Papa Francesco? Essere cristiano, per pensare cristiano

Chi è papa Francesco? Chi mi ha seguito nelle decine di volte che ho scritto di lui, sa che la mia idea del papa argentino è sempre stata altissima. Né oggi è cambiata. Anzi.

Ribadisco ciò che ho già scritto su di lui: egli sarà per il nuovo Millennio l’equivalente di ciò che fu Gregorio VII per il secondo. Con la differenza che il primo, autore del Dictatus papae, aveva fatto del papa l’autorità suprema in ogni ordine e campo dell’attività umana, politica inclusa, fino a rivendicare l’autorità di deporre gli stessi imperatori e re per mezzo della scomunica. Al contrario, Francesco parla dei propri poteri solo per dirci che essi sono tutti solo a servizio del popolo di Dio.

La sua scelta fu subito chiarissima, quando lasciò vuota la sua sedia al concerto organizzato in suo onore nell’Aula Paolo VI (22 giugno 2013): scelta ribadita il 14 marzo scorso con il grande concerto nella stessa Aula, questa volta voluto dal papa per i suoi amici più grandi: poveri, barboni, senza tetto e immigrati; tutti nelle prime file.

Di fronte a queste manifestazioni di grande discontinuità di stile fra questo papa e i suoi predecessori, qualcuno ha forse potuto pensare che non si andasse oltre il pittoresco: ben venga il sensazionale purché resti l’essenziale. Una forma aggiornata di gattopardismo.

Se qualcuno avesse pensato così, oltre ad aver sicuramente sbagliato, non potrà certo fare altrettanto in questi giorni, dopo le sue due ultime decisioni, una più clamorosa dell’altra: la facoltà data a tutti i preti del mondo di assolvere direttamente dal peccato di aborto chiunque se ne dichiari sinceramente pentita (o pentito: già perché fra chi contribuisce al buon esito dell’intervento ci possono ben essere dei maschi).

Ancor più clamoroso il secondo provvedimento, il motu proprio col quale si aprono nuove, assai più semplici e ben più agili e rapide (e in certi casi perfino gratuite) vie per ottenere la sospirata dichiarazione o la sentenza di nullità per quei matrimoni di cui si debba o si possa ritenere fondato il sospetto di irregolarità, di errore, di vizi di forma o di sostanza.

Erano passati tre secoli, dal tempo di Benedetto IV (†1758) che la Sacra Romana Rota era rimasta praticamente immutata; secoli durante i quali la Chiesa ha conosciuto ogni sorta d’accuse, la più frequente quella d’usare troppo spesso pesi e misure diversi nel valutare le cause dei poveri cristi e quelle dei potenti. Il mezzo per giungere alla sentenza era un processo che avrebbe messo a nudo tanti elementi e fatti intimi, scabrosi: inconfessabili per ogni persona di buon gusto e di buona condizione e reputazione sociale. Fra i tanti che contro questo istituto s’erano scagliati, anche Pier Paolo Pasolini che non aveva certo risparmiato allusioni e frasi nette e taglienti contro questa specie di sadismo processuale.

Ora Francesco ha deciso: da oggi si cambia. Non più “prima la norma”, ma l’uomo innanzi tutto, e il rispetto, la carità, la comprensione e la misericordia su tutto il resto. La lettera della legge non è più importante della sua intenzione, e la Chiesa non avrebbe mai dovuto avere altra intenzione che quella per cui prima tutto viene la carità verso il fratello. Se la passerà così liscia, papa Francesco? I Giuliano Ferrara e gli Antonio Socci, inconsolabili vedovi di Giovanni Paolo II e più ancora di Benedetto XVI – per entrambi il theologus maximus del nostro tempo – potranno mai perdonergliela? Le prime polveri sono già state fatte esplodere, ma non è escluso che poi si cerchi di passare ai mortai.

A soprattutto gliela passeranno liscia i cardinali – e non solo quelli di curia – che non hanno finora digerito nemmeno gesti assai meno clamorosi di questi ultimi due? Chi non gli perdona il tentativo di dare la comunione ai divorziati risposati; chi non tollera che si possa neppure parlare di seconde nozze benedette dalla Chiesa e dunque da Dio, potrà ora accettare che si renda tutta in discesa la strada verso la dichiarazione di nullità per chi ha già fatto fallire il proprio matrimonio? E poi: che fine farà la teologia classica dell’indissolubilità delle nozze cristiane? Anzi più ancora: che fine farà il dogma e tutti gli anatema sit del Concilio di Trento e non solo, contro chiunque osi attentare all’intangibilità dei dogmi? Problemi gravissimi non c’è dubbio per i quali non c’è certo spazio qui, ora.

Mi accontenterò di molto meno: tentare un approccio di lettura delle intenzioni di papa Francesco quando si pone consapevolmente in contrasto con le spinte conservatrici del pensiero cattolico.

Ebbene, questo è il mio pensiero. Papa Francesco, che non è certo digiuno di buona teologia, assai più che un uomo-del-pensare è un uomo-del-fare. Egli sembra pensare che non la teologia salverà l’uomo, ma la carità; quest’ultima letta e intesa soprattutto come misericordia. Quando nella sua coscienza di maestro e di pastore egli si convince della bontà d’un’idea o d’un programma, lo adotta d’istinto e ne fa una cosa sua. La teologia? Verrà dietro. L’intendenza seguirà, si dice nel gergo militare. I teologi si adegueranno. Ne è talmente sicuro, che è pronto a qualsiasi sfida.

Che sia questa la strada della Chiesa del terzo millennio? Certo è stata la strada dei primi due o tre secoli di cristianesimo. Ne fu testimone, nel IV secolo, Prospero d’Aquitania: la Chiesa crede quello che prega. Cosi sembra pensarla Francesco: la Chiesa deve vivere il Vangelo. Allora, e solo allora, la Chiesa penserà e crederà evangelicamente.


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