Also sprach Flores D’Arcais: Non nominare il nome di Dio in pubblico


Così parlò Paolo Flores D’Arcais: «La religione è compatibile con la democrazia solo se disponibile e assuefatta all’esilio di Dio dalle vicende e dai conflitti della cittadinanza, solo se pronta a praticare il primo comandamento della sovranità repubblicana: non pronunciare il nome di Dio in luogo pubblico».
Paolo Flores d’Arcais ha anche detto: «La religione è compatibile con la democrazia solo se addomesticata, cioè convertita all’autonomia assoluta della norma civile rispetto alla legge religiosa… Di più; la religione deve accettare la libertà del peccato come diritto di ogni cittadino: il peccato mortale garantito e protetto dalla legge, se così ha deciso la sovranità dell’auto-nomia. Accettare e interiorizzare». Ma io chiedo: anche le leggi razziali? Anche il delitto d’onore? Anche la sedia elettrica? Anche il genocidio di Stato?
Paolo Flores D’Arcais ha anche sentenziato: «Le religioni compatibili con la democrazia sono religioni docili, che hanno rinunciato a ogni fede militante che intenda far valere nel secolo la morale religiosa. Sono religioni sottomesse che hanno interiorizzato l’inferiorità (sic!) della “legge di Dio” rispetto alla volontà degli uomini su questa terra». E Paolo Flores d’Arcais, Uomo laico dell’anno 2015, è un oracolo. Ma io gli chiedo: il vescovo salvadoregno Oscar Arnulfo Romero, e il prete polacco Jerzy Popieluszko furono veri eroi e veri martiri o furono solo intollerabili rompiscatole?
Le parole di Flores D’Arcais sono scritte in un libro, La democrazia ha bisogno di Dio. Falso! Quando si dice il dono della sintesi! Il quotidiano laRepubblica (lunedì 9 marzo) ce ne ha offerto un estratto. In esso è scritto che i parigini del gennaio scorso (la strage di Charlie Hebdo e la grandiosa manifestazione ‘mondiale’ che le ha fatto seguito) sono un vero «scontro di civiltà che non contrappone islam e mondo giudaico-cristiano, né una guerra santa tra religioni, ma, molto più, la guerra del Sacro contro l’autonomia, il “darsi da sé la legge”, la sovranità dell’Homo sapiens su sé stesso, che sostituisce su questa terra l’eteronomia, la sovranità di Dio, come fonte di legittimità nel dettarsi gli ordinamenti, i valori, i diritti e i doveri di ciascuno».
Come dire: il problema vero non sta nel decidere se una religione è più vera dell’altra: “questa o quella per me pari sono”, sembra dire il Professore. Ciò che è importante mettere in chiaro è che nessuna religione avrà mai il diritto di pretendere d’esercitare un ruolo pubblico nella società civile, poiché essa vi rappresenta un corpo estraneo che può vantare al massimo un solo diritto: quello di vedersi garantito uno spazio intimo, strettamente privato e in nessun modo pubblico. E ciò deve valere per tutte, ma proprio tutte, le religioni. Che intenda dire che, come un regime teocratico punisce severamente la bestemmia, così in uno Stato laico il nome di Dio dovrebbe essere radicalmente bandito dai luoghi pubblici? Come una bestemmia appunto, o una parolaccia? Più o meno!
Flores D’Arcais è troppo fine pensatore per non essersi reso conto del paradosso che queste parole contenevano. Ma questo paradosso gli veniva a proposito per lanciare la sua provocazione, per dar forza al suo messaggio: “attenti bene, Dio (o meglio – dato che Dio non esiste – il suo stesso concetto, il suo stesso nome) è una minaccia per l’uomo, e il solo farlo risuonare in pubblico è già una colpa e un pericolo.
Perché giorno verrà, e sarà presto, che la stessa idea di un qualsiasi Dio che dètta agli uomini la sua legge (sia essa dal Sinai o dalla stele di Hammurapi), verrà inghiottita nel cratere ardente del pensiero laico che la disintegrerà riducendola a pura energia riciclabile. E sarà tutta energia, pulita, nuova, vergine, quella che potrà far nascere quella nuova civiltà che fu il grande sogno e il lascito dell’Illuminismo nel XVIII secolo.
