denaro che lei sapeva bene come spendere e in favore di chi.
Il Nobel la rese una star di fama mondiale e molti capi di Stato e di governo considerarono un privilegio averla potuta vedere, darle la mano e parlare con lei. Lo stesso si dica per uomini e donne di scienza e di lettere. Grandissima era la sua popolarità anche fra i giovani, specialmente fra quelli direttamente impegnati nel sociale. Grandissimo l’affetto di Giovanni Paolo II per Madre Teresa, e numerosi i loro incontri. Le foto mostrano con chiarezza l’affetto del papa polacco per la Madre.
Un discorso a parte merita l’affetto della principessa Diana, l’infelice moglie di Carlo, principe del Galles, grande amica e benefattrice di Madre Teresa. Le due morti tanto ravvicinate (il 31 agosto 1997 Lady Diana, e solo cinque giorni più tardi, il 5 settembre, morì Madre Teresa). Il mondo (cioè la stampa internazionale), preso fra i due fuochi, si interessò molto di più al destino tragico e torbido della principessa. Oggi però la storia ha rimesso ordine nei fatti e nei meriti dei due personaggi: oggi, la tomba di Diana, è malinconicamente sommersa sotto la boscaglia incolta che l’avvolge e la nasconde completamente alla vista dei pochi curiosi che vi si recano, mentre la gloria di Madre Teresa è arrivata a risplendere fin sul balcone centrale della facciata di San Pietro a Roma, in un’apoteosi di folla, di luce, di applausi, e di lacrime di gioia.
Che può pensare un cattolico davanti alla canonizzazione di Madre Teresa? Perché io la chiamo ancora così, come fa anche papa Francesco: “continueremo a chiamarla Madre Teresa” ha detto.
Per quanto mi riguarda, ciò che io provo nel caso di Madre Teresa è un senso di sconfinata ammirazione che si traduce in rimpianto e in rimorso, pensando a cosa ho saputo far io della mia vita.
Ma ancora più urgente sono il desiderio e la preghiera per la Chiesa per come saprà gestire questo immenso capitale di credibilità che Madre Teresa le lascia.
Il mio augurio è che l’esempio di Madre Teresa basti a far capire a tutti che una cosa sola conta, nella vita come nella fede, e questa cosa è l’amore. Di lei si sa bene, per averlo lei stessa ribadito in più di un’occasione, che lei ha sempre tenuto lontano dalla sua opera di carità ogni fine di proselitismo: lei ha sempre negato con sdegno ogni volontà e ogni pratica di battesimo degli infelici che raccoglieva dalle strade di Calcutta o dovunque si trovasse: sua unica intenzione era quella di riuscire almeno a far morire in modo degno d’un essere umano, chi era sempre vissuto come un animale, inutile e disprezzato per giunta. Vivendo nell’inferno di Calcutta, si guardava bene di parlare loro d’un altro inferno, e questo addirittura eterno!
In realtà, guardando Madre Teresa agire in silenzio in quell’inferno, mi sono convinto ancora di più che gran guadagno sarebbe per noi parlar molto meno di dogmi, di teologia, di diritto canonico e di precetti della Chiesa e cominciare a parlare solo di misericordia e delle sue opere, materiali e spirituali: finito di spiegare le quali, o si ricomincia daccapo o si smette del tutto di parlare, limitandoci ad agire in conseguenza. Così, per esempio, non è stato un bello spettacolo assistere per due anni a due sinodi solo per sentir litigare su aperture sì o aperture no, con gran finale a sorpresa: che a spiegarci qual è il vero senso del pensiero di papa Francesco sul cap. VIII dell’Amorislaetitia c’è voluto un documento dei vescovi argentini che ha messo il papa in condizione di dirci, finalmente, che questa e solo questa è la lettura corretta del documento pontificio “e non ce ne può essere un altra”. Vien fatto di dire: “finalmente! Potevano mica pensarci prima?
Immagino che Madre Teresa, davanti a papa Francesco avrebbe giunto le sue mani su petto, e li avrebbe poste così sulla testa del papa, dicendogli in un sussurro: ”Non ti curare di loro: tu va dritto per la tua strada. La Chiesa, come i poveri, ha bisogno solo di tanta misericordia”. E sempre a mani giunte, si sarebbe licenziata da lui, per tornare ai suoi poveri.