L’Ottavario


L’ottavario dei morti è ormai finito,
ma quel sapore di muschio che ti resta ancora in bocca ti porta a pensare sempre a chi ormai del sapore di terra ha piena la sua bocca.
Non è un triste pensiero, per me. Mi dona un senso di verità, struggente e consolante insieme, che mi consola.

Per qualcuno che lascerò con dispiacere,
tanti saranno quelli che ritroverò lassù, con infinita gioia.
Dicono che la morte sia uguale per tutti.
Niente di più bugiardo. Perché non conta il fatto di morire:
conta il come si muore!
C’è morte e morte. C’è chi alla morte è appeso con un filo come i Soldati di Giuseppe Ungaretti, nei celeberrimi versi:

«Sì sta
come d’autunno
sull’albero
le foglie»

che basta un soffio di vento e per te tutto è finito.
Ma si può morire anche come l’Ermengarda di Alessandro Manzoni:

«Parlatemi di Dio: sento ch’ei giunge».

Così io vorrei che fosse “la mia ora”.

Qualcuno forse mi dirà: don Antonio, dai!, un po’ di vita! Domani è il tuo compleanno!

Amici cari, vi confido un segreto: io quel giorno lo attendo.

Senza fretta (ho ancora qualcosa da fare quaggiù), ma anche senza paura: sarà il giorno in cui potrò dir loro:

“Verrò a vedervi oggidì, in cielo patria mia! Solo vi prego: non fatemi aspettare in corridoio, in barella”.

La mia benedizione a tutti voi che mi leggete. Don Antonio