E certo sono in molti a desiderare il giorno in cui, celebrato senza rimpianti il funerale di Dio, l’uomo, liberato del peso di quella voce molesta che gli dice questo sì e questo no, potrà dedicarsi finalmente, con tutte le sue migliori energie, alla costruzione della nuova umanità, finalmente libera da quei profeti fanatici e mistici invasati che invocano crociate e guerre sante al grido di Deus lo volt (Dio lo vuole: il grido di battaglia di Pietro l’Eremita che trascinò l’Europa cristiana alla prima crociata).
C’è del vero in tutto questo, ma forse Flores D’Arcais dimentica di dirci che quello che lui denuncia, non lo si trova solo là dove le leggi umane si ispirano a una legge divina o presunta tale, perché gli stessi vizi li ritroviamo spesso anche in ambiti dove chi governa è solo l’uomo e d’un Dio che impartisce gli ordini non c’è neppure l’ombra. Non c’era mica Dio dietro Hitler e i suoi campi di sterminio, o dietro le purghe e la Siberia di Stalin, o dietro Mao Tse-tung o Ho Chi Minh, o a guidare gli aerei che bombardarono Dresda a guerra ormai finita, e Hiroshima e Nagasaki.
Perché se vai a scavare bene, dietro ogni orrore ci trovi sempre una firma, e quel nome è sempre un nome d’uomo. Che poi il titolare di quel nome si nasconda dietro il paravento del “Dio lo vuole” si spiega bene se solo pensi che l’uomo è come l’Arpìa, dove si posa e dove mangia sporca. È da quando l’uomo ha incontrato e conosciuto Dio che ha cominciato a sporcarlo. Gli orrori che di dio si raccontano sono tutti orrori commessi dall’uomo. Questo era vero al tempo dei Giudici (ca. sec. XII a.C.), come al tempo di Saul, come ai tempi nostri. Sporchi, brutti e cattivi, gli uomini tendono sempre a scaricare le loro colpe su qualcun altro, rendendo tutto ciò che toccano altrettanto sporco brutto e cattivo. A meno che…
A meno che non abbiano la ventura d’incontrare, in modo o nell’altro, un Uomo, chiamato Gesù, che vuol dire Salvatore, e che molti chiamano anche Cristo. Gesù Cristo. Quest’uomo non c’è neppure bisogno d’incontrarlo di persona, per incontrarlo. Basta averlo ascoltato, visto da lontano: meglio ancora, basta averlo “respirato”, come si respirano il polline o certi piccolissimi semi portati dal vento; quel vento lo chiamano anche lo Spirito e quei semi li chiamano anche il Verbo, la Parola. Una Parola, come dire?, rarefatta, che si disperde nell’aria in maniera inavvertibile, ma realissima e concreta, che il Vento riesce a trasportare per depositarli qua e là, dove capita, perché germoglino a loro tempo e crescano e portino fiori e semi a loro volta, perché la specie e la vita continuino.
Gli antichi Padri della Chiesa avevano dato un nome a questo misterioso aspetto della vita del Verbo: Lógos spermatikós, Parola sotto forma di seme, che tu non vedi e se ti tocca non lo avverti nemmeno, ma lo respiri e intanto che rimarrà in te avrà tempo di germogliarti in cuore e portare il suo frutto.
Si rifletta su un particolare: Voltaire era figlio e fratello di due ferventi rigidi giansenisti, e Diderot, che il padre avrebbe voluto prete, aveva un fratello prete e una sorella suora. Entrambi sono annoverati fra i padri dell’Illuminismo, assai lontani da ciò che era stato pensato per loro: ma chi potrebbe dire che quei semi, quali più quali meno, abbiano potuto influire, anche in modo irrituale e non previsto, a formare in quei due grandi uomini, quell’ansia di verità e di libertà che non trovavano più nella Chiesa della Controriforma? E non potremmo forse immaginare che quei semi siano volati anche più lontano, fin nell’Aula del Vaticano II, a portare frutto fin là. Non è stato proprio lì che è stato riconosciuto anche nella Chiesa il diritto alla libertà religiosa. E chi potrebbe negare che nel nostro Occidente “scattolicizzato” ci sia molto più vero cristianesimo di quanto non ce ne fosse quando i seminari e i conventi erano strapieni di gente che stavano lì solo per fare la volontà dei genitori o degli zii preti o delle zie monachie? Da quei semi può sembrare a noi che nascano solo erbacce. Ma chi può dire che fiori e che frutti potranno venirne a suo tempo?

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