Riprendiamo la nostra breve storia di Casalina.
Nella piccola “villa” (villaggio), la vita era tutt’altro che facile. Durissimo il lavoro sui campi, col fiume da tener sempre a bada, capace com’era di piene impetuose e frequenti che distruggevan raccolti, invadevano case stalle e granai, travolgevano e portavano via uomini e bestie.
Niente ponti fino alla seconda guerra mondiale (stanno morendo gli ultimi “ragazzi” che per andare a Papiano o a Perugia a studiare, dovevano prendere “la barca”.
In più la continua lotta alla malaria, incubo di ogni terreno fluviale pianeggiante. L’opera di bonifica, merito dei Padri benedettini di Perugia, venne solo secoli più tardi. In quegli anni i contadini (“abitanti del contado”) erano tutti “servi della gleba”: così era dovunque nei territori di quella che sarà l’Europa, di cui allora non esisteva neppure l’idea.
In questo paradiso, uomini donne e bestie tutto era proprietà dell’Abate di San Pietro.
La loro vita? È presto detto: più di schiavi che di servi. Lavoro da spezzarle reni, poco mangiare (quasi tutto andava al padrone), soldi pochissimi, e destinati per lo più a medici e speziali (farmacisti). Per il resto s’andava avanti col “baratto”, o scambio di cose e di prodotti: carne, uova, latte, formaggio in cambio di stoffe, zoccoli, vasellame… rarissime le scarpe.
Si dormiva in giacigli di foglie di granturco o simili, in buchetti che facevan da camere per 3-4 figli ciascuno, i più piccoli coi genitori. Tanti erano i figli (sarebbero diventati forza lavoro). Molte le donne che morivano di parto; le femmine nascevano che i genitori sapevano già a chi darle in moglie. Tanti gli aborti.
I bisogni corporali s’andava a farli nei campi o nella concimaia in campagna, nei vicoli o in casa nei villaggi. Poi la mattina dopo, tutto finiva nelle “buche”, com’era a Casalina almeno fino alla seconda guerra mondiale.
Questo il paradiso dei “villani” di Casalina. Che se vi ho stancato scusatemi, ma per saper chi siamo, bisogna sapere da dove veniamo. Buonanotte. Don Antonio.
P.S. A Dio di far la sua parte.